Dall'aldilà. Poesie di Guerra di Carlo Focarelli
Ivor Prickett, L'area Bucha è stata completamente devastata, 2022, Bucha, Ucraina

Dall'aldilà. Poesie di Guerra di Carlo Focarelli

diFloriana Coppola

Poesia, filosofia e politica nelle epoche antiche erano unite dalla forza di un immaginario epico di enorme valore, considerato allora  patrimonio fondativo per l’educazione delle nuove generazioni, cammino di formazione culturale e pedagogica. Ma nell’era moderna, con la crisi di ogni idealismo, di quale epica si può parlare? Da quale “al di là” arriva questo canto che parla di guerra e di una impossibile pace? Quali possono essere gli interrogativi  che possiamo ancora affrontare  per una riflessione costruttiva e capace di andare oltre  la percezione di un dramma infinito, che tutti ci coinvolge? Carlo Focarelli, professore ordinario di Diritto Internazionale, intellettuale  sensibile  alle questioni internazionali travagliate da scenari bellici intramontabili, usa la parola poetica come ponte necessario tra le sue due anime, il docente e il poeta. Colui che insegna il diritto e colui che prova a sondare le profondità dell’animo umano come spesso solo la poesia riesce a fare. Lo scenario storico che fa da sfondo alla sua narrazione poetica è la guerra sanguinosa tra l’Ucraina e la Russia nel febbraio del 2022. Una guerra a cui abbiamo partecipato sgomenti e sconcertati, addolorati e impotenti dai salotti delle nostre case. E di questa impotenza struggente e disarmata parla Carlo Focarelli. Può la poesia ampliare la potenzialità insita nell’uomo di empatizzare con il suo simile? Siamo ancora capaci di passare dal vampirismo dell’io alla solidarietà del noi?       Siamo capaci di sconfiggere il demone della sopraffazione e  della sete di potere contro il valore di una comunità universale solidale e coesa?  Carlo Focarelli cerca di rispondere a queste domande con il suo lungo monologo poetico. Non troveremo risposte certamente ma uno sguardo meditativo sulle cose e sui dettagli di una realtà tragica che non tende verso il bene.   Il  suo poema epico e anti- epico risente prima di tutto della percezione di una coralità desiderata e scritta, quel “noi” antico che prima era patrimonio comune ma che adesso è stato sostituito dalla religione dell’io. Il canto corale che il poeta sviluppa verso dopo verso, si addentra  nella declinazione oggettivante della convivenza umana, con le sue contraddizioni e le sue asperità. L’uomo di diritto conosce il gioco drammatico della “polis”, il travagliato lavorio delle leggi, delle norme e delle regole per contenere la brama del singolo e educare al rispetto dell’altro, quelle leggi utili  per garantire  pace e giustizia, obiettivi mai raggiunti del tutto e sempre da difendere giorno per giorno. Dalle prime pagine sembra quasi  che la poesia permetta al giurista di esprimere il suo dolore, di lasciar andare la sua percezione profetica verso un umano che si allontana dalla gerarchia valoriale più evoluta. Ogni poesia diventa pretesto per trascrivere quell’amarezza, quella delusione per uno scenario che non cambia, che rimane fisso sui suoi demoni affamatori: l’egoismo predatorio, la violenza che si organizza in strategia bellica, il piacere, antico di millenni, di far guerra e di costruire l’immagine del nemico da distruggere,  con la tenacia di sempre. 


 Dove cominciare a muovere/ l’ardore per una convivenza/umana si chiede registrando/l’orrido d’intorno, ognuno/ anteponendo le sue ragioni/contro le non ragioni altrui,/se non retrovertendo al suo/interno e trovarvi la radice/ di quell’orrido, la sua nudità/i suoi mancamenti, le misere/ ragioni che accampa, lì dove/finalmente può osservare/ la sua incapacità di essere/ all’altezza, il suo impossibile/ volersi artefice del mondo/e di sé, e iniziare a vivere/(vano altrimenti lamentarsi)/proferendo la sua preghiera.


L’uomo, il poeta e il giurista sono unica persona che si interroga su quell’orrido che tutti ci circonda e la cui radice risiede nelle profondità dell’animo umano. Quello scontro perenne tra Apollo e Marte, tra il demone che affama l’ego e l’idealità di una comunità evoluta capace di proteggere gli ultimi e gli indifesi dalla logica predatoria del mercato. L’uomo si aggira come un lupo vorace. Essere consapevoli di questa battaglia interiore a cui porre rimedio è l’obiettivo di ogni percorso culturale che non giustifichi  il concetto di libertà come libertà assoluta per andare contro le ragioni dell’altro. La costruzione poetica lega i testi l’uno all’altro, in una catena riflessiva, che procede come un lungo monologo diviso in stazioni. Novenari e decasillabi si alternano in questa narrazione in versi di uno sconcerto amaro, un dialogo incessante con un lettore immaginario e nascosto. Un poema epico che affronta con la sensibilità di un uomo moderno i disvalori di una società ammalata che non vuole assolutamente cercare strategie possibili per guarire. 


Scappano da quell’incendio/ nel gelo, e la vita profonda/ nella corsa, inseguiti, steli/ spazzati, è la tempesta ora,/è il sovvertimento, l’ordine/ violato, il cuore sbriciolato/il soffio che fugge nel buio,/la sconsolata presa d’amore/ che cede, spossato il ritorno,/il dubbio sul cuore sospeso,/sorpreso, lì sotto le bombe/ della truce guerra, il vandalo/ che trafigge, e poi sarà la fine,/ fine, fine dell’ardire umano/ atroce dolore per noi, pietà. 


In questi versi accorati, il poeta esprime lo strazio delle vittime, vulnerabili e indifese come steli spezzati. Le bombe della guerra uccidono i disarmati e noi assistiamo addolorati  e sgomenti a ogni atrocità. La guerra vuole sottomettere la nobile ragione  della pacifica convivenza sociale al pensiero binario che crea dicotomie cannibali: nemico/amico, buono/cattivo, oppresso/oppressore. Si forma in questo sguardo pietoso, quella misericordia  agognata e avvilita, che vuol dire sentire con lo stesso cuore e quindi  superare le barriere che una visione manichea e violenta fomenta per aggredire e stordire con la paura del nemico da sconfiggere. La costruzione della pace parte proprio dalla possibilità di vincere dentro di noi questa guerra continua, di fermare una volta per tutte nel nostro immaginario collettivo l’idea di un confine da difendere con la vita e di pensarci cittadini del mondo, fratelli della stessa famiglia degli umani.

 


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