I processi generativi della scrittura di Calvino
"Donne" 10 di Elio Scarciglia

I processi generativi della scrittura di Calvino

diRiccardo Renzi

In passato molto mi sono occupato dell’opera di Calvino e del suo rapporto con le tecnologie e la globalizzazione. Il mondo contemporaneo per lo Scrittore è fin troppo cangiante e spesso risulta complicato e complesso. Lo scrittore in risposta alla violenza del mondo contemporaneo trova un suo modo di fare letteratura: non commette l’errore di molti suoi contemporanei, quello di illustrare solo i pericoli di quell’evoluzione irrefrenabile e inarrestabile, ma cerca ed offre anche soluzioni[1]. Quello che effettua Calvino, utilizzando proprio le sue parole, è un passaggio dalla «letteratura dell’oggettività alla letteratura della coscienza»[2]. Questo passaggio risulta essere fondamentale per comprendere la totalità dell’opera di Calvino, il passaggio dalla mera segnalazione ad una elaborazione cosciente delle storture del mondo contemporaneo. La letteratura può essere concepita come tale solo se analizzata nella sua pluralità, che sottende un obbligato ampliamento dei propri orizzonti. Tutto ciò è ampliamento dimostrato dalla sua amplia produzione letteraria. Calvino attraversò, infatti, diverse fasi. Come la maggior parte degli scrittori del Novecento, Calvino passò per la fase neorealista a cui appartiene il suo romanzo d’esordio, Il sentiero dei nidi di ragno[3]. Il neorealismo è un movimento all’interno del quale gli scrittori raccontano l’esistenza umana, dando voce ai racconti, al folklore, alle tradizioni e alle storie delle persone, documentando quanto successo negli anni della guerra e nell’immediato dopoguerra. Nella prefazione alla seconda edizione dell’opera, Calvino descrive con queste parole la corrente neorealista: «Non fu una scuola, ma un insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie, specialmente delle Italie fino allora più sconosciute dalla letteratura»[4].

A tal proposito è però assai interessante esaminare il meccanismo di identificazione dell’io e la suggestione che in esso è provocata dal “simbolo”. L’opera in cui ciò lo si evince maggiormente è sicuramente Il Castello dei destini incrociati. Nella nota finale della edizione del 1973 egli spiega come l’idea di utilizzare i tarocchi come macchina narrativa combinatoria, dove ogni “io” corrisponde ad una carta, nasca da una relazione di Paolo Fabbri[5], dal titolo Il racconto della cartomanzia e il linguaggio degli emblemi. Lo slancio narrativo è dato però dalla suggestione dei tarocchi stessi che provoca sull’io stesso. Calvino è attratto soprattutto dai tarocchi storici, dai mazzi rinascimentali, Le miniature quattrocentesche richiamano immediatamente il lui i ricordi sull’Orlando furioso. È proprio da qui che origina il complesso gioco combinatorio, l’ispirazione giunge proprio dal poema ariostesco. Non bisogna sorprendersi di tale ispirazione, Calvino fu sempre molto legato all’opera di Ariosto. Orlando abbandonati i campi di battaglia, mondo a lui naturale, per inseguire l’amata Angelica, venuto a contatto con un mondo diverso da sé, impazzisce e si ritrova al centro del punto di intersezione di tutti gli ordini possibili. L’allusione alle soluzioni possibili mediante la combinazione di carte è evidente. Interessante è anche la battuta di chiusura del racconto: «Il mondo si legge all’incontrario. Tutto è chiaro». Questa si collega perfettamente al secondo racconto, ove Astolfo rovescia perfettamente il mito di Ariosto della luna[6]. 

Insolito è il valore che viene dato alla figura della giustizia definita come: «la Ragione che cova sotto il Caso combinatorio». Sicuramente Calvino con tale affermazione allude alla struttura stessa del testo. La ragione dell’autore costruisce un ordine combinatorio all’interno del caos e il castello stesso delimita l’ordine dal caos. 

Un altro elemento di interesse è il fatto che l’opera calviniana inizialmente recava un titolo differente Taverna dei destini incrociati. La scelta non è ovviamente casuale. Tale titolo allude sia al ruolo edificante della Taverna come logo d’incontro tra viandanti, luogo ove si incrociano i destini, sia alla scrittura come elemento generatore di mondi e destini. Il modello della rete dei possibili, già ampiamente sperimentato da Calvino, diviene in Il Castello dei destini incrociati struttura portante, e allo stesso punto esperimento e riflessione sul ruolo generativo della narrazione stessa. Potenzialità e limiti che nell’opera vanno sempre di pari passo. Alla compita, intricata e complessa macchina narrativa calviniana corrisponde il profondo dubbio sull’interpretazione corretta di ciò che si narra: «Il quadrato è ormai interamente ricoperto di tarocchi e di racconti. Le carte del mazzo sono tutte spiattellate sul tavolo. E la mia storia non c’è? Non riesco a riconoscerla in mezzo alle altre, tanto fitto è stato il loro intrecciarsi simultaneo. Infatti, il compito di decifrare le storie una per una m’ha fatto trascurare finora la peculiarità più saliente del nostro modo di narrare, e cioè che ogni racconto corre intorno a un altro racconto, e mentre un commensale avanza la sua striscia un altro dall’altro estremo avanza in senso opposto, perché le storie raccontate da sinistra a destra o dal basso in alto possono pure essere lette da destra a sinistra o dall’alto in basso, e viceversa, tenendo conto che le stesse carte presentandosi in ordine diverso spesso cambiano significato, e il medesimo tarocco serve nello stesso tempo a narratori che partono dai quattro punti cardinali»[7]. 

In questo passo il senso è da intendersi come significato profondo della storia stessa. La medesima carta può rappresentare sia il Diavolo che Dio. È ora che emerge il ruolo fondamentale del lettore nel giusto discernimento, perché il mazzo di tarocchi si configura come una guida dalle molteplici interpretazioni, una sorta di dépliant dei mondi possibili da ricostruire attraverso l’immaginazione. «Ed è il simbolismo, di conseguenza, a conquistare le pagine di questo libro, poiché la polivalenza che ogni carta porta con sé rende la narrazione praticamente personalizzata, suscettibile, cioè, alla capacità di discernimento del narratore principale»[8].


______________________

[1] I. Calvino, Il mare dell’oggettività (1959), in Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Milano, Mondadori, 1995, pp. 46-48.

[2]  Ivi, p. 54.

[3] I. Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Roma, GEDI, 2020.

[4] I. Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Torino, Einaudi, 1947, p. 4.

[5] I. Calvino, Prefazione dell’autore, in Il Castello dei destini incrociati, Milano, Mondadori, 1994, p. VI.

[6] I. Calvino, Il Castello dei destini incrociati, Milano, Mondadori, 1994, p. 5.

[7] I. Calvino, Il Castello dei destini incrociati, Milano, Mondadori, 1994, p. 75.

[8] A. Oricchio, “Il castello dei destini incrociati” di Italo Calvino: recensione libro, in Book Advisor, 2/09/2023 https://thebookadvisor.it/recensioni/libri-in-pillole/il-castello-dei-destini-incrociati-di-italo-calvino-recensione-libro/.


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