Il tema della violenza infantile narrato dalle bambine dai capelli rossi
Qualcuno ha affermato che il dolore non può essere spiegato, che rimane nel buio dell'inconscio e lì crea mostri dalla cui stretta è impossibile divincolarsi.
Eva Ludace, poetessa giovane ma che ha già alle spalle una lunga esperienza di composizione letteraria, nella sua ultima creatura cartacea, edita nella collana “i Poeti di ClanDestino” da CartaCanta edizioni, avvalendosi di un linguaggio duro e delicato insieme, pervaso di una potente grazia, mostra al lettore come invece tramite la poesia e la fiaba, diventi possibile sublimare il buio del trauma, della paura, del male e trasformarlo in qualcosa di diverso, in qualcosa che sia finalmente luce; “in abito incendescente”, per dirla con Alda Merini.
Il canto di Laudace, pervaso di uno slancio alto e coraggioso, si addentra nella realtà dell'infanzia violata, ne denuncia l'orrore, ce ne spiega le dinamiche di azione sulla psiche per mezzo della voce delle bambine dai capelli rossi, che sono al contempo vittime e carnefici, ingenue e spietate, selvaggie come piccole streghe e incantevoli fiori recisi. Eva sceglie la fiaba perchè nel profondo mistero di essa, nel suo fitto campo di fragole è semplice nascondersi dall'inseguitore cattivo ed anche sortire dal mondo esterno restando ancorati all'infanzia, prottetti nel suo guscio, affidandole i propri terribili segreti: “Quando le merle erano tutte bianche/e le bambine erano solo altre bambine/addormentate sui rami/non molto lontano da qui/io pensavo alla sua bocca/dolce come l'uva passa/e non avevo colpa,/non l'avevo detto a nessuno”.
All'interno di questa inquietante e splendida favola teatrale, dove gli scambi parlati sono intense, feroci, brevi drammaturgie, l'identità delle bambine si confonde, non si comprende bene quale sia l'una o l'altra, ma si confondono anche gli altri personaggi, le bambole, e perfino l'uomo nero, in un ribaltamento che vuole narrare il tema della scissione psichica, e vede così le bambine costrette dal prematuro dolore ad acquisire una consapevolezza da adulte, e l'uomo nero che si dice solo e innamorato, a rimanere con un cuore morbosamente infantile: Non eri più una bambina/da parecchio tempo/ma nessuno l'avrebbe detto//Anche ora corri sulla mia schiena”.
“Sono solo un uomo/innamorato e solo// E' mentre sono un mostro /che mi sento più buono/seme sparito/interrato/tornato muschio sul petto//Piccolo fiore supino/come si appoggia un bambino nel suo letto//”
Oltre alla fiaba e al teatro in questo libro, risuona traboccante di simboli e accesa dal fascino atavico del folklore, la nenia cullante, ritmica, soporifera e ipnotizzante delle ninne nanne, che intesse un incanto particolare, forse l'incanto primigenio proprio del neonato, di colui che appena affacciatosi alla vita, necessita di un battito materno, risuonante, che lo allontani dall'ineluttabilità gravosa dell'esistere e lo riconduca al calore di quell'utero dove dentro al buio, una luce c'era di certo, quella incorrotta e, almeno allora inviolabile, dell'amore.
Mi piaceva tenerla per mano
ma valeva solo per me
lei si cercava nelle pozze
inseguiva le farfalle
dopo la pioggia.
Le bambine dai capelli rossi
arrivano da paesi nuvolosi
correndo tra le volpi
carezze dell'estate
o di un fiammifero.
L'aria calda che aprono sul viso
resta aperta
anche sulle teste
sulle bocche dei fiori
sui giochi da grande
la porporina
è un'eterna infanzia
nuota nelle mani
un'innocenza distratta dal colore.
Le bambine dai capelli rossi
non sono gelose delle altre
creature del nord
la bellezza animale non si addomestica.
Sul letto lattiginoso
sulla coda e sui crinali
tornano intere le galassie
efelidi misteriose
fossero i loro segreti
che ora si vedono
ora diventano più chiare
entrano ed escono maliziose dal sole.
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