La stanza accanto di Pedro Almodovar
"Donne" 8 di Elio Scarciglia

La stanza accanto di Pedro Almodovar

diTeresa Mariniello

Dal romanzo di Sigrid Nunez, Attraverso la vita, trae spunto l’ultimo film di Pedro Almodovar, La stanza accanto, che ha vinto il Leone d’oro come migliore film e che ha ricevuto ben diciassette minuti di applausi al termine della proiezione.

È un film che si sviluppa soprattutto attraverso il dialogo tra le due protagoniste toccando temi che inizialmente sono circoscritti alla realtà che vivono le due amiche per poi farsi sempre più intimi e profondi, arrivando ai nuclei dell’amore e della morte.

La trama avanza lentamente, con racconti nel racconto secondo uno stile caro ad Almodovar e con la maggior parte delle scene girata in interni che sembrano imitare le modalità narrative del teatro.

Molti i riferimenti all’arte. 

Intanto la casa, costituita da una sequenza di volumi collegati tra loro in modo da seguire la pendenza del terreno, aperti sull’esterno attraverso ampie vetrate da cui proviene una luce che fa pensare a quella di Hopper, arredata in modo curato e con oggetti d’autore come la poltrona dell’architetto Charles Eames.

E poi il film che le protagoniste guardano una sera è di Buster Keaton, un poster alla parete è di Ingrid Bergman, gli abiti che indossano sono di stilisti e via dicendo. Del resto entrambe le donne sono agiate economicamente, essendo Ingrid (Julianne Moore) una scrittrice di successo e Martha (Tilda Swinton) una ex reporter di guerra. Sono state colleghe in una rivista a New York per poi perdersi senza motivi particolari. Quando Ingrid, da una amica comune, viene a conoscenza della grave malattia di Martha va a trovarla in ospedale e tra le due riprende la storia d’amicizia.

Si raccontano le cose accadute, i sentimenti vissuti, i conflitti mai risolti, in una intimità e confronto come solo le donne riescono a fare. Quando Martha riesce a stare meglio e ad uscire dall’ospedale per tornare a casa riceve la notizia che la cura, a cui si è sottoposta, non ha avuto esito favorevole e così prende la decisione di morire con dignità e in libertà. Ma per questo desidera l’aiuto di Ingrid.

Pianifica ogni cosa con coraggio e determinazione, sceglie come uscire dalle scene. Acquista una pillola sul dark web, prepara una lettera che solleva Ingrid dalle responsabilità del suo suicido, ma soprattutto fitta una nuova casa.

Nel proprio appartamento tutto le ricordava qualcosa, ogni oggetto rimandava a momenti troppo densi di vita e dunque insopportabili in questo momento. Sarebbe stato un abbraccio troppo avvolgente.

Sceglie dunque una casa fuori città immersa in un bosco, arredata non in modo asettico ma certamente minimale, con nulla né di personale e né di familiare.

Nei giorni che le due amiche vivono lì insieme, con gli inevitabili momenti anche di scontro, il passato sembra perdersi, il melodramma iniziale viene silenziato a poco a poco; niente flashback, niente più ricordi di guerre, di amanti, di incomprensioni familiari.

Resta il pensiero lucido del suo congedo dalla vita in un processo di sottrazione per arrivare solo a ciò che è essenziale, senza rinunciare a godere della bellezza della natura, del canto degli uccelli, di una neve che cade dolcemente e che è, straordinariamente, rosa. 

E qui c’è un riferimento importante, quello del problema dell’ambiente, anch’esso prossimo alla fine, tema che si intreccia a quello principale. L’eutanasia.

Portata come scelta individuale per un diritto inalienabile; quello di scegliere una fine dignitosa, di andare all’ultimo appuntamento indossando un bel vestito, guardandosi allo specchio mentre ci si mette un rossetto dal colore acceso. 

È anche un film che parla di amicizia, di condivisione, di capacità di essere accanto a chi prende una decisione che coinvolge su più piani.

Non si lascia la sala con una sensazione di vuoto, né di tristezza; semmai si resta sospesi in una leggera malinconia per quella soglia da varcare, per quella porta rossa che a un certo punto non sarà più chiusa. 

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