L'energia del respiro
Prana è la somma di tutte le energie contenute nell’Universo. L’Universo è costituito di Akasha, l’etere cosmico, e di Prana cioè energia. La materia si forma dall’interazione di Prana su Akasha.
Il cibo, l’acqua, il sole hanno il Prana dentro di sé; lo trasmettono a qualsiasi essere, animale o vegetale. Il Prana permea i corpi, giungendo anche dove non arriva l’aria.
Il Prana è il nostro vero nutrimento, perché, senza di esso, non è possibile alcuna vita. La parola deriva dal sanscrito प्राण (prāṇa) e significa letteralmente «vita»,«respiro», «spirito».
Per gli induisti, uno dei modi più immediati per ottenere Prana è attraverso la respirazione, la quale permette di incamerare nel proprio corpo, oltre all’aria, anche l’elemento “sottile” che dà la vitalità.
D’altronde scriveva lo stesso Epicuro (in Epistola a Erodoto, 63 e sgg.):«Bisogna credere che l’anima è un corpo sottile, sparso per tutto l’organismo, assai simile all’elemento ventoso, e avente una certa mescolanza di calore, e in qualche modo somigliante all’uno, in qualche modo all’altro. C’è poi una parte che per la sottigliezza si differenzia nettamente anche da questi, e perciò piú adatta a subire modificazioni insieme al rimanente dell’organismo».
Bisogna dunque imparare a respirare, a padroneggiare il respiro, per avere consapevolezza del proprio corpo e della propria mente, riuscendo a padroneggiare le funzioni vitali.
Il Prana si può accumulare nel sistema nervoso, in particolare nel plesso solare.
Il Prana è la forza vitale più potente della natura, sorgente di tutte le altre forze, esiste da sempre ed è il più sottile e invisibile elemento naturale, affine solo al magnetismo, all’elettricità, al calore, ma molto più potente di questi.
L’uomo è ogni giorno soggetto al Prana, che proviene in grande quantità dal sole, e deve immagazzinarne quanto più possibile all’interno del proprio corpo, cercando di non disperderlo. Più ne contiene e più è in equilibrio. Solo così mente e corpo, limpidi e puri, eliminano le scorie e funzionano in armonia con l’Universo.
Ciò premesso, Michele Carniel, nato il 15 gennaio 1978 a San Donà di Piave, in provincia di Venezia, di professione progettista di impianti navali e allenatore di calcio, ha appena pubblicato per Terra d’Ulivi una silloge dal titolo “La strategia del respiro” che mi fa appunto ripensare ai fondamenti della filosofia induista e alle idee sul “respiro” che mi hanno sempre affascinata.
Questo fascino deriva senz’altro dal fatto che mi pare che quando si parli di concetti fondanti come il “respiro”, i filosofi, i poeti, i teologi siano poi tutti sostanzialmente d’accordo: l’anima è qualcosa che, in un modo o nell’altro, per tutti, ha a che fare col respiro, con l’aria, con il vento, con la materia (basterebbe pensare ai 21 grammi del famoso film omonimo).
Il respiro è un atto involontario, ma l’uomo, come essere potenzialmente perfetto, può controllare e padroneggiare l’atto respiratorio per migliorare la propria esistenza, per equilibrare le proprie energie interne.
Ecco che questo libro sembra assecondare nel lettore il suo ritmo respiratorio; è diviso infatti in due sezioni
Inspirazione:
Un dolore superstite
mi veicola alla foce,
una spessa epidermide
pentita e grassa.
Grumo di nervi
a galla del suono
s’offrono al sole,
l’opposta direzione.
Che rimane di te?
Del tuo amore in superficie?
Ci sono molti modi di morire
- un vivere nonostante -
il torace che non rovina
la strategia del respiro.
In equilibrio su una vertigine
la nota sviene.
Per il linguaggio proibito dell’adagio
s’arresta il respiro
e divampa il nostro pentagramma.
Sei pianoforte che penetra
nel mio vivere da primo violino
e mentre il diaframma finge un’altra apnea
un soffio irrigidisce lo scirocco,
lo completa.
ed Espirazione:
Usa il mio respiro come coperta
adatterò la voce per disinnescare litanie
e la muoverò attraverso un suono efficace sottopelle
laddove il nascosto è più evidente di questo ‘noi’.
Il silenzio smetterà di usare la paura come reato
tu sfoggerai il sorriso migliore
lacerando l’estate trascorsa ad accumulare neve
e gli occhi nascosti nel cassetto avranno finalmente giustizia.
Mani giunte diventeranno invasioni disinfettate dalla violenza
assieme alle unghie consumate addosso alle matite
e se due corpi sono la somma di un universo rimasto in
[placenta
sarò felice di amarti a prescindere dalla mia rinascita.
Questa silloge dà la possibilità al lettore di trattenere il fiato e poi di abbandonarsi all’atto espiratorio eliminando le scorie di ogni giorno.
La parola e l’aria si confondono in un flusso univoco.
In un linguaggio primigenio, Carniel ci consegna un lungo respiro di cui solo i poeti conoscono le strategie.
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