
Le rifrazioni e il divenire di Osicran di Saverio Bafaro.
Osicran o dell’Antinarciso (Il Convivio Editore, 2024) di Saverio Bafaro è rifrazione di specchio: doppi si richiamano per tutta l’opera, spaccandosi e creando rifrazioni multiple. La tensione che percorre tutta l’opera, forse, vorrebbe essere risolta dal Bafaro psicologo, ma, per fortuna, la sua opera non scioglie, restando così pulsante. Il titolo stesso, ‘Osicran’ (che si legge ‘narciso’ al contrario), sembra dirci di più rispetto alla sua aggiunta di ‘o l’Antinarciso’ e se l’opera d’arte ci dice di più dell’intento autoriale, allora in ‘Osicran’ non leggo solo l’Antinarciso, ma una rifrazione (e quindi una perpetuazione) di Narciso stesso. In questo gioco di rifrazioni l’autore fa intravedere la sua carne e, forse, considerando la copertina del libro, dovremmo dire le sue ossa. Ciò che rende pulsante questo testo è l’esperienza personale, la vita che si sottrae ai nostri tentativi di controllo, anche se l’autore psicologo governa bene, stilisticamente, questo magma.
Separare e poi sovrapporre in parte
l’uomo e la donna che porto in me
rendendo grazie al loro esserci,
armonizzarne con voluta intensità
le fisionomie ai due lati dello specchio
con grandi esiti nell’opera maestra
per gli elementi del volto e della voce,
dei movimenti e del ritmo, inesausti
nel rincorrere e ottenere un incontro.
Provare infine un forte coraggio
‒ simile a un fabbro atto a fondere ‒
di accogliere e riplasmare insieme
con solidità, magnificenza e stupore
l’unità così emersa visibile e sovrana
In un bassorilievo del V sec. a. C. (440-429) presso il Museo Nazionale di Napoli compaiono tre nomi ‘HERMES’, ‘EYRIDIKE’, ‘ORPHEYS’, l’ultimo è scritto al contrario ‘SYEHPRO’. ‘Osicran’ come ‘Syehpro’ ci mostrano qualcosa della loro rifrazione e del loro perdersi. I miti di Orfeo e Narciso possono essere associati specularmente, per opposti. Similmente il lavoro di Bafaro potrebbe richiamare i Sonetti ad Orfeo di Rainer Maria Rilke. E il Narciso di Bafaro, come Orfeo, è poeta: «e ancora si soprassieda nella sopravvivenza / scrivendo lettere sulla superficie dell’acqua». In Osicran Orfeo e Narciso quasi si toccano:
«[…] sono morto per rinascere più grande,
beati coloro che fanno della morte
una vita: a loro spuntano gli occhi
dietro la nuca e sulle larghe spalle»
Orfeo fa della morte una vita e ha necessità di vedere con la nuca per non voltarsi, ma vedere Euridice; Narciso ha necessità di vedere con la nuca per non fare della sua vita una morte.
Come per i sonetti di Rilke, un elemento distintivo di Osicran, infatti, è la tensione tra classicità e contemporaneità. Forse sarebbe più giusto parlare di arcaicità, quasi di un mondo magico, un rito iniziatico al quale l’io lirico si deve sottoporre e al quale Bafaro sottopone il lettore, per entrare in questa lettura.
Acqua sulla carta
carta sull’acqua
cotone torna al cotone
negli infiniti cicli
di bagni e sole;
lato sinistro del palmo
della mano destra
bordo del monte di Mercurio
di Marte e della Luna
sfiorano il foglio,
goccia a ritroso
sparizione
dell’apparizione
impermanenza
dell’apparenza
Con questo incantesimo, possiamo intraprendere il viaggio di osicraNarciso; anche questa poesia-incantesimo ha un suo doppio, quasi alla fine della raccolta, quando il viaggio ci ha privato dei nomi, ma Bafaro ci rivela «trovi molto se perdi / mentre resti sospeso / nel miracolo del corpo».
Spariscano i nomi
dai più rari ai più comuni
sia una maledizione invertita
un incantesimo dai risvolti utili:
dalla proprietà dei nomi
al baratto dei gesti
sino a ridimensionare Io
In questa opposizione possiamo testare l’Antinarciso di Orfeo, che si deve affermare: «E se terrestrità ti ha dimenticato, / di’ alla terra immota: io scorro. / Alla rapida acqua parla: io sono» (Rilke). E noi, novelli Narciso avremo imparato a ridimensionare l’io nei giochi di presenza, iper-presenza e assenza? Siamo invitati più volte a intraprendere un viaggio. Sia gli inviti sia i viaggi sono caratterizzati da tensioni multiple, da diverse dimensioni. Oltre gli inviti (tensioni) ad andare oltre, c’è una tensione narcisistica a restare, a chiudersi nel cerchio, nello specchio dell’immagine riflessa.
Torni un silenzio
cerchio completo
chiuso e distante
dai rumori del mondo;
torni una calma
vittoriosa sugli istinti
privi di memoria;
torni un pianto
sacrale e fiero
che si riconosca
d’ora e per sempre
una rivelazione
Tuttavia, anche quell’immagine riflessa è parte di qualcosa di più complesso, è essa stessa complessità e tensione.
Premendo mi dici di esserci
specchio conficcato nel fianco
così da dentro riesco a sentirti
corpo pieno di contenuti
e dispositivi di immagini
desiderose di esser viste
nelle ossa, nei muscoli, nelle cavità
in un sentire che tutto unisce
con la testa a completare il viaggio
e oltre non posso transitare
e niente più, oltre questo bastare
Lo specchio è nel fianco, la rifrazione appartiene al corpo, non solo per ricordare i grandi padri della psicoanalisi, ma anche il grande padre della fenomenologia Merleau-Ponty: noi non possediamo il corpo, lo siamo. È per questo che è un miracolo, ripeto: «trovi molto se perdi / mentre resti sospeso / nel miracolo del corpo», ed è per questo che Bafaro ci invita non solo a camminare, ma anche a restare e fare un viaggio interiore, verticale: «Ma venne un vento a increspare più forte / la superficie dell’acqua e lasciar intravedere / frammenti molto più in basso dell’immagine».
Queste tensioni, questa dialettica, pare volerci dire che la superficie non è solo apparenza. Un Antinarciso, forse, un anti-estetismo, forse, ma non un’anti-estetica. Anzi, proprio in ragione di queste tensioni racchiuse dal corpo (il quale è anche percezione e quindi anche rifrazione) quest’opera ci ricorda forti le ragioni dell’estetica come disciplina filosofica, l’investigare attraverso i sensi (Baumgarten). È proprio per questo la raccolta si chiude con uno degli inviti a viaggiare (questa volta verticalmente nel mondo), a percepire («sèntiti…»), a com-prendere («…pieno»), un invito al divenire («semi», «Ogni fiore è frutto / di una resurrezione»), ovvero, come nell’Orfeo di Rilke, è un invito alla metamorfosi, alla resurrezione, alla percezione «Nella metamorfosi entra e esci […] Sii in questa notte della dismisura / magica forza all’incrocio dei tuoi sensi» (Rilke).
Vai oltre la riva
con passo calmo
rallenta il respiro
snoda la barca
attraversa il fiume
e sentiti pieno
di tante parti
come tanti semi
davanti al Giardino
per essere pronto
alla grande visione:
«Ogni fiore è frutto
di una resurrezione»
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