Da Calvino a Jung attraversando un castello di destini incrociati
Paola Casulli “Ladakh, i monasteri sopra le nuvole”

Da Calvino a Jung attraversando un castello di destini incrociati

diCinzia Caputo

Calvino si è interrogato sulla questione della regolarità della forma e della struttura, ed anche su quella delle varianti e variazioni degli aspetti simbolici delle fiabe. Rispetto ai caratteri costanti, Calvino sostiene che: il “farsi” dei destini umani, l’applicarsi di una perduta logica, dimostra l’infinita metamorfosi di ciò che esiste1.  “L’universo della fiaba, in questa luce, si configura come una grande enciclopedia del narrabile, di funzioni originarie che più o meno trasformate si possono ritrovare alle spalle di Chisciotte, di Amleto, Ulisse, ecc.” 2 Calvino così, ritrova nella fiaba lo schema insostituibile di tutte le storie umane, l’intero universo della narrativa e le sue costellazioni.   Il patrimonio fiabesco è di fondamentale importanza perché conserva la memoria di una collettività tramandata oralmente, e la psicologia del profondo le ha utilizzate come prodotto della fantasia, che riguarda la struttura della psiche non solo individuale, ma collettiva. Secondo Jung” Nei miti e nelle fiabe, come nel sogno l’anima testimonia di se stessa e gli archetipi si rivelano nella loro naturale correlazione come: il formarsi, il trasformarsi, il conservarsi eterno della eterna idea”.3 Tipico  esordio di una trama fiabesca è “c’era una volta”, indice d’una sospensione dello spazio e del tempo, in una dimensione metastorica vicina alla dimensione dell’inconscio. Ogni fiaba presenta, in modo graduale, uno sviluppo esistenziale, quasi un programma che designa il divenire del sé, l’individuazione. Ogni individuo tende a realizzare la propria configurazione psichica, rispondente a determinate constanti e tuttavia essenzialmente irripetibile. Nei miti si scoprono i modelli basilari della psiche umana rivestiti di elementi culturali, mentre nelle fiabe il materiale culturale è presente in misura molto minore.  Le fiabe hanno una precisa caratteristica di forma e contenuto, i personaggi non sono connotati nella loro individualità, essi si muovono come tipi o funzioni, i protagonisti sono spesso i semplici oppure re e regine, simili a modelli che si muovono nella categoria del meraviglioso.  Un dato significativo è rappresentato dal numero e dal genere dei personaggi, nonché dalle successive variazioni di questi fattori dall’inizio alla fine che mettono in evidenza la natura del problema di cui la fiaba è portatrice.  C’è sempre una difficoltà o una mancanza a partire dalla quale il protagonista deve mettersi in moto, le successive peripezie oltre a specificare le ulteriori caratteristiche del tema proposto, rappresentano il cammino attraverso il quale la situazione giunge ad una lisi: il viaggio alla fine raggiunge il suo scopo, il tesoro trovato, la fanciulla liberata.  La fiaba costituisce un’astrazione che narra un’esperienza sempre viva per l’essere umano che dirigendovi il flusso delle proprie emozioni può ritrovare il sottofondo impersonale del cammino dello sviluppo psichico.  La genuinità creatrice della fiaba, intesa come traduzione delle immagini originarie, nella narrazione orale e scritta, lungi dall’essere depositaria di mascheramenti e coperture, è una storia compiuta che attende d’essere congiunta con la vicenda psichica ed esistenziale dei singoli individui.Seguendo lo svolgimento del racconto, attraverso la serie dei motivi giungiamo a un’unità di senso. In tale attività di rappresentazione il materiale si configura non più come patrimonio del solo narratore, ma è inscritta in una relazione, (come quella con il lettore), in cui l’esposizione di eventi in un racconto appare in primo luogo come capacità dell’essere umano di organizzare la realtà. Alcuni autori hanno evidenziato come sia la trama a connettere gli eventi conferendo loro un senso, per Hillman, la costruzione di una trama implica l’esistenza di “un operatore di storie”, poiché la tessitura di una trama rimanda a qualcos’altro presente nella mente e nella cultura del raccontatore.  Le trame rimandano ai miti e troverebbero in questi ultimi le risposte basilari ai perché di una storia.

Immaginiamo ora che Calvino incontri Jung seduto su un trono come l’imperatore, attraversando un labirinto di silenzi procede con un andamento sinistrorso verso la rappresentazione di un processo iniziatico attraverso cui si sperimentano le immagini del profondo. La spirale immaginata ci racconta di un viaggio verso l’interno, un viaggio fatto di partenze e ritorni: la sosta nella locanda, il ponte per raggiungere il castello, l’imprigionamento, la follia, tutto questo avviene attraverso le immagini dei tarocchi che Calvino utilizza nel Castello dei destini incrociati. Sincronicamente accade tutto contemporaneamente nel medesimo castello. Il gioco ha inizio, l’oste posa un mazzo di carte da gioco, i personaggi si identificano con le immagini delle carte, intrecciando il loro percorso di vita.  Ciascuno estrae le carte, osserva le loro immagini, mette in relazione le diverse figure, ricerca le narrazioni che ne ispirano il senso: stanno decifrando la storia della loro individuazione. Parola e immagine sono tappe obbligate di attraversamento, luoghi di passaggio in cui i personaggi precisano la loro funzione. Calvino parte idealmente per un viaggio conoscitivo in cui il potere delle immagini è nel loro prodursi in movimento.  Un movimento che proviene dall’inconscio e che contribuisce a creare la realtà che abitiamo. “Il Castello dei destini Incrociati” è un’apparente raccolta di storie brevi, raccontate attraverso la simbologia dei tarocchi, incorniciate dalla vicenda personale del narratore, questa modalità strutturale adottata dall’autore rappresenta una riflessione sulla vita e le sue infinite sfumature. Immagino Calvino mentre dispone, toglie e alterna le carte, pare quasi che le carte stesse, le storie, i personaggi si impongano, autodeterminino se stesse e il loro posto nella storia.  E' Calvino che organizza il materiale per raccontare le storie o sono le storie che si organizzano per farsi raccontare da Calvino? E' l'autore che sceglie cosa narrare o sono le e storie già narrate in passato che riemergono in nuove forme ?  Non possiamo non pensare alle grandi opere, come la Divina Commedia, Faust, l’Odissea.  Il significato che salva la vita di ognuno dal mero succedersi degli eventi consiste nel lasciarsi dietro una figura, ossia qualcosa di cui si possa scorgere l’unità del disegno nel raccontarne la storia. Tutti i dolori diventano sopportabili se li si inserisce in una storia, e la storia rivela ciò che altrimenti rimarrebbe una sequenza intollerabile di eventi.



1 M. Lavagetto, in “Fiabe Italiane”, ed. Mondadori 1993, p.xxx

2 Op.cit

3 C.G. Jung “La simbolica dello spirito” ed. Einaudi 1975, p62

 

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