La polifonia amorosa di Saffo poetessa “virile” L’erotismo nel mondo antico
Tra le personalità più rappresentative della Grecia antica si annovera la poetessa Saffo, nativa di Lesbo e attiva tra il VII e il VI sec. AC. Dalle sue poesie sappiamo che era sposata e aveva una figlia, Cleis. Saffo gode già tra i suoi contemporanei di grandissima fama: Alceo dice di lei “Saffo divina, dal crine di viola e dal sorriso di miele”. La sua fortuna continua in età classica ed ellenistica: Platone la definisce “la decima Musa”; il geografo Strabone la cita come “essere meraviglioso” tra i grandi personaggi di Mitilene; Dioniso di Alicarnasso riporta per intero l’ode ad Afrodite come “esempio di bellezza e grazia”, e l’anonimo del Sublime attribuisce tale epiteto (sublime appunto) all’ode 31, in cui la poetessa descrive gli effetti della passione.
Molto l’amarono e imitarono anche i poeti latini, tra i quali Catullo, che da lei mutua il celebre carme della gelosia:
Ille mi par esse deo videtur
ille, si fas est, superare divos
qui sedens adversus identidem te
spectat et audit,
dulce ridentem, misero quod omnis
eripit sensus mihi: nam simul te,
Lesbia, aspexi, nihil est super mi
vocis in ore,
lingua sed torpet, tenuis sub artus
flamma demanat, sonitu suopte
tintinnant aures, gemina teguntur
lumina nocte.
Mi sembra un dio, se è lecito dirlo,
(mi sembra) superare gli dei colui che
di fronte a te siede, e ti guarda e ti ascolta,
mentre tu dolcemente sorridi,
a me misero questo toglie ogni facoltà, infatti,
non appena ti vedo, o Lesbia, niente rimane in me
neppure la voce in gola,
la lingua si intorpidisce, una fiamma
sottile mi percorre le membra,
le orecchie rimbombano, cala sugli occhi
una notte profonda.
Pochi testi sono stati così tanto letti e imitati. Si tratta di una poesia in cui l’amante siede di fronte all’amata, l’ascolta mentre parla e dolcemente sorride. L’ode traduce una vera e propria fenomenologia dell’amore che fa emergere tutto il turbamento psicofisico provocato dall’eros.
Nell’ambito di una scuola femminile detta Tiaso, a Mitilene prima di andare spose, si raccoglievano intorno a Saffo le fanciulle dell’isola che apprendevano la musica, la danza e l’eleganza delle lettere. Il Tiaso aveva carattere religioso, perché legato al culto di Afrodite e delle Muse e corrispondeva, per certi aspetti, ad un’altra scuola detta Eteria, a carattere maschile. Tra Saffo e le giovani alunne c’erano rapporti affettuosi che non escludevano quelli di tipo amoroso e sessuale. Attualmente definiremmo queste relazioni “omosessuali” e i soggetti coinvolti “bisessuali”. Ma i termini “bisessuale” e “omosessuale” in realtà sono moderni (di derivazione giudaico-cristiana) e non esistevano nella lingua dei greci, per il semplice motivo che i greci non avevano nulla di simile da dover definire.
Come spiega bene Eva Cantarella[1] che definisce Saffo “il più grande poeta del mondo greco”, usando volontariamente il maschile come neutro (maschile generico), la netta differenza tra omo ed etero l’abbiamo ereditata dalla tradizione giudaico-cristiana che opera una distinzione rigidissima sul piano sessuale. Ciò che contava per i greci era, invece, il concetto di virilità, che non corrisponde a quello comunemente accettato. I termini “virile” e “virilità” indicavano l’essere “attivi” e la “attività”, non solo in campo sessuale, ma in tutti i campi: sportivo, politico, guerresco. Il mondo greco, infatti, era molto competitivo e ognuno si sentiva interiormente chiamato a distinguersi e ad affermarsi, in qualunque contesto. L’uomo greco doveva essere attivo: Achille, il migliore degli achei, era il prototipo dell’eroe attivo, perché uccideva, vinceva, era un killer in guerra. Anche nel campo politico il cittadino affermava la propria volontà con la parola, perché doveva imporsi sugli altri e distinguersi. Nella sfera sessuale era lo stesso: bisognava assumere un ruolo attivo, ma questo poteva accadere sia con gli uomini che con le donne: in Grecia i rapporti che noi moderni definiamo omosessuali erano normali e assolutamente accettati. La stessa Saffo dotata di forte temperamento svolge un ruolo attivo (riveste il ruolo dell’amante e non dell’amata, della guida e non dell’alunna), quindi, pur essendo donna, è a tutti gli effetti “virile”.
Le fonti parlano molto di un tipo di relazione tra uomini che è la famosa “pederastia”[2], ma non dicono quasi niente dell’amore fra donne. Le donne che intrecciavano relazioni sessuali fra loro Platone le chiama tribadi (prostitute)[3], relegando questo tipo di rapporti al mondo delle meretrici. Il disprezzo per l’omosessualità femminile risale in verità ad un periodo (successivo a Saffo) in cui le strutture della polis si erano oramai consolidate; quindi, ciò che ora è stigmatizzato, prima era assolutamente accettato, se pur esclusivamente in determinate fasi della vita e in contesti particolari e ben definiti. L’unica fonte che attesta le relazioni fra donne è Saffo: in un’epoca precedente al consolidamento delle strutture della polis, le ragazze, prima del matrimonio, passavano un periodo di tempo nella comunità del Tiaso, dove venivano istruite e preparate a diventare donne, mogli e madri attraverso l’amore omosessuale con la maestra. Il celebre canto della gelosia (carme 51 di Catullo) è dedicato ad un’allieva, Agallide, che sta per sposarsi:
Mi sembra un dio
colui che di fronte a te siede
e ti ascolta, mentre tu pronunci
dolci parole
e amorevole sorridi. Questo a me
fa sussultare il cuore nel petto:
non appena ti guardo non ho più voce,
rotta è la lingua , un fuoco sottile
scorre sotto la pelle,
con gli occhi nulla più vedo,
ronzano le orecchie,
sudore freddo mi avvolge.
Tremo,
sono più verde dell’erba,
mi sento poco lontano
dal morire.
(Saffo fr. 31)
Ad un’altra fanciulla di cui non conosciamo il nome dedica questi versi:
Vorrei proprio essere morta.
E così lei mi lascia, piangendo molto
e dice: haimè, come terribilmente soffriamo,
Saffo, davvero contro la mia volontà ti lascio.
Parti e sii felice e di me ricordati, sai quanto
ti ho voluto bene, e se lo dimentichi, voglio
ricordarti quante cose dolci e belle abbiamo goduto.
(Saffo fr. 24)
In seguito, le donne vengono relegate in casa e il giudizio sociale rispetto ai rapporti fra loro cambia. Agli uomini invece era perfettamente consentito amare sia uomini che donne, anche se, è appena il caso di rimarcarlo, questo non ci autorizza a parlare di libertà sessuale in riferimento ai greci, dal momento che, come abbiamo visto anche per le donne al tempo di Saffo, tali relazioni erano regolamentate da un codice molto rigido e subordinate ad almeno due condizioni: il rapporto paideutico e l’età del ragazzo che non doveva superare la pubertà. Superata una certa età, l’uomo, in quanto cittadino, doveva contribuire alla crescita della polis e sposarsi, per generare cittadini e soldati. Il matrimonio, dunque, era una istituzione finalizzata alla procreazione e al consolidamento della polis (della civitas a Roma). Per questo motivo Platone, che nel Simposio spiega l’amore come desiderio di ricostituire l’originaria interezza [4], considera l’amore omosessuale superiore a quello eterosessuale, perché non finalizzato alla procreazione, ma solo a se stesso e dunque puro.
L’esperienza di Saffo ci dimostra che nell’approcciarci alla storia, alla letteratura e a qualunque fatto umano non possiamo prescindere dal relativismo culturale, perché i valori, i riferimenti e i sentimenti, compreso il modo di amare e di essere amati, cambiano nel tempo e nello spazio. Una leggenda posteriore racconta che Saffo, perdutamente innamorata di Faone, non corrisposta si lascia precipitare dall’incantevole rupe di Leucade, e dalle sue stesse poesie sappiamo che era sposata, aspetti che, applicando gli odierni criteri, ci farebbero etichettare la poetessa di Mitilene come “tipo etero”. E certamente, esperta d’amore, così come dipana le note delicate del sentimento femminile, pure conosce e declina quelle più aspre e ruvide della passione per l’altro sesso, in cui Eros è forza personificata e tremenda che sa destabilizzare anche le strutture più rigide; come nel frammento 168 (tradotto mirabilmente da Salvatore Quasimodo) che ha ispirato poeti e scrittori di tutti i tempi:
Tramontata è la luna,
e le Pleiadi nel mezzo della notte.
Anche giovinezza già si dilegua
e ora nel mio letto resto sola.
Scuote l’anima mia Eros
come vento sul monte che sbatte le querce
e scioglie le membra
e le agita,
dolceamara indomabile belva.
Ma a me non ape, non miele,
e soffro
e desidero.
Ma attraverso la sua opera e il suo impegno, Saffo ci ricorda pure che le anime non hanno sesso, e che l’amore in tutti i suoi colori, sfaccettature e declinazioni è la legge che governa l’universo intero, quando, superando se stessa, scrive quelli che indubbiamente si annoverano tra i versi più belli di tutta la letteratura mondiale
Chi un esercito di cavalieri,
chi di fanti,
e chi di navi
dice essere
sulla nera terra
la cosa più bella.
Io, invece, dico
colui che si ama.
(Saffo, fr. 16)
[1] EVA CANTARELLA, Secondo natura, la bisessualità nel mondo antico. Feltrinelli 2016.
[2] Relazione tra maestro e discepolo che prevedeva anche rapporti sessuali. Esisteva anche a Roma, ma i romani, più condizionati dall'idea del dominio, preferivano gli schiavi.
[3] PLATONE, Simposio.
[4] Si tratta del mito delle metà, esposto da Platone nel Simposio.
Sostienici
Lascia il tuo commento