Firenze. Un sogno sospeso
Più che a ogni altra cosa Firenze somiglia a un sogno. A questo modo, mi proverò a parlare di Firenze.
Joseph Rickwert
1401. Concorso per la realizzazione della porta nord del Battistero di Firenze, indetto dall’arte dei Mercatanti.
Data importante nella storia dell’arte non solo perché segna il passaggio tra l’arte gotica e la nuova, futura e fiorente, arte rinascimentale, ma anche perché vede al confronto l’opera dei due grandi artisti del momento, Lorenzo Ghiberti e Filippo Brunelleschi in una città come Firenze.
Città, che nonostante il periodo travagliato per le lotte contro Pisa e Milano e nonostante la pestilenza subita l’anno precedente, indice un concorso per l’edificio religioso più importante del momento, il Battistero.
Sette furono i concorrenti invitati alla competizione relativa alla formella per la decorazione della porta.
Il tema era: Il sacrificio di Isacco.
La nuova porta doveva in realtà trattare episodi del Nuovo Testamento, ma il soggetto venne scelto sia per i tanti spunti che dava ai concorrenti, sia per un’allusione alla situazione di Firenze accerchiata dall’esercito di Gian Galeazzo Visconti.
Nella formella di Ghiberti la scena è divisa in due parti verticali da uno sperone di roccia che genera un leggero chiaroscuro rendendo morbide le figure dei due gruppi della composizione. A destra Abramo, il figlio e l’angelo, a sinistra i due servitori, l’asino e l’ariete che dovrà essere immolato. Una narrazione pacata.
Nella formella di Brunelleschi invece la scena è ripartita orizzontalmente attraverso piani sovrapposti e sfalsati, ne deriva una profondità prospettica che accentua il senso del dramma che si sta compiendo.
In basso sono i due servi con l’asino, sullo stesso piano Isacco e l’ariete, in alto, al culmine della composizione, lo scontro tra le due volontà diverse, quella di Abramo e quella dell’angelo che gli blocca il gesto.
Un racconto espressivo.
La vittoria fu assegnata dai giudici ex equo ai due grandi artisti; Brunelleschi la rifiutò per la troppa differenza di stile con l’altro, mentre Ghiberti se l’attribuì interamente.
Il secondo realizzò tutta la porta del Battistero, il primo si recò a Roma a studiare le grandi tecniche costruttive del passato e a perfezionare i suoi studi sulla prospettiva.
Si rincontrarono anni dopo, nel 1418 esattamente, in gara per il concorso della cupola di Santa Maria del Fiore. Di nuovo finalisti entrambi iniziarono insieme il cantiere con l’intenzione nascosta però da parte di Brunelleschi di continuare da solo la costruzione.
Si finse malato lasciando tutta la gestione al rivale che, non riuscendo nell’impresa, fu presto destituito dalla carica lasciando così libero Brunelleschi di portare avanti il suo lavoro eccezionale.
Si trattava di ultimare la chiesa costruita da Arnolfo di Cambio quasi due secoli prima, che aveva previsto per essa una copertura a cupola priva di tamburo dunque più bassa di quella che possiamo ammirare ora.
Non era problema da poco per un edificio lungo 153 metri, capace di contenere 30000 persone e con un diametro della cupola, verso l’interno, di 43 metri e posto a un’altezza di 60 metri.
Una voragine, un occhio, una porta verso l’azzurro, oppure, meglio ancora, un cielo divino racchiuso in una costruzione umana.
Un vento raccolto in una vela.
Costruire una cupola di quelle dimensioni era impresa ardua; l’esempio di quella del Pantheon a Roma non poteva essere di aiuto perché costruita in calcestruzzo, tecnica di cui si era perso il sapere.
La cupola del duomo doveva essere dunque costruita o in pietra o in mattoni ma senza un’armatura in legno, detta centina, per il semplice motivo che nessun tipo di legno poteva sopportare un carico così grande partendo da terra, e cioè da più di 93 metri di altezza complessiva.
L’idea geniale dell’architetto fu quella di realizzare una cupola autoportante, costruita senza centine e capace di sostenersi da sé in ogni fase della costruzione.
La sua fu una struttura a doppia calotta, una cupola dentro l’altra, connesse tra loro da ventiquattro speroni che irrobustiscono quella interna e scandiscono le facce di quella esterna. Tra le due cupole fu realizzata una scala che porta fino in cima alla struttura, alla lanterna.
Solo nella parte bassa la cupola fu costruita in pietra mentre nella parte superiore furono usati i mattoni, disposti con un sistema d’incastro a spina di pesce che consisteva nel disporre i ricorsi di mattoni verticalmente dopo altri collocati di piatto.
La cupola venne rivestita in tegole rosse e spartita da otto creste di marmo bianco poste in corrispondenza dei costoloni angolari che si chiudono nella lanterna. Le creste non hanno nessuna funzione strutturale, sono solo uno scheletro leggero che fa apparire le pareti come gonfiate d’aria.
Resta così sospesa sopra i tetti, imponente e leggera, materica e sognante.
Punto fisso nel paesaggio circostante, come fosse una delle colline che circonda la città.
Ancorata nello stesso tempo alla chiesa attraverso gli innumerevoli piani costruttivi e dettagli cromatici, attraverso le numerose statue, tra tutte quella di Maria col Bambino, posta in facciata.
Entrambi guardano in basso, verso il sagrato, il Battistero, verso le vicine Basiliche, poco più in là verso Palazzo Vecchio e Firenze tutta.
Mentre l’Arno scorre sotto i ponti e canta la storia che cristallizza la città in un tempo che resta magnifico, sospeso come un sogno.
Foto di Teresa Mariniello
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