Floriana Coppola "Cambio di stagione e altre mutazioni poetiche"
Elio Scarciglia - costa a nord di Otranto

Floriana Coppola "Cambio di stagione e altre mutazioni poetiche"

diCinzia Caputo

La parola è un’esigenza insopprimibile, essa apre le porte dell’anima, è viaggio di amore e conoscenza, di noi e del nostro rapporto con noi stessi e con l’altro in noi. E se la parola è già conquista, la scrittura ha una straordinaria valenza simbolica che conferma la parola e le dà durata e memoria. In questo senso la scrittura è costruita sulla ricerca della verità e la conoscenza di sé, scrivere è riflettere su di sé, in quanto disvelamento di sé. Tutto questo si riflette nel lavoro del poeta.

Scrittura fluviale quella di Floriana, si sente il suono dell’acqua e questo scorrere della parola è come polvere di stelle sulla pelle.  La sua cifra fortemente femminile, ma allo stesso tempo forte e incisiva è nella denuncia di una ingiustizia subita, di un femminile schiacciato che si rivolta.  La denuncia non si ferma a questo ambito, si apre e si allarga a tutte le minoranze offese e abusate, così la sua parola diventa grido sociale.  

Floriana   ci presenta tutti i ruoli, la madre, l’amante, la figlia, la vecchia, il padre, il figlio: "lo so, sono qui adesso / più giovane dell’ultimo dei miei figli…lo straniero insofferente, il padre ambiguo che ammala l’anima… fermo il tempo delle rughe e dei seni gonfi di latte / sono il desiderio della madre... abito la mia solitudine di vecchia che non conosce tempo /", ma in tutti questi ruoli si sente la ferita e la ferita porta con sé una maschera, si copre e si difende con la maschera, e con la scrittura risponde al desiderio di strapparla via. "Non sono che madre di cartapesta e oro / finta e pacchiana come una festa di paese…. Quante maschere piene di orpelli, finte ciglia sorrisi di silicone, sguardi torvi e fianchi di plastica dove si arena la carezza stupida del tempo che passa inesorabile sulla pelle malgrado ogni sforzo per reggere la caduta verticale del potere della gravità… L’altro si trasforma in una maschera di plastica e dentro più niente…".  La parola più usata nel lessico di mutazioni è Maschera, la maschera è anche amplificazione, evocazione, come nel teatro greco, maschera, ossia Persona equivale a personaggio, ma personaggio è già letteratura, ci muoviamo quindi nell’ambito della finzione. Floriana gioca tra le quinte, si nasconde e riappare, ma sa che la finzione non è mancanza di vero, è ricerca della verità.  La letteratura infatti, si occupa del vero, mentre lo storico del verosimile.

Siamo dunque in teatro, la parola va in scena: "In scena: sfila il carro come nomade raggiro, su asfalti roventi e pietra lavica…"  "tradisco ogni giorno la revisione dei patti e mi nascondo / dietro tutte le porte, con ansia felina di chi è foresta e rovo / non innalzo muri nella città blindata dell’abbraccio/ mi incateno alle inferriate di ogni sillaba conosciuta / per tenermi a terra, comunque".

La cifra di Floriana è l’immagine, ogni parola infatti costituisce un’immagine, si apre su un’immagine che si apre su un’altra, come nelle scatole cinesi, che proseguono in un dialogo, un incontro, a volte uno scontro. Siamo nel territorio di Psiche, perché l’immagine è Psiche e il viaggio di Psiche e il viaggio di ritorno all’Anima.

Torniamo così alla   maschera qui come nell’uso funerario, richiama la divinità, evoca gli spiriti per cercare il contatto con l’Anima.  La ricerca infatti è di una parola che animi che sollevi per ritrovare la relazione con il profondo e con sé stessi, con la propria Anima e qui la maschera si lacera.  La dimensione scenica nella quale ci stiamo muovendo è quella di Persona /Anima…"Abito la mia casa/ Anima…"  "l’anima si sfrangia in spighe, germoglia semi e frecce / per colpirci al petto, in un solo punto unito / posso morire così stretta nel tuo pugno…". Anima risponde al femminile a quel femminile ferito che corrisponde  anche  al collettivo e al sociale è l’Anima del Mondo che soffre e che Floriana sente, ascolta rivive  nella sua scrittura, che  a tratti sembra gridare attraverso parole che si incidono nella carne, parole che sanguinano: "rimane ferita infetta, reliquia che macchia e crepita, vizio di nascita/stana infami colonne di sangue fraterno ancora nascosto…" "frugo nei versi per tagliare il velo / condizione scalza dell’anima/ferita in petto che non muore…"Le ferite forgiano i nostri destini, sono nostro padre e nostra madre, l’esser feriti rappresenta la condizione dell’essere stati scelti da Psiche. "lasciatemi andare, ho ai piedi cenni d’ ali".

La ferita così, è conseguenza del dono dell’Anima, il dono del talento e della creatività, ogni ferita è una ferita mortale, il riconoscimento della propria mortalità. Ed è uno spirito nuovo quello che emerge dalla ferita/feritoia che diventa logos spirituale.   L’essere feriti è la condizione iniziatica per l’incontro con Dioniso, coscienza della morte, Coscienza /Anima femminile che permette la discesa agli inferi. "Scendo veloce nel labirinto / scivolo lungo il corridoio senza luce / senza la misura del tempo...". Mario Luzi a proposito della funzione della poesia, riferendosi a Rimabaud, parlava di fenditura o diaframma quasi colmati. La poesia è proprio questo, un tentativo estremo, temerario e determinatissimo di colmare la distanza che ci separa, che separa tutti noi dalla nostra più autentica natura che è poi la scoperta del legame profondo che ci unisce, unisce tutti noi come esseri umani.

"l'amore quando è profondo precipita ogni essere e lo innalza in volo".



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