Iuri Lombardi e il codice intimo dell’ingerenza
Le ceneri dell'ingerenza di Iuri Lombardi

Iuri Lombardi e il codice intimo dell’ingerenza

diFloriana Coppola

Mi è dato di conoscere/ l’esodo perché germoglio mammifero./ Posso (quindi) continuare a mentire,/ a scheggiare la mappa del buio/ con le scintille incerte dei colpi scuri,/ dimenticarmi, fuoriuscire da me/ refolo di cenere o sole d’inverno/ nelle stanze di contenzione date…

Iuri Lombardi ha molto da dire come poeta e intellettuale. Da tanto tempo lavora per rendere effettiva la sua militanza politica e letteraria, intrecciando linguaggi diversi. Si definisce un poeta di strada e forse per questo è meno conosciuto sui media. Potrei dire che questa sua scelta la considero un valore aggiunto. Fiorentino di nascita, vive e lavora nella sua città. Poeta, scrittore, saggista, drammaturgo. Questa nuova silloge dal titolo emblematico “Le ceneri dell’ingerenza”, edita da Terra di ulivi (2023) arricchisce il suo già fecondo curriculum letterario. Già il titolo è un indizio prezioso che bisogna approfondire. La parola “ingerenza” ha una forte valenza polisemantica.  Il suo significato è: intromissione indebita. Deriva da ingerire, dal latino ingèrere ‘portare dentro’, composto da in- e gerere ‘portare’. L’ingerenza è proprio l’atto di ingerirsi: etimologicamente, il ‘portarsi dentro’.
Non è un immischiarsi, un curiosare, ma un esercizio di potere, per cui qualcuno si porta dentro a una faccenda che non gli appartiene. Tanti gli interrogativi che questa parola apre: cosa mi porto dentro? Cosa ingerisco del mondo esterno e che metabolizzo, trasformandolo? Si riconosce e si chiama così un’intromissione abusiva, che perimetra l’autenticità di un processo. E’ il poeta colui che abusa di questo potere per  fare casa nelle parole, oppure è l’abusato a cui viene negata ormai la capacità di creare appartenenza? Questo termine già abbastanza audace e complesso viene abbinato ad un altro: “ceneri”. Insieme queste due parole formano un binomio particolare che può essere letto su diversi piani.  Può avere vari significati e, leggendo la silloge,  può determinare una certa narrazione che scopre degli assoluti impliciti da decodificare nel testo: cosa rimane nella scrittura di questo processo continuo e ambivalente di contaminazione  con ciò che è esterno da noi, con la complessità del legame tra l’uomo e la società, tra il suo corpo e il linguaggio che interiorizza, tra ogni essere umano e la natura che viene saccheggiata e trasformata secondo una visione antropocentrica che cannibalizza ogni altro elemento? Tante sono le prospettive che si possono affrontare   e pongono delle riflessioni filosofiche e antropologiche. Il corpo, la dimensione corporea, è profondamente presente nel testo di Lombardi. E’ una dimensione protagonista in ogni verso. Parole relative al campo semantico della fisicità sono essenziali in ogni pagina: addome, piedi, carne, mano, ossa, scheletro, occhi. E poi le parole esodo, esilio e diaspora lasciano un’eredità forte nella narrazione poetica. Il corpo nell’era post-industriale e post-capitalistica è stato il soggetto di una mutazione biologica e attraverso il corpo, le sue emozioni e le sue percezioni sensoriali, ognuno memorizza ed esprime il cambiamento che vive e che subisce. Il corpo è il primo libro che si impara a leggere. Ha una muscolatura simbolica epica, che indica la capacità di sopravvivere e di farsi contaminare dalla realtà che cambia intorno. Lombardi, artista poliedrico, consapevole delle potenzialità espressive del corpo, lo rende attore principale della sua scrittura e del suo teatro performativo. Afferma Lombardi in una sua intervista: 

Il corpo è una merce di scambio. Il corpo adesso diventa solo un mezzo di lotta e la sua anima non più spirito ma un viluppo di sensazioni e di percezioni ancora una volta impossibile di scissione dalla carne. L’involucro, le ossa, la persona fisica viene quindi impiegata per una lotta non più gioiosa ma totalmente di guerra. Muta quindi anche il rapporto tra uomo e tempo, dove quest’ultimo assume sempre più un significato preciso. Nasce quindi la consapevolezza che non c’è corpo se non calato in un tempo e che la temporalità ha comunque una scadenza: è un progetto a termine. Il corpo viene impiegato tramite una compravendita subdola nel lavoro, nella società, nell’amore, nei momenti ricreativi, nei rapporti empatici, per il resto della vita. 

Le ceneri dell’ingerenza allora sono l’indice simbolico di questa trasformazione effimera e precaria della condizione umana. Esprimono questo movimento intermittente   del portarsi dentro la storia, del portare dentro il vissuto storico di un esilio che annichilisce e tormenta, perché il mercato detiene la regia del consumo e della produzione di significato, essenzialmente economico, di ogni gesto, di ogni azione. Il processo di alienazione si conclude con l’esilio dell’uomo e con la sua riduzione a cosa/corpo da barattare. 

Ci siamo abituati a morire ma non alla vita;/abitato l’alfabeto di un incontro,/ piantato la luna mai uguale ogni sera,/ rovistato nei cassetti, esodati quali siamo/ nell’0eresia della diaspora; apostati/ del pieno, in quest’aria azzurrina/ che cifra presenze, apparecchia/gli elementi del credo gnostico.

La prima persona plurale diventa dolore condiviso per un esilio, elaborazione collettiva della fine  di una comunità che cerca alleati complici, comunità che si è dissolta in una diaspora politica. Forse viene sottolineato così il lutto di un uomo che perde la sua identità sociale, registra l’epica della solitudine e della struggente nostalgia per qualcosa che non avverrà più. La poesia canta la morte, come dissoluzione dell’anima, estinzione progressiva di un tempo mistico dove tutto era armonia e restituzione salvifica. La drammaticità di questa rivelazione diventa scrittura del frammento, fotografia della disintegrazione del corpo/anima che muore e implode nella frattura interiore con un mondo che non lo contiene più, ma lo utilizza come merce, oggetto di scambio commerciale. Lombardi descrive con esattezza questo divenire “assenza” nel proprio tempo. La poesia è atto politico di questa disobbedienza, perché si emancipa integralmente dal mercato. Chi sceglie di scrivere poesia sa che si pone nella periferia della società commerciale. È presenza marginale, segno di un esilio volontario.

C’è un’aria opaca quasi cenere/ un uomo che fuma solitudine/ assorto sui propri scalini di casa,/ un viavai di passanti frettolosi;/ un cielo che si riversa celeste/ quasi viola, l’aurora d’artificio/che accende una dopo l’altra le mille/ finestre consacrate al nuovo lutto.


Lombardi cerca di dipingere delle atmosfere liriche, senza bisogno della rima ma traducendo in versi delle realtà percepite come argini percettivi, quadri di insieme. Usa ogni forma di linguaggio, la prosa, la poesia e il dramma per ricomporre un’armonia tra la creatura umana e i suoi affetti, i suoi slanci spirituali, la sua terra, la natura che la circonda e respira con lei. I suoi testi leggono la strada, i suoi elementi che la caratterizzano, gli umili che l’attraversano e così ricerca con pudore e con estrema tenerezza quel Dio innominabile ma presente, in una liturgia nascosta di gesti e di parole.


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