Il viaggio del Millevolti
Distruggicuori, Conoscicuori, Seduttore, Voluttuoso, Sortilego, Sfasciacervelli, Millevolti, Foggiamondi, Uomo dai molti fratelli, Petto di mare: sono alcuni dei cento e più epiteti che Kazantzakis utilizza per definire Ulisse, indiscusso eroe universale da più di 28 secoli, protagonista dell’Odissea pubblicata in Grecia nel 1938 e finalmente tradotta in italiano nel 2020 da Nicola Crocetti. Per Kazantzakis l’epiteto è in effetti uno strumento assolutamente essenziale, necessario per attuare l'oggettivazione del mondo e della realtà e, in questa, come in ogni altra sua scelta poetica, egli manifesta la fedeltà assoluta alla tradizione omerica, pur se contemporaneamente ne segna il distacco definitivo, il superamento, il tradimento.
Autore di “Zorba il greco” e “L’ultima tentazione” da cui sono stati realizzati omonimi memorabili film, Kazantzakis nasce a Iraklio di Creta nel 1883 e cresce in un ambiente fortemente segnato dalla lotta per l’indipendenza dai Turchi.
Impegnato politicamente, inizia a dedicarsi alla letteratura, alle traduzioni, al teatro, viaggiando in gran parte l’Europa e soggiornando anche in Italia negli anni ‘20.
Nel 1946 viene annunciata la sua candidatura al Premio Nobel ma la Grecia tutta insorge per boicottarla. L’Odissea era d'altronde fortemente criticata sia per la sua esasperata lunghezza, sia per la lingua troppo popolareggiante e troppo "cretese" dal momento che Kazantzakis aveva attinto alla lingua dei pescatori delle isole dell’Egeo, dei contadini e dei pastori, degli anziani analfabeti, unici conoscitori degli omerismi più antichi. L’autore aveva iniziato molto presto a raccogliere, con la pazienza propria di un pescatore di telline, le parole più rare, desuete, più pericolosamente in estinzione che la sua lingua madre stava cominciando a perdere, nella convinzione che, svanita la memoria di quegli ultimi testimoni, si sarebbero persi anche i nomi delle cose.
Nicola Crocetti nel 2020 ha pubblicato per la prima volta in italiano l’Odissea, che Kazantzakis iniziò a concepire già nel 1925 e terminò nel 1938 pubblicandola grazie all’aiuto economico di una ricca signora ottantenne di Chicago, amica di sua moglie Eleni.
Si tratta di un poema “fluviale” in 33333 (il numero tre è sacro per Kazantzakis come lo era per Dante) versi decaeptasillabi, in 24 libri (come i poemi omerici, ma molto più lungo) che è a tutti gli effetti il sequel dell’Odissea di Omero e ci presenta un Ulisse abbastanza dantesco, insoddisfatto e folle, sebbene sia spinto più dai suoi appetiti che da "virtute e canoscenza" a salpare di nuovo da Itaca e avventurarsi per mare ancora una volta, andare a Sparta da Menelao, portar via con sé Elena e poi tentare (inutilmente) di fondare una Città ideale. Durante il tragitto incrocerà nuovi compagni che spesso hanno nomi da personaggi eroicomici: Capitan Conchiglia, Roccioso, Flautista, Granito; o il Pescatore gentile o il Principe della Terra, ipostati rispettivamente di Gesù e di Buddha.
“Anima, la tua patria è sempre stata il viaggio!”: questo afferma colui che viaggia nonostante tutto e tutti, contro tutto e tutti, persino contro se stesso, sapendo che non potrà mai vincere le sfide della vita e non scamperà neppure alla battaglia finale contro la morte, eppure la affronterà senza alcuna remora.
Morte, l’Arciere ti ha beffato, ha scialato i tuoi beni,
le scorie della carne le ha sciolte prima del tuo arrivo,
ne ha fatto spirito, te le ha sottratte, e se vieni trovi
soltanto fuochi spenti, carboni e ceneri di carne!
(Od., XXIII vv. 34-37).
La morte va ingannata; prima che arrivi, se la vita è stata vissuta con pienezza, alla Nera rimarranno solo rimasugli insignificanti, un misero bottino di attimi non vissuti e non goduti.
Lo scaltro allunga il braccio e afferra le due teste:
“Anchio, ragazzi, da questo mondo falso voglio solo
l’astuta, ingannatrice, favolista mente umana,
che lega un filo rosso all’arcolaio del mondo,
poi con un calcio dà l’avvio alla grande favola!”
(Od. XI, 115-119).
La mente è favolista e la vita è favola grande, e Dio stesso può commettere imprudenze.
L’ho detto e lo ripeto, del mondo io non mi lagno;
e se nell’estremo istante la mente diventa debole
e impreca, non darle retta, vita: ha perso la ragione;
con le tue risa e i tuoi pianti, sei sempre benedetta!
Dovessi per mille volte mille rinascere nel sole,
riprenderei il lamento, vita, e la spietata ascesa,
la lotta contro gli dèi e contro gli uomini mediocri;
aspetterei la stella che indica la via d’amore,
e dà l’avvio agli abbracci notturni sull’erba fresca!"
(Od., canto XXII)
Ci sono anche momenti di forte lirismo, memori della migliore tradizione omerica:
"La notte si scioglie i capelli azzurri e sfila piano
il pettine di madreperla della sua mezzaluna.
Bianchi agnelli ruzzano in mare e salano le stelle,
il gallo nero si sveglia, ha visto in sogno il sole,
è notte fonda, ma nel silenzio si leverà a cantare."
(Od., canto IV)
Un discorso a sé va fatto sull’amore: Penelope è da Ulisse presto dimenticata, messa da parte e, una volta messosi in viaggio, l'eroe non disdegna avventure amorose senza importanza. C’è poco spazio per l’amore romantico, terreno, moderno; i rapporti uomo - donna sono fortemente istituzionalizzati, come era consuetudine nel mondo omerico; molto presente è invece l’amore per la giustizia, per la libertà, un certo amore per il prossimo, visto anche il percorso messianico dell’autore e l’avvicinamento alla figura di San Francesco, “il poverello di Dio” che lo affascina moltissimo. Rico di influssi da Bergson, maestro di Kazantzakis, e da Nietzsche, tra tutti, il poema è un inno alla vita e alla libertà, sconfinato come il mondo e lungo come l’esistenza. Il messaggio dell’opera è molteplice: vivere è un gioco, non bisogna perseguire la fede e la speranza, è necessario disprezzare ciò che è vano e distruggere le illusioni. Siamo di fronte ad un poema enciclopedico in cui convivono il Superuomo, la Terra Promessa, la Città ideale, Gesù, Buddha, Ulisse, Don Chisciotte in una rappresentazione che vuole contenere tutto il contenibile e confluirà infine nel verso 33333: “Avanti, amici, soffia propizia la brezza della Morte!”.
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