Viviani, Totò e l'avanspettacolo
Opera di Luciano Schifano - per gentile concessione di Lorena Fiorini

Viviani, Totò e l'avanspettacolo

diVincenzo Crosio

Altre note sul teatro napoletano.

Negli anni bui degli anni trenta, in un clima per certi aspetti oscuro, travagliato culturalmente in un regime di autarchia anche da questo punto di vista, il teatro e il cinema nazionale vivevano un clima quasi surreale. Da un lato il trionfo del genio pirandelliano, ma poco  compreso per i suo lati di teatro dell’assurdo che gli fece vincere un Nobel, che trovò pieno consenso solo in America però. Un testo come ‘Sei protagonisti in cerca di autore’, è obiettivamente la dissoluzione del teatro di posa, e l’anticipo di quello che sarà l’ ‘espressionismo’ teatrale tedesco e nel cinema alla fine degli anni trenta. Le inquietudini di un’epoca freudiane e postfreudiane, epocali e controverse in una società completamente frantumata dalle guerre e dalle guerre civili in corso, dove il rombo del cannone sostituiva in arte alla narrazione postbarocca e poi romantica, erano lì e nessuno poteva negarle. Persino nel teatro melodico le aperture tonali di Puccini invasero le scene come onde telluriche postwagneriane, post romantiche. E il teatro popolare, dialettale e localistico che fingeva di ritrovare l’antica italica geografia del borgo antico, che fine aveva fatto? Un altro impavido soldato s’avanzava oltre le nebbie del dramma ibseniano e poi pirandelliano: il teatro della belle epoque e del liberty che scatenava a Parigi come a Londra il gusto antivittoriano, anticonformista per eccellenza, l’avanspettacolo che si faceva beffa della morale borghese ed aristocratica e che in America ebbe un esordio tutto suo, col vaudeville, la soap opera e soprattutto la commedia brillante, il musical , che traeva linfa nuova dal teatro yddish ebraico sul genere per intenderci del musical alla Fratelli Marx. In Italia prenderà il nome di Teatro del Varietà. Ma dove il vaudeville, la commedia leggera e il Can-Can delle soubrettes ebbe una rara esplosione fu obiettivamente il Caffè chantant napoletano, con i suoi teatri specifici, Il Gambrinus, il Caffè Turco, Il Circo Varietà e soprattutto il salone Margherita. Il Salone Margherita, il più noto e famoso teatro di varietà napoletano, nacque per idea dei fratelli Marino di Napoli sulla scia del successo dei cafè-chantant francesi del Moulin Rouge e Folies Bergère a Parigi, fu collocato nella nuova Galleria Umberto e fu inaugurato nel 1890 con grande successo di pubblico e di intellettuali, tra cui la stessa Matilde Serao. Ebbe un successo enorme e fu insieme al Teatro San Carlo e al caffè Gambrinus il luogo di ritrovo di artisti, poeti,attori, chansonniers, macchiette e soprattutto belle donne. Il can-can divenne il ballo dell’epoca sulla scia delle vedettes parigine e dei quadri di Toulouse Lautrec, che trasformò i decadenti bohemiens in veri e propri spendaccioni del denaro e del sesso. E Napoli non si  fece mancare niente di tutto questo. I caffès chantant e la bell’epoque erano nello spirito libertino di un popolo e artisti di avanguardia e di avanspettacolo non furono da meno come non furono da meno i giovani e tra i giovani Maurizio Crosio, il fratello di mio nonno, che si unì ai bagordi e agli impresari inventandosi la Piedigrotta come fosse un carnevale di Rio. Sui suoi carri non mancavano né soubrettes , ne ballerine, ne popolani in vena di esibizioni, tra cui la maschera napoletana per eccellenza. Insomma un corteo bacchico degno di Dioniso e della Regina Iside. La vita intellettuale napoletana fu invasa letteralmente da artisti di ogni tipo, da Anna Fougez, Lina Cavalieri, Amelia Faraone, Bernardo Cantalamessa, Lydia Johnson, Leopoldo Fregoli, Ettore Petrolini, Raffaele Viviani, che calcarono tutti il palcoscenico del Salone Margherita. Tra le star internazionali non mancarono La Bella Otero e Cléo de Mérode. Per farla breve tutta Napoli si trasformò in un Caffè chantant, ogni caffè divenne di fatto un caffè alla moda, un caffè chantant. La gente cantava nei vicoli e per i quartieri spagnoli a squarciagola i motivi alla moda così come ammirava i teatri che sorgevano uno dietro l’altro, con artisti poi del Calibro di Antonio Petito, Scarpetta,Totò.

L’avanspettacolo napoletano divenne di fatto un teatro popolare e brillante, dove la dualità teatro di posa e commedia leggera divenne qualcosa d’altro: performance popolare collettiva con al centro un capocomico che doveva innanzitutto far ridere, cantare e simulare soprattutto quel teatro di strada che erano le ‘Guarattelle’, lo spettacolo viandante di pupazzi e marionette. Chi seppe interpretare in senso strabiliante tutto questo fu Antonio de Curtis detto Totò, che unì alla ‘macchietta’ classica l’andatura di pupazzo delle ‘guarattelle’, il ‘pupo’ snodato e ridicolo, con una serie di ‘parlati’ più simili alle performances dadaiste e postdadaiste di un grandissimo artista rumorista futurista alla Marinetti, Fortunato Depero. Queste sono le atmosfere care a Totò che dell’avanspettacolo ne fece un teatro sui generis, unico in qualche modo, tra macchietta, mimo e cabaret. Pratica che poi lo lancerà dal palcoscenico del teatro cabaret al trionfo nel cinema italiano, come unico, vero grande artista del cinema comico neorealista nazionale, fino a quell’enorme capolavoro interpretativo nel film ‘Uccellacci e uccellini’ di Pasolini. Va ricordato inoltre l’apporto alla definizione ulteriore del teatro antiborghese e anticonformista tra gli anni trenta e quaranta di due attori/autori che tracciarono una netta linea di confine tra teatro cabarettistico popolare e teatro cabarettistico colto e popolare, parliamo di due geni assoluti nel loro genere e cioè del romano Ettore Petrolini, che alternò la sua attività tra Napoli e Roma, città capitale che lo consacrò come uno dei più grandi comici e macchiesti dell’epoca ed oltre, ove le battute contro la cultura del tempo, decadente e nazionalista, dannunziana fino al midollo, ebbero anche riverbero come attività antiregime, cosa che non sfuggì al regime mussoliniano soprattutto nel preguerra. Questa attitudine a rimarcare la tradizione popolare, antiregime e antinazionalista, fu assunta come propria etica politica e civile da un grande grandissimo drammaturgo napoletano Raffaele Viviani, che non amando né il teatro ‘esistenzialista e moralista’ di Eduardo de Filippo né la leggerezza del macchiettismo classico napoletano,alla Scarpetta per intenderci, si inventò un teatro cabaret tutto suo, spigliato, ironico e soprattutto di teatro leggero e musicale. Il vero vaudeville napoletano. Inarrivabile genio di una città proletaria e operaia, ma di provincia come Castellammare di Stabia, che da subito e poi Napoli e poi l’Italia intera dopo, seppero capire dove il teatro di Raffaele Viviani andava a parare, nella affermazione che il popolo napoletano e il suo ‘carattere’ e il suo teatro non era assimilabile, come linguaggio, a nessun altro, preservando anche nella musica la sua tipicità, il suo essere arte popolare pura. Egli fu un autore eclettico e geniale allo stesso tempo. E mi permetto di dire, un Renato Carosone ante litteram, che di questa tradizione scenica e musicale fu un altro grandissimo interprete, spassoso e burlesco allo stesso tempo.


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