Ex madre, dolente diario dell'assenza
"Con poche eccezioni, queste poesie sono state scritte nel primo anno successivo alla morte di mio figlio, avvenuta nella notte tra il 4 e il 5 luglio del 2020".
Queste le prime righe della Nota dell'autrice, a pagina 119 del libro Ex madre di Francesca Del Moro (Arcipelago Itaca, 2022).
La poesia è concava come il ventre di una madre che ha accolto un seme altrui, lo ha nutrito col proprio sangue (straordinaria è la simbiosi madre-figlio nella gravidanza), fino al momento il cui il neonato è divenuto altro da lei. La poesia segue il medesimo sentiero, dà ospitalità a quel quid che intriga la mente del poeta, si sviluppa nell'intimità dello studio e della riflessione, poi sgorga sul foglio, in una nuova autonomia essente.
La poesia è concava e contiene anche il vuoto. Il più atroce, terribile, immenso vuoto. "Il lutto per il figlio - scrive Rosaria Lo Russo nella prefazione alla silloge - è un’esperienza di dolore fisico che replica un riempimento gravidico rovesciato di senso". Pienezza di un'assenza che innesca infinibile tormento. Nascita e morte comportano il travaglio.
Davanti a quell'abisso, l'autrice non ha scelto il silenzio. Ha scritto. Ha portato in poesia lacrime, pena, stordimento, dando vita a un diario poetico di rara potenza.
Il figlio non c'è più. Egli è evocato con i mezzi della memoria che si legano ai contorcimenti dell'animo materno. Colei che esplicitamente si definisce ex madre, mostra di essere invece madre vera, viva, assoluta, poiché in grado di accogliere (e amare) il figlio che si fa sentire nella propria assenza (straziante). Una promessa: quel che è stato è e rimarrà in purezza nella distillazione della parola, poiché la poesia coglie l’essenza della vita (anche quando dice della morte) e tende a farsi essa stessa vita. È quindi un vitalissimo lutto quello attraversato poeticamente da Francesca Del Moro.
Di sofferenza sono tutte le pagine, tutte le poesie, tutte le righe della raccolta. Sofferenza che straborda dalla realtà, ma che, come evidenzia il libro stesso, è possibile trasporre e contenere nella realtà poetica, l'unica che può offrire un minimo di agio alla sopportazione della tragedia. Non credo sia possibile parlare di catarsi poiché nemmeno l’azione liberatrice della poesia, che purifica e lava, può lenire il dolore dei dolori, quello della perdita di un figlio. Tuttavia spero che la stesura di questo diario del lutto una funzione benefica l'abbia avuta per l'autrice. Certamente tale beneficio è giunto all'arte della parola e al lettore che ha potuto partecipare al rito, terribile e straordinariamente luminoso, di Ex madre. La luce del vero si trova là dove persiste l’oscurità. Là dove le tenebre sono più fitte. Lungo il confine fra morte e vita, dove la parola poetica può cantare il dicibile e l'indicibile.
Non si esce da questo testo con la stessa coscienza con cui si è entrati, perché trattasi dell'offerta di un'acuta, dilaniante esperienza di dolore, che comporta un piegamento, una deviazione dal presunto cammino sicuro della quotidianità. Volendo fare un paragone con altra opera d'arte, la mente corre a La stanza del figlio di Nanni Moretti, Palma d'oro a Cannes nel 2001, film che evoca travolgenti ombre, capaci di trasformare lo spettatore, proprio come accade leggendo Ex madre.
Sul referto ho letto,
dettaglio per dettaglio,
la geografia della morte
sul suo giovane corpo,
il corpo ora polvere mista
alla polvere del legno
e della stoffa dell’abito elegante
che ha scelto per andarsene.
È stato messo a scaffale
un barattolo col suo nome
e il logo delle pompe funebri.
Sulle prime sembrava una merce qualunque.
Mi dicono il tempo
calmerà il dolore
ma io non voglio
perché il tempo che scorre
lo allontana, lo trattengono
questi morsi in tutto il corpo,
questi morsi sono ancora lui.
Di colpo, tra un’email
e una traduzione, un caffè
e uno squillo del telefono,
il freddo nel petto, il brivido
in gola di spavento, sentire
che lui non c’è più.
Guarda il vuoto.
Affronta il vuoto.
Sopravvivi
come un’incrostazione sul muro.
Numero di figli: zero.
L’innocente ferocia
di un banale questionario.
L’amore mio immenso.
Zero.
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