Margherita Lollini "Le confessioni private di un gentleman"
«Anche le città credono d'essere opera della mente o del caso, ma né l'una né l'altro bastano a tener su le loro mura. D'una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.» Marco Polo.
Non si può non pensare a Calvino leggendo questo romanzo, malgrado il titolo ci rimandi ad un altro grandissimo autore, il connubio città-donna-amante ci rimanda inesorabilmente alle Città invisibili, ma qui le città sono reali e non immaginarie come in quello di Calvino. Piccoli racconti, ricordi, confessioni, aneddoti, fiabe e leggende che intrecciano la storia che ha attraversato i luoghi che descrive. Sono associati in esergo delicati versi ad ogni nuovo viaggio/incontro, questi versi sintetizzano o introducono quello che il nuovo viaggio significa, sono dei veri e propri significanti dei racconti a cui sono accostati.
Il viaggio e i luoghi, o meglio i non luoghi del viaggio, un altrove che non è mai radice. Il luogo invece come casa, come nido, come amante è un luogo della mente, irreale e incontaminato come l’amore, quello impossibile, quello che vive solo nel ricordo, come l’infanzia, così anche gli incontri, fugaci, ma essenziali, lasciano la cifra dell’eterno rubato all’attimo fuggente. Città madri, città padri accolgono, abbracciano, o danno ordine e sicurezza alla mente, città dove si ritorna, città da cui si fugge. La città come nido a cui si torna per sostare e poi riprendere il viaggio, la nostalgia dell’essere lontani e l’irrequietezza del restare, questa l’eterna contraddizione dell’essere umano.
Nell’isola che non c’è mi andai a rifugiare come quel ragazzo
che vuole ancora credere nei sogni. Andai a cercare tutte le
cose che non ci sono e qualcuna potei persino trovarla. Accanto
a me, anzi dentro di me, c’era anche un uomo. Credeva
poco a queste cose, era scettico e preferiva tutto quello che
trova ragione dimostrabile. Aveva fede nella sua razionalità
impeccabile che mai lo aveva deluso.
Il ragazzo sapeva bene che quella era l’isola dove esistono anche
le storie che non ci sono. E l’insieme di queste storie non
si possono narrare.
Il protagonista di questo romanzo resta un ragazzo, un Puer aeternum che non sa fare i conti con la realtà e resta sospeso, impigliato tra cielo e terra senza poter mai atterrare; i temi dell’amore indimenticabile o impossibile, della follia e dell’avventura, il rischio sono tutti i modi di vivere del Puer che non può invecchiare, una dimensione dell’esistere che anche quella del sognatore e dell’artista. Jung afferma che il Puer congiunge l’aspetto dell’insignificante, ossia del piccolo, con quello del divino, l’aspetto del conscio con quello dell’inconscio.
Nell’antica Grecia, luoghi quali crocevia, sorgenti, pozzi, boschi, avevano specifiche qualità e specifiche personificazioni: dèi, demoni, ninfe, e se si era inconsapevoli di tutto questo, se si era disattenti alle figure che abitavano un incrocio o un bosco, se si era insensibili ai luoghi, si rischiava di esserne posseduti, le ninfe o Pan potevano sopraffare il passante. Per questo si doveva essere consapevoli di quale spirito presidiava quel particolare luogo, e come l’anima, corrispondeva al luogo in cui ci si trovava, ogni luogo aveva un’intima, peculiare qualità. I luoghi hanno un’anima, dice Hillman nel suo testo L’anima dei luoghi, il nostro compito è di scoprirla. Gli uomini circondavano il luogo di pietre: per proteggere la sua interiorità, nascevano così i templi consacrati a queste divinità, ritualizzando il Genius loci fondavano le città. In un’epoca nella quale domina l’artificio e la superficialità, in un mondo che non vuole scorgere la profondità, l’autrice ci conduce in un viaggio di conoscenza che consiste nello smascherare l’inganno della banalizzazione utilitaristica per spingerci dentro le cose, per discernere la manifestazione dell’essere dalla ridondanza dell’edonismo consumista e riconoscere quello che il daimon del luogo ci dice: a cominciare dalle sue ferite che non possono, non devono, essere cancellate dal tempo.
Non penso di appartenere a nessun posto, mentre credo che
molti luoghi abitino in me.
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