La donna capovolta di Titti Marrone
In questo romanzo, Titti Marrone ci conduce all’interno dell’incandescenza depressiva di un tema privato, che può essere considerato assolutamente politico. La storia del capovolgimento esistenziale e della relazione conflittuale tra Eleonora, intellettuale borghese e progressista, e Alina, ingegnera moldava, in Italia per lavorare come badante. La questione della cura degli anziani è il punto dolente della narrazione che si sdoppia in due direzioni. Eleonora è costretta dalla demenza senile della madre a capovolgere il suo ruolo di figlia, diventando responsabile assoluta dell’assistenza domestica, in un maternage insofferente e precario. Alina invece ha dovuto nascondere in Italia la sua reale identità professionale e culturale, convinta di una possibile competizione con la sua datrice di lavoro. Il rapporto madre/figlia e la relazione padrona/dipendente sono sviscerati in tutta la loro ambiguità destabilizzante, dentro l’universo casalingo, palcoscenico grottesco di una convivenza vissuta sotto l’egida della diffidenza reciproca e dell’inganno. Nell’oikos urbano, all’interno della gestione organizzativa della cura, le figure maschili sono sfuggenti e superficiali. Il maschile e il femminile non riescono a incontrarsi sul piano della corresponsabilità e della condivisione. La narrazione sottolinea il dato scontato che la responsabilità della cura dei vecchi genitori spetti alle donne, siano esse figlie o sorelle. Anche per le donne straniere è evidente la totale presa in carico sia della disoccupazione dei mariti, sia delle prospettive lavorative dei figli e dei nipoti. Il welfare italiano, ancora oggi si appoggia in modo assoluto sul sacrificio oblativo e usurante delle donne, che vivono con alternanti sensi di colpa e di fuga lo svolgimento drammatico di tale incombenza. Si sa che in Italia, le donne rimangono in casa. Il tasso dell’occupazione femminile è ancora basso (poco oltre il 48%). Una donna su tre lascia l’occupazione dopo la nascita del primo figlio. Le consigliere regionali delle Pari Opportunità denunciano l’assenza reale di sostegno alle famiglie per gli anziani, i disabili e i bambini. Nel settore privato per una donna è meno conveniente lavorare, perché guadagna il 18% in meno della paga oraria degli uomini. Questo furto di stato rende le donne altamente svantaggiate (gender pay gap) e in conflitto tra il desiderio di un inserimento professionale coerente con il titolo di studio e il bisogno morale e affettivo di curare i figli piccoli e i genitori anziani. Lo scarto culturale tra un ideale paritario tra uomini e donne e la realtà italiana viene registrato crudamente da questo romanzo. Eleonora si sente in colpa perché affida sua madre a una estranea, con cui da subito entra in competizione affettiva. Alina soffre la lontananza dai figli e si fa ricattare per questo. Nessuna di loro è consapevole fino in fondo che le contraddizioni della loro vita privata sono funzionali ad un sistema economico patriarcale e sessista che si basa ancora sull’appoggio effettivo e sostanziale delle donne nella sfera domestica e assistenziale.
Lo strazio assoluto di accompagnare nella malattia e nella morte la propria madre conduce in una dimensione struggente, che mette a dura prova il legame d’affetto. Ogni relazione di aiuto ha in sé un potenziale depressivo, stressante e usurante, ma l’assistenza al processo di deterioramento fisico e psichico della propria madre è per ogni figlia una fonte infinita di dolore, amplificato da un grosso stravolgimento del quotidiano. Diventare la madre di tua madre, offrire sostegno fisico e morale verso una persona a cui si è legati da un amore a volte pieno di contraddizioni è un’esperienza devastante, anche perché la direzione di questo impegno è la morte. Senso di colpa, senso di impotenza, responsabilità delle scelte, tenerezza e desiderio di fuga: tutto si contamina in un cocktail esplosivo e autolesivo. Titti Marrone descrive con una prosa asciutta ed efficace questa condizione femminile, fino a esprimere lo sconcerto stressante della protagonista Eleonora, il senso di solitudine che prova e che diventa motore del suo avvicinamento ad Alina, di cui percepisce la disperazione e la determinazione. Alcuni passaggi narrativi sono pieni di sarcasmo, per stigmatizzare i reciproci pregiudizi delle due donne, fino a costruire un’ atmosfera grottesca e caricaturale. Nessuna delle due è esente da ipergeneralizzazioni banali e superficiali sull’altra. Non esistono buone e cattive, vittime e carnefici, sfruttate e sfruttatrici. I confini di ogni categoria sfumano, liberati dalla trappola della casella sociale. La borghese italiana finge di essere una persona di vedute larghe e l’ingegnera moldava finge di essere ignorante perché presume erroneamente una possibile competizione. Ognuna è vittima del pregiudizio. Tutto è un mascheramento, un opportunismo reciproco, un vampirismo affettivo, lì dove le istituzioni sono colpevolmente assenti.
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