Leonora, addio!
Un film composito quest’ultimo di Paolo Taviani, unica pellicola italiana in concorso a Berlino, che il regista ha girato da solo e ha dedicato a suo fratello Vittorio da poco scomparso.
È un film dalla struttura complessa.
Dall’inquadratura del soffitto di un teatro (che sarà anche scena di chiusura), passando per le immagini di repertorio della cerimonia di consegna del premio Nobel nel 1934 per poi passare ad una visione onirica di Pirandello in un letto davanti ai figli bambini, che, entrati intimoriti in una fredda stanza deformata, crescono e invecchiano man mano che si avvicinano al capezzale del loro padre morente: nel bianco accecante, la voce di Pirandello sembra intrappolata in un sogno lucido, verosimilmente l’ultimo, nell’agonia della morte imminente.
Inizia poi il racconto delle varie vicissitudini accadute alle ceneri (vista la volontà di Pirandello di essere cremato) finalmente di ritorno in Sicilia:
"Mie ultime volontà da rispettare: I. Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera, non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzi né partecipazioni. II. Morto non mi si vesta. Mi s`avvolga nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso. III. Carro d`infima classe, quello dei poveri. Nudo. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. IV. Bruciatemi. E il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere, perché niente, neppure la cenere vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare, sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui”. Luigi Pirandello
Perché i suoi ultimi desideri venissero realizzati ci sono voluti quasi trent’anni e questo era ciò che i fratelli Taviani si erano ripromessi di raccontare in un film dopo aver girato nel 1984 Kaos, adattamento cinematografico di alcune delle Novelle per un anno.
Il progetto non poté essere realizzato per mancanza di fondi. Paolo Taviani ha dovuto aspettare fino ad oggi per girarlo, purtroppo senza suo fratello Vittorio, ma quest’opera ha chiaramente contribuito all’elaborazione del suo lutto.
Fabrizio Ferracane interpreta il funzionario incaricato di provvedere al trasporto delle ceneri dal cimitero del Verano verso Agrigento: una figura taciturna e riflessiva, con lo sguardo spesso bloccato sulle persone che incontra durante il suo “viaggio del ritorno” così come dietro il finestrino del treno che gli mostra paesaggi di un’Italia che prova a rinascere dopo il secondo conflitto mondiale.
Le avventure sono tante e in alcuni momenti particolarmente grottesche, come quando le ceneri del grande drammaturgo siciliano, per essere portate in processione, vengono riposte in una bara da bambino.
Tutto il film è girato in bianco e nero fino a che le ceneri soffiate via dal vento di Sicilia fanno tornare il colore e l’azzurro riempie lo schermo.
La terza parte è la trasposizione cinematografica della novella Il chiodo, presente anch’essa nelle Novelle per un anno: ispirata ad un fatto di cronaca avvenuto a New York, racconta di un giovane italiano emigrato che, strappato dalla sua terra e avendo assistito inerme all’abbandono da parte di sua madre, uccide senza motivo una ragazzina dai capelli rossi dopo aver trovato a terra un chiodo caduto da un carro.
Le cose accadono APPOSTA nella logica di chi non sa dare una spiegazione alle sue azioni, il destino fa capitare le cose APPOSTA per manovrare chi è rapito dalla sua ineluttabilità.
Ogni nucleo narrativo del film racconta un distacco, un allontanamento, una mancanza.
Anche Leonora Addio è il titolo di un’altra novella di Pirandello di cui non esiste traccia nel film, che racconta della perdita della spensieratezza, della gioia, dell’allontanamento dalla famiglia d’origine da parte di Mommina, la protagonista, andata in sposa ad un uomo geloso e possessivo, che la rinchiude in casa; allora, per sopravvivere all’infelicità di cui lei stessa è artefice, inizia a inscenare le opere teatrali a cui assisteva insieme alle sue sorelle, davanti alle sue due figliolette.
Fu talmente grande lo sforzo della povera Momma, malata di cuore, mentre impersonava contemporaneamente i personaggi del Trovatore, da venire stroncata da un malore “sulla scena”:
Chi cantava in casa sua? «Miserere d'un uom che s'avvia...» Sua moglie? "Il Trovatore"?
Sconto col sangue mio
L'amor che posi in te!
Non ti scordar, non ti scordar di me,
Leonora, addio!
Si precipitò in casa; salí a balzi la scala; trovò in camera, dietro la cortina del letto, il corpo enorme della moglie buttato per terra con un cappellaccio piumato in capo, i baffetti sul labbro fatti col sughero bruciato; e le due figliuole sedute su due seggioline accanto, immobii, con le mani su le ginocchia, gli occhi spalancati e le boccucce aperte, in attesa che la rappresentazione della mamma seguitasse
Rico Verri con un urlo di rabbia s'avventò sopra il corpo caduto della moglie e lo rimosse con un piede.
Era morta.
Leonora Addio è un film che probabilmente passerà inosservato ma che ci aiuterà a riconoscere l’urgenza e la necessità di fare arte in questo tempo, che è tutto nostro.
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