Il Minotauro e la Civiltà
Qui su l’arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
La qual null’altro allegra arbor nè fiore,
Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
Contenta dei deserti. Anco ti vidi
De’ tuoi steli abbellir l’erme contradei
Nel mito di Arianna la ferocia del Minotauro va interpretata come la parte istintuale dell’Io delle bambine che è stata imprigionata nelle labirintiche profondità del corpo e della terra madre. Arianna è sorella del Minotauro, essi sono l’uno la faccia dell’altro, ma separati e scissi, al Minotauro però, è lasciato il lato più nascosto e aberrante.
Tutto inizia con il padre Minosse che rifiuta di celebrare il rituale originario che gli era stato comandato dal dio Poseidone, quando gli aveva donato uno splendido destriero da sacrificare in suo onore. Questo evento corrisponde al tradimento che l’uomo compie verso Madre Natura rinnegando il riconoscimento dovuto alla sacralità insita nelle sue leggi che si trasformano in catastrofi naturali. A questo proposito ho ripensato ad uno spettacolo teatrale che mi ha molto colpito perché esprime in maniera drammatica e commovente quello che intendo dire; mi riferisco alla leggenda del Minotauro come divoratore di fanciulle e di fanciulli a lui sacrificati. Nello spettacolo teatrale si evidenzia come in realtà il povero animale stia cercando solo l’erba da loro calpestata e rimasta attaccata sotto i piedi, quella parte cioè, di natura e libertà a lui negata. Assistiamo così, ad eventi che sembrano imponderabili, ma che invece hanno radici lontane. Azzardo un confronto con il pensiero di Simone Weil, in particolare Il Poema della forza, in cui la filosofa, attraverso l’analisi dell’Iliade come celebrazione della forza eroica paragonata all’emblema di tutte le guerre, ne ribalta il senso, ne coglie la più ripugnante fra le caratteristiche della forza che è quella di ridurre l’uomo a cosa, e mutatis mutandis, la natura stessa di cui l’uomo è parte. La bellezza secondo la Weil, affiora invece, dagli sconfitti, o quando è l’eroe nel pieno della sua potenza, a pensare di poter perdere. Quando cioè, l’uomo ripiega su di sé e il destino richiama il soggetto alla sua misura. Questo vale anche nel il processo analitico che deve essere portatore di un’etica che fondi sulla capacità di riconoscere il proprio limite e il rispetto di sé e dell’altro da sé. Per Jung il non io, quindi l’altro e tutto ciò che è Mistero, non conosciuto coincide con l’Anima e corrisponde alla funzione di relazione secondo cui l’essere non è dominio, potere, ma appunto relazione. Di qui l’importanza per l’individuo della scoperta del non io, ma in generale per la coscienza collettiva.
Mai come in questo momento è necessario ripensarci come individui, come esseri umani rispetto alle categorie del desiderio, alla volontà di potenza relativa all’"Avere”, al pretendere e riconoscere invece un potere più grande insito nella natura che ci impone rispetto ed equilibrio dell’ambiente in cui viviamo. La natura ha un suo equilibrio e tutte le calamità che stiamo affrontando ci dicono che la Hybris umana sta varcando una soglia che ci può portare ad un’irreversibile catastrofe. Una via etica sarebbe quella del risveglio a una vita più grande che trascende i ristretti limiti dell’Io, e include gli altri, il mondo esterno ed anche l’intero universo, superando così il pensiero dualistico in una superiore armonia degli opposti.
In una delle più belle poesie di Leopardi, La ginestra, scritta quando si era rifugiato a Torre del Greco per sfuggire all’epidemia di colera che stava devastando Napoli; il poeta descrive il paesaggio che poteva ammirare dalle finestre della villa in cui era ospite: arido, e spoglio, ma da cui spuntava un colore giallo, era il fiore della ginestra, in antitesi con il paesaggio circostante, la ginestra, il fiore della nostra macchia mediterranea, colorato e vivo, un fiore che sfida il deserto perché sa affermare la vita. La ginestra, fiore della resilienza, non ha la pretesa dell’immortalità, sa che probabilmente prima o poi dovrà arrendersi alla lava del Vesuvio, conosce il suo limite, ma resta comunque lì, a creare bellezza in mezzo al deserto. La ginestra accetta la vita così com’è, con tutte le sue difficoltà e i suoi ostacoli, è conscia dei suoi limiti, ma nonostante questo non rinuncia, non si tira indietro, non si piega, resiste, svolge il suo compito, per rendere più ospitale quel pezzetto di mondo che lui abita.
i Leopardi, la Ginestra.
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