Emily Dickinson: l'arte per l'essere - Seconda parte
La madre non poté costituire per lei un modello, possiamo supporre sia mancata una positiva identificazione, una carenza che lascerà il segno. Le radici della solitudine affondano in questa ferita, ma essa è anche la feritoia da cui Emily si aprirà il varco. "L'uomo creativo" è facile preda del disagio psichico, perché particolarmente esposto alla soverchiante grandezza del mondo archetipico, alla totalità del sé, e alla sua originaria ambivalenza sessuale, a cui egli resta aperto e disponibile: infatti tale sensibilità non permette l'adattamento attraverso i valori unilaterali del proprio sesso.. Emily nasce in una cultura puritana, dove la dimensione del corpo ha una accezione puramente negativa, ella anela il proprio corpo perduto, e sarà tale desiderio a prendere forma nella sua poesia, che costituirà il suo vero corpo. Infatti tale ferita conduce alla perdita della "terra", cioè all'impossibilità di un positivo sviluppo del femminile, a una rottura della continuità del vissuto corporeo e di tutto ciò a cui presiede la funzione dell'eros. Attraverso l'immaginario che si sprigiona nel desiderio, inseguito e anelato, il corpo dell'altro rivela il suo mistero: quello della creazione; Emily dà vita a un nuovo corpo, il corpo trasfigurato e simbolico della sua poesia. Le metafore del cuore, del sangue e dell'acqua, sono le immagini attraverso cui si va costituendo tale creazione; esse richiamano i misteri di trasformazione del femminile, che sono in relazione alla nascita e alla fecondità.
Emily si serve spesso della metafora del fiore e dell'ape, in cui si rintracciano i simboli sessuali del maschile e del femminile, ma il simbolo dell'ape nell'universo dickinsoniano è vasto, e insieme agli attributi di "Alticcia Bevitrice" o "Baccante delle Rugiade", esprime la sfrenatezza dionisiaca del suo immaginario erotico, attraverso cui ella si libera e riesce a liberare la "Mater", nel senso di materia, dal castigo e dal peccato in cui la sua cultura l'aveva imprigionata.
Nell'universo di Emily si staglia, prepotentemente, la figura del padre di cui ella traccia indimenticabili ritratti; nel suo voluminoso epistolario, egli appare continuamente, da quando Emily è ancora una bambina, fino alla morte di lui, ed anche oltre. Non è difficile cogliere il significato che deve aver assunto il padre nel cuore di Emily. L'importanza è data sia dalla effettiva personalità dell'uomo, ma anche dall'autorità di cui viene investita tale figura, nella società del tempo. L'autorità paterna, può allora aver assunto nell'immaginario di Emily, i tratti di quel Dio dispotico ed assente, che è il Geova del Vecchio Testamento, il Dio che non si è ancora incarnato per amore dell'uomo. E al padre che Emily si rivolge come garante dell'ordine, colui che può salvarla dall'abisso, dandole sicurezza e protezione, ma nello stesso tempo, egli incarna un'immagine collettiva severa e distante, che non potè mai restituirle ciò che le era mancato: "una carezza che forgiasse il suo corpo".
Emily sentì quella "Parola indiscutibile", al cui confronto la propria resta sempre "piccola", lottò per trovare una sua identità, recuperare "una parola" che potesse reggere quella paterna.
Emily dunque parte da una asimmetria di fondo, qualcosa che si vive sulla propria pelle, come un torto subito o una colpa commessa, in ogni caso come un'assenza che ferisce. Scegliendo allora come interlocutore Dio, Emily si rivolge al "Grande Assente", a colui che non risponde e non può che rinviarla a se stessa. "Quell'assolutamente Altro, lontano e distante, è tuttavia il partner che Emily sceglie per sua avventura" e le dà senso. Parte perdente in un rapporto originariamente impari, che lei sfida, in uno scontro degno di un personaggio titanico. Il potere che Emily afferma è nel restare aperta a tale irrimediabile mancanza, e in quella incolmabile assenza, fonda la sua parola. L'assenza paterna, ma più che di assenza possiamo parlare di una "potenza" che tiene a distanza, fa sì che il padre perda le reali fattezze umane, per erigersi a puro simbolo.
Nell'aprile del 1862, Emily fa il suo primo ed ultimo tentativo di pubblicazione. Si rivolge a Thomas Higgin-son, giornalista e scrittore, impegnato in politica. Emily aveva allora 32 anni e forse desiderava aprire il suo orizzonte artistico e personale. Trovò un conforto, forse un amico, ma anche la risposta che le chiarì il senso della sua arte. "E troppo impegnato per potermi dire se la mia poesia è viva? la mente è così vicina a se stessa da non riuscire a vedere con chiarezza ed io non ho nessuno a cui chiedere, se lei mai pensasse che essa respira / e se avesse la possibilità di dirmelo, io le sarei subito grata. / Se invece io mi fossi sbagliata, il fatto che lei avesse avuto il coraggio di dirmelo, mi farebbe provare ancora un rispetto maggiore nei suoi confronti. / ...Le chiedo per favore, signore mi dica la verità, lei non mi tradirà, è inutile che glielo chieda perché l'onore è pegno di se stesso". Higginson non potè essere di aiuto per la sua crescita artistica, egli non comprese il genio poetico della Dickinson, i suggerimenti convenzionali che miravano a ricondurla sui sentieri battuti dal conformismo letterario non potevano convincere Emily ad operare "tagli al corpo" della sua poesia. Rifiutò le "operazioni chirurgiche", come lei le definiva, che tentavano di ricondurre i suoi ritmi sfrenati, le sue rime taglienti a una più pacata e femminile dizione. I poeti anticipano i mutamenti futuri dei canoni culturali dell'epoca in cui vivono, ed è per questo che spesso sono degli isolati e vengono scoperti, a volte, solo dopo la loro morte, sorte che toccò alla Dickinson, come a Melville. L'artista è come uno strumento musicale suonato dallo Spirito che lo possiede.È probabile che Emily avesse compreso che il suo messaggio doveva attendere per essere colto; infatti ella non si scoraggiò, né si fece distogliere dal suo cammino, conquistò un suo metro di giudizio, rispetto ai canoni letterari del tempo, di cui Higginson era un rappresentante. "Mette all'asta la mente Chi la dà alla stamperia, Sii pure mercante Della celeste grazia / Ma a spirito d'uomo / Non infliggere l'onta del prezzo". Emily non accetta compromessi, il prezzo sarebbe stato la negazione della sua arte e della sua libertà, è conscia del suo valore e del senso della sua ricerca, che oltrepassa la dimensione mortale del tempo. Higginson costituirà, malgrado lui, il metro della sua crescita, ma in senso inverso, non come avvicinamento alla meta, come riconoscimento esterno, ma come distanziamento da esso. Nella visione di Emily vince chi perde, il possesso non è che illusione e vanità. Indifferente ai facili giudizi e alle verità scontate, critica e sarcastica verso i benpensanti, in quanto profonda conoscitrice dell'animo umano non poteva non sentire l'irriducibile separazione tra la verità interiore, scoperta faticosamente in se stessi, e il chiacchiericcio del mondo. "La matrice in cui si semina la parola è il Silenzio", e i significati non si trovano nelle parole, ma tra le parole. L'anima non può essere conosciuta né condivisa da altri, l'avventura della vita ci consegna alla solitudine. Per Emily il "successo" si colloca in uno spazio in cui la sua logica non può e non vuole rientrare: "Per occhio sagace Molta Follia è il più divino senno / Molto senno la più grande follia". Ella sfida il giudizio per proiettarsi oltre, verso il futuro, dilatando la sua sfera personale, Emily varca la soglia dell'infinito e lo abita. Il suo fu un vero atto di sfida all'immortalità, a cui dà un volto plausibile: l'ignoto che lei aveva esplorato e vinto trova una realizzazione, perché la sua voce è giunta fino a noi, l'alta statura del poeta si è data la misura dell'eternità.
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