Floriana Coppola. Poeta e ascoltatrice dell'anima
Floriana Coppola è un'artista napoletana che si muove tra diverse forme d'arte quali la poesia, la prosa e il collage.
È nata e vive a Napoli, città che, pur non nominando, è chiaramente presente nella maggior parte delle sue opere. A Napoli la terra vibra costantemente per il contrasto perpetuo sotterraneo tra fuoco e acqua e le anime si dipanano tra salvezza e dannazione. Più che una città è un mondo la cui sopravvivenza è una sfida quotidiana e gli abitanti sono propensi a reinventarsi positivamente. Proprio in questa città che vive energie intensamente opposte, l'arte e il sentimento proliferano in continuazione e ogni espressione creativa è intrisa di cultura antica, ricca di simboli e metafore, ricca di usanze e tradizioni le stesse che ogni napoletano porta con sé nella quotidianità.
Figlia di questa cultura, prima di essere un’ artista, Floriana è una donna consapevole dei suoi molteplici ruoli che, nonostante le difficoltà, ha imparato a gestire nel tempo e con l'aiuto della letteratura e della poesia.
Attraverso la letteratura, i sentimenti e le percezioni possono essere articolati e trasformati. Soprattutto la poesia riesce a influenzare i rapporti tra le persone e aiuta a superare dolori anche intollerabili. La poesia infatti è una terapia dell'anima, per chi la legge e per chi la compone. Forse non guarirà le ferite psicologiche esistenziali, ma di certo aiuta a guardare oltre.
Dalle poesie di Floriana lette e ascoltate, che si trovano su internet, emerge lo stretto legame tra realtà, simbolismo e immaginario. Lo sguardo è introspettivo e umano, a volte tenero, a volte duro, altre volte è provocatorio o intriso di paura, fascino e magia ma anche attento all'uso delle parole più vicine a una realtà tangibile. C'è una forza sovversiva nella parola poetica ed è necessaria una certa esperienza del linguaggio per poter dare voce al proprio mondo interiore. È anche vero che, come dice in una sua poesia, le parole possono rivelarsi gabbie terribili, tuttavia lo studio costante e il loro uso guidato dal coraggio e dalla razionalità possono aiutare a varcare molti limiti.
Durante la composizione poetica, la razionalità sostiene l'intero processo ma la parte fondamentale è giocata dall'alchimia visionaria, che aggiunge molto al motore creativo delle sue opere.
Floriana mette da parte se stessa, per essere semplicemente umana, un essere umano che può includere generi, età e condizioni diverse. Per fare questo si interroga sempre considerando i mutevoli modelli culturali di riferimento della società e procede a cuore aperto, con la consapevolezza di appartenere ad una totalità, orientandosi verso il necessario equilibrio. Per meglio raggiungere questo equilibrio dà spazio anche all'opposizione della parola praticando la meditazione orientale. Così conosce il vuoto e ascolta il silenzio del sé a favore del suono dell'universo. Infatti la sua poesia non nasce come riflesso narcisistico dell'ego ma è finalizzata alla riflessione dell'altro per un miglioramento sociale.
Fin da bambina la scrittura è stata per lei una forma di meditazione e di analisi dei comportamenti umani e sociali. Quando è in viaggio, tiene sempre un taccuino e una penna, per annotare i suoi appunti. La scrittura, come dice lei, la aiuta a percepire la realtà attraverso la rappresentazione empatica di ogni personaggio e poi la trama traccia il processo di cambiamento che ogni persona può sperimentare per sentirsi viva e autentica, contro ogni stereotipo di genere, contro ogni ingiusta ipergeneralizzazione.
Il suo romanzo più recente intitolato La Bambina, il Carro e la Stella è la storia di una ragazza rumena che vive per strada in una città del sud. Un romanzo su due mondi che si intersecano e si contaminano provocando cambiamenti nella ragazza.
L'intento dell'opera è quello di raggiungere una rappresentazione realistica e approfondita al di là di ogni stereotipo e cliché. In questo lavoro il suo intento è quello di dare voce a chi voce non ha e cercare di aprire la mente dei lettori invitandoli a superare le barriere e i limiti dell'ignoranza e della chiusura mentale dettati da stereotipi e dall’ insensibilità che li rende sempre meno umani.
La poesia, e la letteratura in generale, sono un atto politico. La poesia, senza esitazione, arriva cruda e diretta al lettore come la canzone all'ascoltatore ed è un'arma potente. Un'arma che combatte e può anche rivoltarsi contro. La poesia non è solo per il piacere di leggere, ma anche per imparare, per relazionarsi, per scoprire e per denunciare.
Attraverso i suoi racconti, i romanzi e le poesie Floriana affronta temi sociali e lavora dando voce ai più deboli, a coloro che vivono i propri drammi nell'ombra. Attraverso l'arte del collage fa lo stesso. Ama disegnare come ama scrivere dunque sperimenta l'intreccio delle due espressioni artistiche nel collage della poesia verbale-visiva.
Appassionata dei pittori, e collagisti, Chagall e Mirò, lei trova successivamente nel dadaismo un'ulteriore motivazione per continuare il complice sodalizio tra parola e forma. Seguendo questo stile, toglie al materiale giornalistico la finalità commerciale per destabilizzare e lanciare messaggi provocatori che fanno spalancare gli occhi alle parole, ai versi, ai segni e ai materiali che usa.
Accanto alle altre vesti l'arte ha anche un ruolo nell'educare e illuminare le coscienze, quindi come Floriana, ogni artista dovrebbe avere una visione illuminante e propositiva.
L'abbiamo intervistata per conoscerla meglio con la speranza di poter presto vedere e leggere di più direttamente dalla sua penna.
I.P. - Poeta, autrice di romanzi, pittrice, counselor in Analisi Transazionale e in Psicologia esistenziale, donna, madre e, fino a poco tempo fa, anche insegnante. Qual è il segreto per gestire tutti questi ruoli senza che entrino in conflitto l’uno con l’altro? -
F.C. - Dire che è stato semplice sarebbe una mistificazione, ma ho provato nella mia ansia di vita a conciliare i tempi della sfera familiare con quelli pubblici e professionali. Ancora oggi, nel terzo millenio, ogni donna vive la battaglia tra essere fonte di cura per la sua famiglia e essere capace di sviluppare i propri talenti. Credo, dopo tanti anni di lavoro, di poter dire che ci sia stata una grande sinergia tra tutte le mie anime. Lo studio e l’amore per la letteratura e per la psicologia umanistica mi sono stati di grande aiuto sia nel lavoro di insegnante, essendo una docente di letteratura italiana, sia nell’incontro con i miei figli e con le persone. Niente è rimasto chiuso nel proprio ambito ma è fluito ovunque, creando legami affettivi significativi. L’evoluzione personale può integrare i due aspetti, quello politico e quello privato. Dico “politico” perchè per me la poesia e la letteratura sono sempre un atto politico, perchè tendono a trasformare il campo energetico di riferimento sociale, influenzando le relazioni tra gli uomini e le donne, tra gli adolescenti e le figure di riferimento, tra chi opprime e chi è oppresso. La letteratura ci permette, da sempre, di vivere in pienezza anche il dolore più insopportabile e di vedere oltre, di superare visioni autocentrate.
I.P. - Sei napoletana e scrivi in Italiano. Che rapporto hai con la lingua napoletana? -
F.C. - Scrivo in italiano ma i miei libri, sia i romanzi, i racconti sia le sillogi poetiche, sono profondamente condizionati dalla lingua napoletana, che emerge in frammenti nei dialoghi e nei versi. Soprattutto la simbologia partenopea è fonte di ispirazione e di suggestione filosofica e esistenziale. Nei romanzi si parla di una città che non viene mai nominata ma che sicuramente è la mia città natale. Alcuni personaggi utilizzano parole in dialetto, importanti per la loro carica espressiva. La lingua napoletana ha in sé stessa una particolare concezione del mondo, del tempo e dell’interazione tra le persone. Porta dentro ogni sintagma una segnatura profonda che ci condiziona e che tiene viva in me un’istanza etica profonda e ossessiva.-
I.P. - Se per te la napoletanità ha un peso, in che misura l’essere napoletana interagisce con la tua creatività ? -
F.C. - Da scrittrice ho un fortissimo legame con la mia terra. Vivere a Napoli è un’esperienza che ti marchia profondamente. La bellezza e l’orrore sono due percezioni contemporanee che offre e che ti porti addosso come una seconda pelle. Una lotta infinita tre la bellezza feroce dei luoghi che lascia meravigliati e cattura, quella bellezza naturale in perfetto equilibrio tra cielo mare e le linee del territorio trasformato dagli interventi umani e l’orrore di essere coinvolti da una storia drammatica ancora claudicante, piena di questioni non risolte, come l’estrema povertà di alcune zone, la corruzione e l’illegalità che stravolge fasce di popolazione, l’incuria istituzionale che non si riesce a superare. Tutto diventa metafora esistenziale della battaglia tra ciò che è bene e ciò che è male, tra ciò che è giusto e ciò che è eticamente intollerabile. Queste laceranti contraddizioni mi hanno condizionato nel considerare la mia creatività anche strumento necessario di militanza politica. Come intellettuale sento l’urgenza di dare voce alle ferite non guarite della mia terra, alle persone che non hanno voce. Nei miei romanzi parto da questa ferita, perchè diventi una porta aperta per sensibilizzare e denunciare questioni che ho particolarmente a cuore. I protagonisti delle mie storie appartengono al mondo degli invisibili, bambini indigenti, bambini di strada, ragazze madri, donne in difficoltà, sfruttate e abusate. Cerco nella scrittura di individuare la svolta trasformativa e riparatrice che permetta di trovare la strada per emergere, per liberarsi dai lacci. Romanzi esistenziali quindi. E anche la poesia mantiene questa cifra.
I.P. - Quando componi usi la biro o il laptop? -
F.C. - Da giovane usavo la macchina da scrivere, poi è arrivato il computer che mi ha permesso di lavorare più velocemente sulle bozze. Correggere, limare, cercare la frase giusta diventano operazioni immediate con word. Solo in viaggio porto un taccuino e la biro, per segnare degli spunti che poi riprendo alla scrivania. L’esercizio quotidiano della scrittura mi accompagna da sempre, fin da bambina. È per me una forma di meditazione e di analisi del comportamento umano e sociale, mi aiuta a percepire la realtà attraverso la rappresentazione empatica di ogni personaggio e la trama disegna il processo di trasformazione che ogni persona può attivare per sentirsi vitale e autentica, contro ogni stereopia di genere, contro ogni ingiusta ipergeneralizzazione.
I.P. - Puoi raccontarci di Floriana come pittrice e collagista? -
F.C. - Amo disegnare a china e amo scrivere, due direzioni di ricerca e di sperimentazione che nel collage della poesia verbovisuale si uniscono e si intrecciano. Ho scoperto tanti pittori che hanno usato il collage nel Novecento come Chagall e Mirò, ma la generazione dadaista mi ha fornito un’ ulteriore motivazione per continuare questo intreccio tra parola e forma. Tristan Tzara, Man Ray e soprattutto Hannah Hock sono stati eccezonali detonatori per la mia immaginazione, offrendomi il permesso di rischiare e di sperimentare le molteplici combinazioni tra parole, versi, segni e elementi materici. I frammenti della realtà vengono strappati dal loro universo per essere inseriti in un’ altra storia. Una riformulazione che indica una risemantizzazione. Il materiale giornalistico e massmediale con il collage viene dissacrato, perde la sua finalità commerciale, per diventare soggetto artistico, messaggio che vuole provocare e destabilizzare. Il dadaismo nacque durante la prima Guerra mondiale per manifestare il dissenso pacifista di alcuni gruppi di giovani artisti. Adesso credo sia ancora più urgente la critica all’uso consumisistico del corpo della donna nella società moderna capitalista, che tutto vende e tutto compra. Siamo solo dei consumatori lobotomizzati, non più dei cittadini critici. Con le nuove tecnologie siamo arrivati ad essere contemporaneamente e spesso inconsapevolmente consumatori e produttori di dati (prosumer), che altri usano a scopi spesso commerciali. Nella poesia verbovisuale tento di denunciare questa perdita di umanità.
I.P. - Essere donna nel 2022 è ancora una dannazione. Lo scorso settembre la musicista e poetessa iraniana Mona Borzouei è stata arrestata dal governo Iraniano per aver letto una poesia in sostegno alle proteste per l’uccisione di Mahsa Amini. Quanto è determinante la valenza politica della poesia? E quanto ancora fa paura la donna? -
F.C. - Oggi le donne arabe e del bacino del Mediterraneo ci ricordano quello che disse Simone de Beauvoir:
“Non dimenticate mai che sarà sufficiente una crisi politica, economica o religiosa perchè i diritti delle donne siano rimessi in discussione. Questi diritti non sono mai acquisiti. Donne dovete restare vigili durante il corso della vostra vita.”
Una citazione importante da cui parte la mia riflessione. Carol Gilligan e Naomi Snider hanno scritto nel 2018 un importante saggio dal titolo Perchè il patriarcato persiste? Queste intellettuali americane studiano le ripercussioni psicologiche della struttura patriarcale sull’identità di genere maschile e femminile e dicono che il patriarcato influenza e struttura un pensiero binario che contrappone ancora il copione maschile - basato sul potere e sull’ azione, sull’inibizione delle emozioni, sul distacco emotivo, sulla separazione mente/corpo - dal copione feminile, che si caratterizza per l’accudimento ansioso e complulsivo e per la difficoltà a entrare in contatto con i propri bisogni, con i bisogni più profondi del sè, nonchè per un comportamento compiacente eccessivo finalizzato al mantenimento delle relazioni. -
I.P. - La poesia allevia le ferite, ne intensifica il dolore o ne è una sacra testimonianza? -
F.C. - Nessuna potenzialità si può escludere nel fare poesia. Non esiste un solo effetto. Scrivere versi aiuta a focalizzare un nodo problematico e quindi lo scioglie attraverso la metafora e la parola. La scrittura ha di per sé un effetto taumaturgico ma certamente non risolve. Si può rimanere fermi in una situazione traumatica attraverso la poesia, ritornando ossessivamente sempre sullo stesso punto. Bisogna valutare la storia personale di ogni autrice e di ogni autore per capire il senso ultimo della sua scrittura. La letteratura è piena di donne poetesse che si sono suicidate e per ognuno di loro non è bastata la poesia per salvarsi. Pensiamo ad Amelia Rosselli, Silvia Plath, Anne Sexton, Claudia Ruggeri. -
I.P. - La cultura occidentale considera l'arte solo ed esclusivamente ciò che è business, ciò che è vendibile. Hai delle considerazioni da fare in merito? -
F.C. - Purtroppo, quando si decide di pubblicare un libro, si entra in un circuito commerciale molto spinoso. In Italia in media ogni italiano legge solo cinque libri all’anno e sicuramente non libri di poesia e non libri di autori poco conosciuti o legati a piccole case editrici che non hanno la forza economica di affrontare i costi della distribuzione e della pubblicità. Scrivere quindi in Italia fuori dalle grandi case editrici è una scelta precisa e scrivere poesia ancora di più. Noi sappiamo perfettamente di essere fuori mercato. Nessuno pensa di vivere pubblicando poesia. Siamo consapevoli che la poesia intercetta un pubblico che appartiene a una minoranza. Ma la passione poetica merita questo impegno, che diventa un esercizio etico e politico di tenacia, determinazione e di affermazione valoriale. -
I.P. - Qualcuno dice che l'arte può salvare il mondo. Sei d’accordo con questa affermazione o è soltanto un’ illusione? -
F.C. - L’arte può salvare il mondo dall’uomo e dalla sua capacità distruttiva e autodistruttiva? L’arte può fermare la logica capitalistica dello sfruttamento delle risorse umane e della terra? L’arte può fermare la logica criminale che porta corruzione e delitti? Assolutamente no. Non possiamo illuderci di questo eppure quando una persona si avvicina all’arte, alla poesia, alla letteratura, alla musica amplia il suo sguardo, diventa capace di empatizzare con l’altro, con chi appartiene a culture straniere. L’arte insegna il valore di una famiglia umana allargata e coesa, insegna la pace e il rispetto per ogni creatura. Insegna l’ascolto e la pazienza della disciplina. -
I.P. - Quale dei tuoi libri consiglieresti ad un lettore che si sta appena avvicinando alla tua poesia? -
F.C. - Logicamente, per capire la poetica di ogni autore bisognerebbe leggere tutta la sua produzione, ma credo che le mie ultime opere sono sicuramente frutto della mia maturità letteraria. Indico qui le questioni che mi sono state più a cuore e che ho provato a rappresentare: il diritto all’infanzia serena dei bambini, l’autodeterminazione esistenziale delle donne, il contrasto a ogni stereotipia di genere, la denuncia della violenza maschile contro le donne, la logica perversa dello sfruttamento nella società capitalistica. la bellezza della natura e il bisogno di spiritualità di ogni creautura umana. Nelle poesie delle prime raccolte fino all’ultima silloge pubblicata per la casa editrice Terra di Ulivi, La Vertigine del Taglio, nei racconti e nei romanzi ho cercato di intrecciare tali tematiche che mi hanno da sempre ispirato. Dare voce a chi non ha voce, agli oppressi, agli ultimi. -
I.P. - Puoi dirci qualcosa del tuo ultimo romanzo La Bambina, il Carro e la Stella? -
F.C. - E’ un romanzo di formazione che narra la storia di una bambina di origini rumene in un campo nomade. Lei vive per strada in una città del sud che non viene mai nominata, ma che è la nostra Napoli. Due mondi che si incrociano, si sfiorano e si contaminano fino a determinare nella ragazzina una trasformazione, che passa attraverso un cammino di individuazione problematico e sofferto. Un romanzo che vuole superare sia gli stereotipi idilliaci che quelli solo negativi intorno alla etnia rom, fino a raggiungere una rappresentazione realistica e ampia. La vitalità intelligente di Marika ci conduce nel suo mondo marginale, che confina con la metropoli. Durante la narrazione, ci sono dei riferimenti a episodi drammatici di cronaca nazionale che riportano l’attenzione sulla questione dei campi nomadi. Ho inserito tra un capitolo e l’altro brani di prosa poetica, intervalli che aiutano ad allargare ogni percezione, in questo viaggio nella tradizione e nei problemi del popolo errante. Ma la mia intenzione era di rovesciare lo sguardo di chi giudica sempre il diverso come una persona che deve essere rieducata, per arrivare a comprendere che ogni cultura ha una sua dignità, un suo paradigma, una sua evoluzione che nasce dall’incontro, e ognuno sceglie cosa lasciare e cosa prendere. -
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