Femminile plurale: le parole e le storie di Maria Adele Del Vecchio
Le parole attraversano come un filo rosso la ricerca dell’artista Maria Adele Del Vecchio (Caserta, 1976). Utilizzate come dispositivi linguistici plurisemantici o ancora per raccontare una storia, trasformano l’opera in uno spazio di dialogo, di narrazioni private e condivise che incrociano la letteratura, la filosofia e la politica e che, nella sua ricerca più recente, parlano al femminile e racchiudono biblio-grafie personali.
Il legame con la scrittura e la lettura è particolarmente forte nella serie di scialli realizzati nel 2020, alcuni dei quali appartenuti alla madre dell’artista e legati al proprio vissuto. Sugli scialli sono stampati testi personalmente scritti e citazioni da libri chiave per l’esperienza biografica o artistica di Del Vecchio, fedelmente riportate o, in alcuni casi, “manipolate”.
Eppure sono stata te
è un estratto brevissimo, un frammento de La prosa del mondo di Maurice Merleau-Ponty[1]. Declinando al genere femminile la frase originariamente maschile, l’artista rievoca le pagine in cui il filosofo francese riflette sulla parola scritta, che sempre comporta qualcosa o qualcuno che esiste oltre il segno linguistico. Il momento stesso della lettura, implicando una relazione con le cose o con l’altro, comporta un risveglio del pensiero che impedisce al lettore di restare indifferente a quanto espresso in un testo: «ogni altro è un altro me stesso», scrive ancora
[2]. Così, Del Vecchio ricorre alla parola come se fosse un segnale, un’interferenza che, non potendo passare inosservata, richiede di prestare attenzione a ciò che l’opera racconta. La superficie di stoffa, come una pagina, diventa lo spazio ideale del testo, e lo scialle perde l’originario carattere ornamentale e funzionale per diventare linguaggio, un gesto di cura e protezione.
Quando la bambina piange
non sapendo cosa fare
piango anche io
Questa volta Del Vecchio ricorda la figura della rivoluzionaria antifranchista Ana Delso[3], e allo stesso tempo fa risuonare l’eco de Lo scialle andaluso di Elsa Morante, che accompagna in sottofondo i lavori di questa serie: un racconto con cui l’artista coglie una poetica dei sentimenti e della coscienza di sé come possibilità di identificarsi con l’altro (e l’altra) da sé. Nel confronto io-mondo e io-lei l’artista esplora la dimensione emotiva di un mondo femminile fatto di dolore e lotte quotidiane, ma anche di solidarietà. Appesi al muro, gli scialli non proteggono più nessuno: «una volta che la femminilità abbia smesso di essere l’occupazione più protetta, chissà cosa potrà accadere (…)» si domandava Virginia Woolf in A Room of One’s Own[4], pubblicato nel 1929. Oggi la donna ha ancora bisogno di essere protetta, coprirsi le spalle è ancora necessario: novantuno anni dopo, nel 2020, l’opera di Del Vecchio sembra rispondere a Woolf
C’è una (donna) che mi fissa dallo specchio,
conosco tutta la sua rabbia, tutte le sue lacrime
ricordo ogni volta che ha taciuto, e ogni coraggio che è
mancato
al suo cuore offeso, macchiato, abusato.
Non posso lasciarla, le resto accanto, curo le ferite, le insegno le parole
La vita e la rinascita.
Nel canto.
Così si conclude un testo scritto dall’artista sul primo della serie degli scialli: una cruda denuncia e insieme un invito a farsi madre, ad insegnarsi a vicenda le parole giuste. Tra queste, nel lessico di Del Vecchio è fondamentale la parola persona. Sul vocabolario essa indica «un individuo della specie umana, senza distinzione di sesso, età, condizione sociale e sim., considerato sia come elemento a sé stante, sia come facente parte di un gruppo o di una collettività». Persona come singolarità, dunque, e come essere-in-relazione. Come è noto, il significato del termine, di radice etrusca, è legato al verbo latino personare, letteralmente “risuonare” ma anche “parlare attraverso” in riferimento al suo utilizzo in ambito teatrale. In questo senso, Del Vecchio dà voce, parla e fa parlare attraverso le proprie opere. “Persona” racchiude il concetto di identità che l’artista manda in cortocircuito ricorrendo al linguaggio e alla semantica: Personne è una scritta a neon realizzata nel 2019 in occasione dell’omonima mostra personale dell’artista presso la Galleria Tiziana De Caro. Qui Del Vecchio letteralmente illumina l’ambiguità creata dalla somiglianza tra il pronome francese “personne”, che significa “nessuno” e il sostantivo italiano “persona”, che implica invece una presenza. In questa complessità linguistica ed esistenziale l’artista colloca la sua riflessione sull’identità in un orizzonte politico e socio-culturale dove fa parlare nuovamente le madri e le donne con il ciclo di opere Il fuoco e il racconto (2019), titolo che omaggia l’omonima raccolta di interventi di Giorgio Agamben. Qui il filosofo afferma che «la lingua dello scrittore – come il gesto dell’artista – è un campo di tensioni polari»[5]. Del Vecchio trova nel racconto uno strumento di resistenza e un mezzo per esplorare l’identità femminile in una dimensione dai confini sempre aperti alla ri-definizione. Il fuoco e il racconto è una serie costituita da tre scritti – un racconto, un flusso di coscienza e una lettera – incorniciati in una teca e intitolati Una madre; Una peripatetica; Una Strega. Tre donne, tre archetipi antichi quanto il mondo, protagoniste di storie che smascherano la solitudine, i ruoli sociali portati come fardelli, i tabù legati al sesso e all’esperienza del corpo. Di nuovo, Maria Adele del Vecchio prende la parola e ci invita a leggere oltre.
Maria Adele De Vecchio "Untitled" 2020 stampa su scialle dimensioni variabili Courtesy l'artista e Galleria Tiziana Di Caro | Maria Adele Del Vecchio "Untitled" 2020 stampa su scialle dimensioni variabili Courtesy l'artista e Galleria Tiziana Di Caro |
[1] P. Dalla Vigna (a cura di), M. Merleau-Ponty, La prosa del mondo, p. 61, Mimesis Edizioni, Milano, 2019.
[2] Ibidem, p. 214.
[3] A. Delso, Trecento uomini e io. Spagna 1936, autobiografia di una rivoluzionaria, Edizioni Zero in Condotta, Milano, 2006.
[4] V. Woolf, Una stanza tutta per sé, Feltrinelli, Milano, p. 73.
[5] Giorgio Agamben, Il fuoco e il racconto, Edizioni nottetempo, Roma, 2014.
Sostienici
Lascia il tuo commento