Carla Francesca Catanese, Medio Eva
Lasciatemi disporre le mie ossa/ diverse da com’erano finora/
le mie ossa, questi fastidiosi ostacoli/
che sbarrano la strada della carne.
( Nina Cassian)
Carla Francesca Catanese si definisce kinotica, poliespressiva, analista culturale, ricercatrice compulsiva di senso e di sperimentazione linguistica applicata soprattutto del rapporto occhio/parola. Eppure queste definizioni non la contengono ancora interamente. Molto altro sfugge a una definizione completa per descrivere una tale complessità artistica, policodica, intricata e inestricabile. E questa sua nuova opera lo testimonia, infatti. MEDIO EVA è solo un testo poetico? Assolutamente no. Lo considero maggiormente un portale poliuniverso per entrare in una prospettiva multidimensionale, dove la dimensione metropolitana moderna conversa e si scontra con gli archetipi letterari medievali e neobarocchi, recuperando, dove è possibile, rimandi cinematografici che si incastrano, come frammenti di senso, nel corpo già martoriato delle pagine. La punteggiatura e lo spazio bianco diventano lame di questa vivisezione culturale immaginifica.
Un’altra mano renderà cinema /e forse un poco più di grazia /toglierà questa sensazione instabile
d’ombra e di schermo.
Niente viene perso, nulla va eliminato, ma mescolato e rimpastato, ridigerito e metabolizzato nei versi. Un testo altamente stratificato, giocato su vari binari dove si vitalizza la percezione di essere immersi in un acquario contemporaneo torbido e condiviso. Una visionarietà marcata che ricorda alcuni film distopici come Blade Runner. Una narrazione poetica che usa spesso la prima persona plurale come un urlo profetico e sibillino, che annuncia un’ Apocalisse moderna.
E ci siamo calati la notte aspra/ nelle vene/ alle stanze dei piedi/ come sonetti /poeti scalzi d’unico intento/ giacere / sottoterra/ a riveder le stelle.
L’Inferno dantesco diventa ispirazione parossistica e grottesca di un inferno moderno atroce e inarrestabile, un purgatorio senza vie di fuga, dove la consapevolezza profonda di essere perduti e soli diventa il marchio di fabbricazione di un’umanità dolente e maledetta.
…e ci troviamo alla deriva/ anime storte/ che/ un Caronte qualunque/ ci offre la sponda /maledetta
baratta col nocchiere clochard chic.
La lettura delle pagine crea una vertigine ipnotica. L’atmosfera ricorda il movimento surreale della cinepresa di Lars Von Trier, dove la natura primordiale e cannibalesca degli esseri umani si avviluppa nevroticamente all’ambiente tecnologico e multimediale. Il soggetto è il fruitore e il protagonista narciso e voluttuoso del suo presente infinito, preso e catturato dal mostro multiforme dei social net work, filmato e fotografato come un Narciso postmoderno che seduce ed è sedotto dalla sua Eco, è un riflesso che si moltiplica in modo esponenziale attraverso il centuplicarsi di specchi digitalizzati.
insorgono dai cieli/ peccati secolari capovolti come cosce di maiale a stagionare
possenti arti della pena - c’è un clima gelido - Hecce Homo risale dai canali digitali
Siamo figli di tutti i Padri che siamo. /padri di tutti. / .i figli./da quando l’Apocalisse ci somiglia
e troverò il tuo nome addosso, indelebile come il Dolore
L’autrice tenta di realizzare con le parole, con tutte le parole che cattura nel suo viaggio, quel vortice irrefrenabile di immagini in movimento, di slogan, di luci e di ombre del mondo massmediale, digitalizzato e informatizzato. La vita virtuale dei social network e dell’universo cinematografico colonizza così la vita reale. Ogni persona diventa maschera, personaggio, finzione caricaturale di un archetipo che si stravolge e si gonfia, diventando altro, nascondendo la sua essenza, mistificando la sua vera e fragile identità.
.io.
Eva mediocre che.
:glitch/
ho addentato_per te
.l’Apocalisse.
rec.arts.movies
Le stanze dei versi sembrano mattatoi dove vengono scuoiate le parole, smembrate le strofe e l’archeologia dei passati inferni ritorna dissezionata e contaminata da altre lingue, da inserti pubblicitari, dai frammenti esplosi della corruzione capitalistica, globale e commerciale. Siamo consumatori compulsivi su una galassia deambulante, consumatori anche di noi stessi. Niente rimane puro e innocente in questo impasto multisensoriale. Catanese attraversa tutti i mondi, il nostro Purgatorio urbano, gli inferni danteschi, i paradisi digitali e ne esce come un argonauta disillusa e amara, dentro la sua tuta di amianto infiammabile.
Io voglio imparare le ombre.
a come disfare la luce.
Siamo oggi immersi tragicamente in questo medioevo, attraverso una visione individuale che registra una mediocrità emergente che avviluppa i corpi e le persone. La scrittura diventa performativa e tridimensionale, appartiene al vissuto di un’Eva mediocre. Il forte simbolismo sperimentale che innerva interamente il testo costruisce una narrazione drammatizzata, messa in scena come un fuoco di artificio, con pirotecnica euforia. L’io narrante ha una calibratura microcellulare e poi gigantesca, come se vedesse la realtà da una distanza microscopica e poi da altezze inimmaginabili. Una specie di dilatazione sospesa, come quando il corpo è sotto la pressione di un acido iniettato in vena.
Il mito arcigno digrignerà la sua bocca di Lupo, / e allora non ci saremo per nessuno. /Che tanto gli Dei sono morti, / e sarà quasi Natale.
…
e ci siamo persi nel mito arcigno del dirupo/ sette volte cent’anni di lupo/ costellazioni magre e bombe sull’asfalto…
Tutto è frammentato e poi dilatato, le citazioni letterarie si mescolano alle memorie sincopate dei cartelloni pubblicitari, ciò che sembra interno viene esternalizzato. Un incubo che si muove nel labirinto cerebrale. Il linguaggio cinematografico viene più volte ripreso, il testo è pieno di citazioni filmiche. Il discorso distopico travolge e disorienta chi legge, ma i vissuti autobiografici rimangono.
il calco non a
:parlare l’urlo.
di noi :fossile:_ miseria
Eraserheads
Citare questo film di David Lynch, capolavoro cult della cinematografia postindustriale, fonte di ispirazione per altri registi del calibro di Stanley Kubrick, non è assolutamente casuale. Questo scenario tetro, angosciante e inquieto è lo sfondo esistenziale dove inserire questo laboratorio poetico performativo. La poesia sperimentale di Catanese è un impasto incandescente di visioni tenute insieme da un verso libero e anarchico, che non si fa piegare da nessuna regola.
il cielo è dei violenti / tra gironi incompiuti che si cercano i solchi/ sulla sfera adombrata di Perseo
che passi terra qualunque / di benzine&caviale.
La commistione di generi e di codici è di così grande intensità da creare un melting pot semantico di grande raffinatezza. L’universo dantesco viene richiamato ma senza nessuna percezione verticale, trascendentale. Non c’è Dio, non c’è salvezza. Tutto rimane doloroso fermo sul piano orizzontale. Il discorso teologico viene azzerato dalla sofferente coscienza di una totale solitudine dell’uomo. L’elemento distopico presente in questa raccolta nasce proprio da questa tragica percezione del nulla, di un’ assenza di senso che terrifica.
Ha i suoi poligoni di tiro / la morte in vita / tu non li vedi i dardi infuocati / ci percuotono le ciglia
razzi impazziti / che raggiungono.
La lettura di MEDIO EVA lascia senza fiato, apre con uno schiaffo uno scenario che non può essere dimenticato facilmente e pone mille interrogativi sull’eredità morale e valoriale che abbiamo lasciato alle nuove generazioni, questa desertificazione tecnologicamente ricchissima ma povera di speranze, questa orfanage progressiva di una paternità universale e consolatrice che viene rimossa, cancellata, perduta dietro la droga potente di una egotica e ipertrofica realizzazione di se stessi, come accumulatori seriali di cose e di esperienze.
Dalla culla ho imparato i pugnali
come deglutire lame di latte ᴘʀɪᴍɪᴘᴀssɪ adamitiche impronte
la bellezza i ciliegi essere
l’essere che galleggia le assenze
:per nasconderti da grande dentro:
l’urlo
un esercito :danze evanescenti
:dell’umana fragilità
cortilia Christi & amuleti pagani)
/che ho accudito i tuoi falsi angeli sotto un ventre di carezze/
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