
Il tempo dei dubbi addormentati
Paolo Zanardi, poeta dalla voce acuta e vibrante, ci offre con L’unico occhio (puntoacapo, 2023) una raccolta che assomiglia a un mosaico di riflessi e crepe, un dialogo tra il visibile e il sommerso. Le sue parole sono scaglie di luce su una superficie d’acqua in continuo movimento, frammenti di un pensiero che esplora la finitezza umana e la tensione verso l’ignoto.
Già nella prefazione di Max Mazzoli si avverte il codice stilistico di Zanardi: un linguaggio affinato come il filo di una lama, capace di dipingere immagini che sfiorano la concretezza per dissolversi in spazi più rarefatti. Le sue poesie nascono da dettagli impercettibili, come un soffio che si insinua tra le fessure di una casa abbandonata o il riverbero di una voce dimenticata nel vento. Il poeta ci guida lungo sentieri di domande sospese, evitando il peso della retorica ma mantenendo una tensione costante, simile alla corrente sotterranea di un fiume nascosto.
Sono d’acqua dolce
e sabbia di fiume grezza
ma nel sonno mi attraversano
gondole, preveggenze
salmastro dondolio.
Mi curo all’ombra di un vapore di perla
distillato in nuvola
e vorrei veramente dirti
oltre qualsiasi parola che mi evita
come se le fossi d’ostacolo,
Quanto tempo ci resta per fingere, quanto
per i versi ipocriti?
Caravelle di carta traboccano
da un minuscolo mare
simile a un catino di bontà sorgiva.
E se li accarezzi
anche i dubbi si addormentano.
Enjambement tormentati e invadenti, analogie pascoliane, chiuse ad effetto caratterizzano questa poesia sapiente e ben cesellata.
Questa raccolta si distingue per la capacità di intrecciare il tangibile e l’intangibile, trasformando il reale in simbolo. Si avverte nei versi che accostano il paesaggio naturale a un senso di perdita e trasformazione: il cielo che si slabbra come un vecchio affresco, le foglie che scivolano via come sguardi sfuggenti, il tempo che si sfalda sotto il tocco di mani incerte. Zanardi non cerca risposte fisse, ma danza tra le domande con la grazia di chi sa che ogni certezza è destinata a disfarsi.
Il poeta parmigiano si inserisce in un panorama letterario dove la città diventa una mappa di ricordi e intuizioni. La sua scrittura, attenta e stratificata, sa raccogliere le schegge del reale e dar loro una forma che vibra di emozione e riflessione. Come osserva Mazzoli, la poesia di Zanardi non si limita a raccontare, ma apre finestre su territori inesplorati, dove la parola si fa varco e testimonianza, lasciando tracce che resistono all’erosione del tempo.
Con L’unico occhio, Paolo Zanardi regala al lettore un’esperienza poetica che è insieme rivelazione e vertigine, capace di avvolgere e risvegliare. Una raccolta che invita a perdersi e ritrovarsi tra le pieghe del linguaggio, restituendo alla parola la sua capacità più profonda: essere un ponte tra il visibile e l’evanescente, tra il dubbio e la meraviglia.
Guarda il temporale
come si addensa al confine
meridionale del cielo.
Guarda i ciliegi
i peschi in trincea
i fili d'erba piegati
come soldati sul Carso.
Il mondo appeso alle nuvole
dondola incerto
tra le rondini che volano basse.
Si dice occorrano
un io e un tu per risalire
la corrente di un verso.
Un io che scinda i suoni, nebbie
solide scarpe nel fango.
Un tu a piedi nudi
lago, notte, chiarezza.
Una piroga intagliata nell’aria
immaginando ritratti.
Acqua che si increspa.
Un tu con losanghe
d’ombra sul viso.
La trama che vincola
voci a parole.
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