Fernando Lena – Black Sicily
Nella polifonia si registra la nota principale di Black Sicily di Fernando Lena (Arcipelagoitaca 2020). Varietà di registro si fonde con pastiche linguistico, momenti di ironia convivono con altri di amara riflessione e gravitas. Già la scelta di intolare l'opera in lingua inglese cromatizzandola in “black” è significativa di questa premessa, della poliedricità dell'opera. La Sicilia di Lena è tanto nera per la presenza della mafia quanto per quella di residui di mentalità fasciste o in ogni caso discriminatorie e violente; lo è per il tema del lutto paterno cui si intrecciano quello della droga e dei fornitori della medesima (personaggi neri, “killer” che in nero operano); è un racconto tanto realistico ambientato negli anni Ottanta, quando le basi Nato entrarono con prepotenza nella provincia di Ragusa (di Comiso è l'autore), quanto un memoriale di infanzia e giovnezza; testimonianza privata ed esemplare del rapporto con il lutto e insieme universalizzazione del medesimo attraverso la parola data a personaggi che hanno vissuto un dramma analogo (tematica trattata nell'ultima sezione C.R.L.); romanzo in versi come l'autore ci scrive nella nota a fine volume, da leggere dall'inizio alla fine, ma anche volume di poesia senza ammiccamenti alla prosa, da aprire randomicamente per trovarvi unicamente versi, governati da precise scelte di retorica e metrica, offerti al lettore da chi sa cosa vuol dire porre in explicit una anziché un'altra parola, creando così pregnanza semantica nell'uso dell'enjambement o di altri artifici.
Nel testo riportato si alternano momenti di riflessione nati in un luogo reale, descritto attraverso un lessico quotidianamente realistico, e la loro brusca interruzione, che riporta all'atto presente di un tamponamento automobilistico; (p.17)
IV
(un sisma)
All'ospedale guardo sempre il parcheggio
con chi va e chi ci rimane freddo
mentre mi tolgono un po' di sangue
per capire questa emoglobina impazziata.
Accade un sisma nel plasma
che è un po' il crollo del mio caos
e cosa c'è infondo di più caotico
di un ex tossico che cerca i valori
di un futuro più obbediente?
Ma loro no, i bambini loro
non obbediscono alle parole dell'infermiera
che con un ago cerca l'attimo dissanguante
e forse noi somigliamo a loro
quando proviamo ad interagire con le ferite
in un dolore che non avremmo voluto
volendo in parte assopire l'inquietudine.
Poi faccio retromarcia
tamponando il carro funebre
di uno di quei becchini in tinta con il lutto
che a volte diventa patrimonio
e spesso debito di una memoria all'ultimo respiro.
Nel testo sopra citato è possibile notare la cura eminentemente poetica: al v.10 anafora interna del pronome (anche in explicit ed enjambement) a rafforzare la semantica della differenza con il sottointeso “noi”, allitterazione (quasi anagramma) con “parole” al verso successivo e ripresa explicitaria al v.13; segue il poliptoto del verbo tra un verso e l'altro [1] creando così continuità e discordanza tra l'uso del condizionale passato e il gerundio.
Poesia anche civica e civile nella sua denunzia, quella di Lena, che si aggira entro paesaggi non agresti o desunti dalla tradizione letteraria, che usa disfemismi e lessico talvolta crudo, che scava tra i ricordi della violenza perpetrata durante gli anni Ottanta in Sicilia; poesia quasi azione cinematografica per tagli di sequenze e immagini tratte da modelli iconici, stereotipati a volte, di amara ironia. Nel testo che segue la voce poetica ritrae un matrimonio il cui sfarzo è figlio del crimine.
XXXII
Qualcuno ce l'ha fatta
a salire sul calesse
e andare verso quella chiesa
di sorrisi e riso
lanciato negli occhi,
in fondo lo sguardo
ha una capienza tale
da sfamare tutti i fantasmi
venuti al ricevimento:
andare con un cavallo in chiesa
diceva zio vuol dire
che è un patrimonio importante
tranne per la merda
che ti lasci dietro
mentre un'auto la schiaccia
sul pensiero dell'asfalto
come un promemoria.
E se fosse per noi
Dio starebbe bene
con un doppiopetto gessato
come nei film di Coppola.
E non manca l'introspezione, il rapporto drammatico con le dipendenze, con il lutto, coi ricordi (anche d'infanzia): una serie di poesie vengono scritte interamente in corsivo, e sono quelle legate al filone intimistico.
VI
(appunti per un congedo)
Nella camera dell'ospedale
la sera giocavamo a carte
a lui sanguinavano le gengive
mentre mi diceva che era tutta colpa
di quel suo mestiere da carrozziere
si era avvelenato così l'unico organo
che avrebbe fatto chiarezza
su un futuro che sapeva di non avere,
però a carte era un Dio
mescolava il sangue del cielo
con il suo e il tempo sembrava
meno terminale di quanto non fosse
in un uomo che stava per morire.
Il tempo questa certezza
che ti lascia opaco
quando il sole si spegne
nel black out del respiro.
XXVII
L'Etna appena alzi lo sguardo
ammantato di bianco
è il gelo di quando guardi
il luogo morirti dentro.
E tremi come i giorni all'ospedale del 90,
epatite fulminante, le gambe
senza una direzione e poi la lentezza,
l'obbligo di risalire l'incubo.
A mio padre non l'avrei detto
di avergli venduto il fucile
a un rapinatore senza sogni
non prima almeno che per la vergogna
me lo sarei puntato io quel bang,
libero finalmente di sentirmi
criminale di me stesso.
II
Il neon senza le zanzare quest'anno
illumina una estate anomala
come quando hai scoperto
che a pungermi non avevo più voglia:
pensavo che il sangue
ne avesse così abbastanza
da pretendere dal cuore
un'altra forma di precipizio.
A conclusione di questa breve rassegna si citano le parole stesse dell'autore nella nota finale al volume [2].
Questo libro è stato pensato e scritto come un breve romanzo in versi. C'è la storia di un dialogo tra il figlio e il padre dentro la storia di un'isola che vanifica una quantità di esistenze incapaci di essere tali oppure felici nella diversità di esistere; c'è gioia e angoscia, ironia e pianto; è un libro di contraddizioni e peculiarità per tutto ciò che è ai margini. È un libro di memorie istantanee di luce, è la confessione di una varietà di lutti che pregano per una nuova nascita, come un disagio laico che fonda il proprio riscatto sulla spiritualità della bellezza.
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[1] Ed è ancora enjambement, ancora forzatura ritmica del discorso che drammaticamente arresta il proprio respiro per riprenderlo nel verso successivo, con una semantica che in virtù della posizione forte del verbo “volere” diviene eccezionalmente pregnante.
[2] Della stessa nota si omettono unicamente i ringraziamenti.
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