Il Veneto di Piovene
Elio Scarciglia, Venezia, 2022

Il Veneto di Piovene

diElisabetta Baldisserotto

Guido Piovene, figlio unico di nobili vicentini, nasce nella città del Palladio il 27 luglio 1907. Inizia giovanissimo l’attività giornalistica e diventa presto collaboratore e inviato dei principali quotidiani italiani. Nel 1931 esordisce nella narrativa con il libro di racconti La Vedova allegra, che presenta già i motivi di fondo della sua scrittura: il paesaggio veneto, la crisi esistenziale, l’indagine psicologica, l’esplorazione del confine tra verità e menzogna. Temi che ritroviamo in tutti i suoi romanzi successivi. Nel 1953 la RAI gli propone una serie di trasmissioni radiofoniche sull’Italia del secondo dopoguerra, da cui nasce il reportage Viaggio in Italia, pubblicato da Mondadori nel 1957. Il Viaggio (ripubblicato sessant’anni dopo da Bompiani) si può considerare uno splendido esempio di letteratura odeporica da parte di uno scrittore “curioso dell’Italia, degli italiani e di se stesso” e innamorato della propria regione d’origine, il Veneto.

“Mi chiedo che cos’è il Veneto per i veneti – scrive Piovene. – Rispondo che la loro terra per i veneti è una verità. Essa non ha nulla a che fare col sentimento nazionale, né per associazione, né per contrasto. È una verità in più, di natura diversa. Esiste nel cuore dei veneti una persuasione fantastica che la loro terra sia un mondo, un sentimento ammirativo e quasi un sogno di se stessi che non ha l’eguale nelle altre regioni d’Italia. Il venetismo è una potente realtà della fantasia. Lo si avverte anche dal paesaggio, dovunque presente nel Veneto come una persona viva. La sensazione d’essere penetrato nella mia terra, venendo dalla Lombardia, appena passato il lago di Garda, in me si ripete ogni volta e non si attenua mai. Mi accorgo poi sempre di esservi, dal velo lievemente esotico, dalla luce semiorientale, che si distende dappertutto: sulle colline che precedono le Alpi, o si alzano dalla pianura; sulle piazze delle Erbe, dove la cacciagione dorata, verdastra, rossastra mescola i suoi colori alla frutta e agli ortaggi; sui nuvoloni gonfi, che recitano temporali, pari ai signori nei palazzi; sulle lune barocche che si affondano nelle valli acquitrinose della costa. È una fantasia dell’Oriente, d’una delicatezza che non ha l’Oriente vero. Nel Veneto anche il paesaggio è per metà natura e per metà quadro, vive e si guarda vivere, e si compiace di se stesso”.

In questa terra-mondo, in questa verità che è il Veneto per i veneti, il paesaggio reale e quello fantastico si sovrappongono, diventando quasi un’utopia, una terra ideale e originaria, per cui si prova una nostalgia struggente. 

“Non so che cosa direbbe uno psicoanalista – ci confida Piovene – se gli rivelassi che, mobile come sono, e portato a girare il mondo, io sogno questi luoghi quasi ogni notte, e nei momenti d’ansia con dolcezza quasi ossessiva. Questa piccola parte della terra è per me veramente il grembo materno”. È anche nella lontananza, infatti, che il Veneto sprigiona tutta la sua potenza evocativa, colonizza la memoria e diventa pietra di paragone per comprendere la natura di città e regioni appena conosciute.

Così, per esempio, Lecce appare a Piovene simile a Vicenza dove i palazzi, “ora di faccia, ora di sghembo e disposti tra loro in angoli dal gusto scenico”, sembrano piccoli teatri in cui “una commedia del Goldoni non stonerebbe” e dove si conserva una qualità signorile, “un soffio d’aria veneta”, lo spirito di una cultura aristocratica. Allo stesso modo lo stato americano della Virginia gli ricorda il Veneto della sua infanzia: “Per noi stranieri, la Virginia è un meraviglioso paese. Come paesaggio è il Veneto dell’America; ne ha la mollezza, la dolcezza e qualche cosa di più gaio, portato forse dalla profusione dei fiori, che in questa stagione sono soprattutto rossi e giallo oro”.

Con l’acume psicologico del grande scrittore, al carattere dei veneti Piovene dedica nel Viaggio osservazioni illuminanti, valide ancora oggi. Gli abitanti della “meno drammatica delle terre italiane” praticano un cattolicesimo accomodante, dolce, facile ai compromessi, dice. Sono conservatori, sentimentali, portati all’obbedienza e devoti all’autorità. Il loro orgoglio per Venezia, città unica e meravigliosa, include la campagna veneta, anch’essa estetizzata “perché dai muri delle case più sordide affiorano profili di finestre monumentali, ombre di portici murati”. Appagati e deliziati da se stessi, affondati voluttuosamente nella propria natura, i veneti mostrano una scarsa inclinazione a mutare. La voluttà perpetua di guardarsi allo specchio, infatti, la felicità del pittoresco, la delizia nel fare teatro di sé e della propria condizione, li distraggono dalla spinta al mutamento e li affezionano al loro stato. “I veneti si compiacciono di darsi e dare spettacolo, accentuando a bella posta le loro inclinazioni, manie e persino gli aspetti ridicoli o difettosi. Il conservatorismo veneto è dunque una morbidezza degli animi, un gusto della sfumatura e non dei contrasti netti, caratteristico dei popoli che amano assaporarsi; un amore non del passato ma semplicemente di sé”.

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