Perfect day
La vita è fatta di piccole felicità insignificanti,
simili a minuscoli fiori.
Non è fatta solo di grandi cose,
come lo studio, l’amore, i matrimoni i funerali.
Ogni giorno succedono piccole cose,
tanto da non riuscire a tenerle a mente né a contarle,
e tra di esse si nascondono granelli di una felicità
appena proponibile,
che l’anima respira e grazie alla quale vive.
Banana Yoshimoto
L’ultimo film di Win Wenders Perfect day, è commovente e poetico, un’ apologia del gesto che esprime l’amore per la vita attraverso la ripetitività quasi ossessiva, che si trasforma in rito. La cura delle piccole cose di ogni giorno, svela il segreto delle nostre esistenze.
Un elogio della gentilezza, l’umiltà della bellezza che è in tutte le cose del mondo, dove uno sguardo contemplativo trascende la materia e trova lo spirito.
Le continue inquadrature dal basso in alto, dall’infimo al sublime, la luce che traspare dall’ombra, dopo 30 anni dal Cielo sopra Berlino, Wenders ritrova a Tokio l’angelo nella città. Un uomo raffinatissimo colto, pieno di passioni, la fotografia, i libri, la musica, è Hirayama, il dignitoso addetto alle pulizie delle toilette di Tokyo, interpretato dallo straordinario attore giapponese Koji Yakusho, che per due ore con il suo volto espressivo e delicato ci tiene incollati allo schermo, mentre pulisce i gabinetti di Tokio, e lo fa totalmente, con una generosità sorprendente. Vive solo, ma è sempre sorridente, la prima cosa che fa quando si sveglia al mattino è guardare il cielo, con la gratitudine di chi sa ancora accogliere la meraviglia della bellezza . Accetta tutto quello che gli viene incontro, parla pochissimo, tanto da sembrare muto, in realtà come tutti i saggi dice l’essenziale e lo fa con grazia; ha comprensione per tutti, vede ogni cosa, ma non è mai giudicante. Delicato e sincero in ogni incontro della sua vita, quello con la nipote adolescente che scappa di casa e viene cercarlo per scoprire un modo diverso di vivere e a cui sa dire le uniche poche parole che servono. Quello con la sorella rappresentante di un mondo ricco e opulento da cui forse proviene anche lui, ma da cui si è allontanato e a cui risponde con la forza di un abbraccio. Allo scapestrato giovane collega che non ha capito nulla della vita perché l’unica cosa che pensa o a cui gli hanno fatto credere valga nella vita è il denaro.
Si comprende che proviene da un passato doloroso, se ne libera, ma ne porta il peso perché ha scelto la libertà. La libertà di vivere nel momento, Komorebi è la parola giapponese per la luce e le ombre create dalle foglie che ondeggiano al vento. È l’stante è ciò che esiste solo una volta, in quel momento, questa la filosofia che sottende il film. È infatti, l’immagine la protagonista assoluta, racchiusa nelle istantanee che riprendono il movimento delle foglie al vento che disegnano le diverse forme scattate da Hirayama, dove si coglie appieno il cambiamento dentro la ripetizione.
Questo film non poteva che essere girato in Giappone, il paese del sol levante e dei ciliegi in fiore, laddove l’individuo non ha un ego sproporzionato come noi in occidente, dove il minimalismo è espressione del bello perché vuoto che lascia spazio al respiro.
Il regista sembra ricordarci l’importanza del rapporto tra spirito e forma, dove lo spirito si esprime attraverso le infinite forme, ma il vero fascino della cultura giapponese sta nella capacità di attribuire valore a ciò che non si vede, all’ombra dietro la luce, il massimo della bellezza è quindi nell’incompleto, il cerchio che resta aperto, il bianco che lascia spazio tra le parole, il vuoto che è origine del tutto.
Il pensiero giapponese è infatti impregnato dal concetto buddista di mujo, l’impermanenza, per cui la felicità si può raggiungere solo prendendo distanza dalla materialità del mondo, delle passioni, che ci confondono e ci allontano dal centro, dalla nostra sfera reale. L’eccesso di beni materiali del nostro Occidente carico ormai di superfluo, di illusioni e false aspirazioni ci rende egoisti e infelici, precari e soli.
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