Inediti di Alessandra Cerminara Tratti da "Il pianto di Eco"
Paolo Menduni, Napoli è

Inediti di Alessandra Cerminara Tratti da "Il pianto di Eco"

diFrancesco De Siena

Nella poesia de “Il Pianto di Eco” si sente vibrare il suono inudibile e segreto della vita. Si sentono voci all’apparenza scomparse e perdute, parole che nella loro fragile ed eterna bellezza ci riportano il profumo di esperienze che sembravano irrimediabilmente svanite. Poesia che evoca lontane corrispondenze e ci rivela i luoghi segreti della nostra anima. Luoghi di perdute armonie, di profondi silenzi, abitati da frammentarie memorie, dove il pianto senza lacrime, il pianto di quel che resta del passato continua a scavare dentro le nostre anime stanche. Noi, orfani delle lacrime di Eco, siamo quel che rimane di un sogno senza tempo, dell’antico desiderio dei disadorni paesaggi d’inverno, della musica astrale che continua a vibrare sotto la cenere. Siamo figli di figli mai nati, prigionieri di un bacio che non tornerà più.

Le poesie nate dalla felice mano di Alessandra Cerminara aprono finestre sulle dimensioni segrete dell’anima, sui lati meno esposti della nostra esistenza, sui sentieri abbandonati, che attendono, per tornare a vivere la semplicità luminosa del nostro sguardo. Il ciglio asciutto di Eco è il simbolo di una stagione di progressivo inaridimento umano, simbolo di una lenta desertificazione dell’anima. E le lacrime, le lacrime assenti, le lacrime liberatorie, potranno sgorgare ancora, pulire il nostro viso, solo se sapremo ancora farci attraversare dalla bellezza eterna della poesia.

 

Odore di sigaretta

 

Vorrei sognarti

come quando nel buio della stanza

credendomi dormire mi hai baciato,

la notte del mio ventesimo compleanno.

E c’era quell’odore di sigaretta

appena fumata, a me così caro.

O quando, scagliandomi in alto

mi palleggiavi, come Ettore Astianatte bambino,

prima che, salutando il figlio e la sposa,

partisse alla guerra, che lo vide morire

ammantato di gloria perenne sotto le mura

dell’alta Troia. Ma si ritrasse il fanciullo,

atterrito dal cimiero dell’elmo

che orribilmente increspava nell’aria funesta.

E anche tu l’hai combattuta la tua guerra,

senza addii, né lacrime e con quella fredda

composta ironia che naturalmente dimora

sui visi dei forti e lungimiranti. Padre!

com’è dolce la parola, ora che la tua voce

non riempie le stanze, né più essa

giunge inaspettata agli orecchi!

finito il tempo in cui ci raccontavi

Achille e l’ira, portatrice di lutti

Ulisse e le Sirene, tremende e illusorie

Eurialo e Niso e la sacra amicizia.

Nell’orrendo frastuono di un mondo

immolato a un osceno dio postmoderno,

ho indossato i tuoi occhiali, per vedere

lontano. Ho visto bambini giocare

con vario e lieto vocio e il luogo

in cui quieto sedevi, desolato

come il mio cuore.

Ma se qualcosa può questa mia penna,

vivrai per sempre nei suoi versi veraci.

E se neppure così sarà pago il mio animo

ardente, sono certa che un giorno,

alla fine di questo eterno mutare, ti rivedrò 

padre. Allora di nuovo ci sarà quell’odore

di sigaretta appena fumata e sorseggiando

il dono di Bacco mi dirai: “Ora siedi,

ascolta mia cara. C’era un uomo,

nobile di petto e di stirpe che reputò 

un guadagno il morire. Di lui non resta

che cenere, soffiata via dall’indomabile

caos della storia. Ma il nitido esempio

rimane. La sua gloria s’innalza alle stelle.

Il suo nome è Ettore, dall’elmo ondeggiante.


Echi di carta

 

Ho misurato tutte le parole

-echi di carta sotto pioggia fitta-

per dire di un sorriso che si schiude

ad ali larghe e lente di farfalla;

celebrare il tuo volto che fa luce

nel torbido specchiato di me stesso,

tra ombre lunghe e avviluppate trame

i cui contorni sfumano nel vuoto

profondo e denso della solitudine.

Ma nel setaccio a maglie troppo rade

non ne resta nessuna che sia vera.

E come sabbia se ne vanno accenti

vanesi come aria al vento lieve,

senza che nessuno sappia spiegare,

mi sappia dire oltre le parole

in me che sia

quest’anfora di luce che sorprende

le silenziose stanze del mio cuore,

come tenebra che mattino sperde.



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