Lo sciamanesimo ctonio nei Campi flegrei
Dunque è con felice intuizione che il Dodds, alla fine degli anni cinquanta del secolo scorso nella sua opera fondamentale I Greci e l’irrazionale,aprendo una via non facile dentro gli studi di filosofia e filosofia religiosa greca,vide con chiarezza che la religione dei Greci era una esperienza di un pensiero residuo dell’irrazionalismo greco, riferendolo chiaramente ad una parola che correva esplicitamente negli studi di antropologia religiosa di quegli anni(Mircea Eliade,De Martino, Levi Strauss), lo sciamanesimo: «Platone operò nella tradizione del razionalismo greco un fecondo innesto di idee magico-religiose che hanno remota origine nella civiltà sciamanistica settentrionale» (p. 261). Ma come mai Platone riversò tali idee nel razionalismo politico greco, nella ormai conclamata rivoluzione della polis e delle sue Leggi?E inoltre, definire la religione dei Greci “sciamanica” è un arbitrio e cosa c’entrano in questo caso i Campi flegrei?Tutte e tre le questioni sono connesse, sono connesse a quello spartiacque che proprio l’allievo più noto di Platone, Aristotele, operò tra la filosofia dell’epistème e l’antica teologia, il pensiero pre-socratico. Lo spartiacque tra la logica, la fisica e la metafisica che separò definitivamente nel pensiero greco, all’alba della trasformazione politica delle città-stato greche, non era nel pensiero antico greco così netta. Nel pensiero mitopoietico di Omero e di Esiodo, della filosofa antica e nel pensiero tragico dei Tragediografi Greci (Eschilo, Euripe,Sofocle), l’aspetto di narrazione mitica, il mitologema, era l’aspetto prevalente. Platone è ancora un testimone, per certi versi, di questo trapasso, di questa veneranda antica filosofia e del pensiero mitico-religioso in numerosi Dialoghi; in particolare riversa nel Fedone, nel Gorgia e nel Timeo, il retaggio di culture magiche e religiose, cioè le culture orfiche-pitagoriche, a loro volta retaggio di una più antica cultura precivile, prepolitica e preolimpica, dell’area che grande notorietà e diffusione avevano in Greca, in Magna Grecia e come vedremo erano culturalmente prevalenti nei Campi Flegrei, nella città più antica dell’Occidente greco, Cuma. L’affermarsi poi della scuola francese di studi greci col Vernant e col Detienne, questa scuola mediò, filtrò in una più attenta considerazione l’aspetto primitivo, mitico a suo modo non istituzionale della religione greca e l’aspetto fenomenologico puro proprio della scuola di antropologia religiosa sorta dopo gli anni ’70, che tendeva ad assimilare la religione primitiva greca(io direi meglio delle origini), alle altre culture primitive di altre regioni del pianeta, negando di fatto la specificità greca, dell’area culturale greca. Era questo un errore micidiale perché l‘area culturale greca invece presentava una sua specificità davvero straordinaria perché investiva un’area geografica di forte caratterizzazione e cioè il Mediterraneo antico, il Vicino e Medio Oriente, margini notevoli dell’Europa balcanica, e infine l’Italia, in particolare l‘Italia meridionale e in particolare il versante Tirrenico che aveva in due eroi eponimi Tarchon e Tyrrenos, due nomi, due antenati che affondavano le origini del Tirreno (dalla Toscana alla Sicilia, alla Sardegna) nella memoria più antica dell’etnos greco, lo sfondo egeo-anatolico. Di questa topologia antica, (topologia mitologica,storica,culturale che esplora un periodo vastissimo che va dal 2500 a.c. al III-IV secolo d.c.,dal protostorico antico al Cristianesimo inoltrato), si sono occupati in maniera determinate dagli anni 80 in poi, con studi decisivi per la definizione dell’area come area specifica di diffusione della cultura greca, autori del calibro del Berard, del Detienne, del Vernant,del Vallet, del Maddoli, e tra i più attenti all’area della Campania e dell’area flegrea al contesto egeo-anatolico, Giovanni Pugliese Carratelli, recentemente scomparso. In specifico l’area della Campania e il versante flegreo della Campania con la fondazione della prima colonia greca d’occidente, Cuma, rifletteva molto bene questo reticolo topologico e storico delle antiche civiltà del mediterraneo, dalle talassocrazie cretesi, agli Achei dell’area anatolica, con irrorazioni di genti misie,carie,cananeo-fenicie ed infine di genti euboiche. Quindi Cuma, la fondazione di Cuma euboica, ma più certamente con coloni fondatori provenienti da Cuma dell’Eolide in Asia Minore, sembra essere il punto terminale di questa colonizzazione e questa rete di traffici secolari. Ed è senza dubbio il centro di una cultualità particolare, con tratti specifci che l’assomigliano in modo inequivocabile all’area euboica, traco-misia, in quel distretto geografico cioè che coinvolge la troade misia, la calcidica eubea e la regione della Tracia greca. Questa è la testimonianza archeologica e storica-religiosa del culto della Sibilla e del dio medico-guaritore, Apollo, sotto la cui egida e quella di Demetra oracolare, la profetessa cumana, cimmeria, poteva operare. In saggi pertinenti e di valore straordinari, (Vitalità storica dei Campi Flegrei,Problemi della storia di Cuma arcaica,Mnemosyne e l’Immortalità,Orphikà,Da Jung ad Orfeo, tutti adesso raccolti in “Tra Cadmo ed Orfeo”, il Mulino) Giovanni Pugliese Carratelli ha dato il quadro sintetico e specifico di questa cultualità finalmente condotta ad una ritualità sciamanica di tipo orfico-dionisico, nelle sue fasi più primitive(Il Dioniso Zagreus cretese e Demetra con caratteri ctonii ), quelle di elaborazione orfiche (traco-misie), tutt’e due pre-olimpiche e l’integrazione olimpica con il tempio di Apollo paian, medico e guaritore al pari di Orfeo e come Orfeo nume tutelare delle divinità oracolari e con Demetra/Ecate,catatonie, nell’area egeo-anatoliche, con cui Cuma e la Sibilla è indiscutibilmente connessa. Quadro sostanzialmente ed autorevolmente confermato dal Maddoli in “I culti della Campania antica. I culti greci” in Electa,Storia della Campania, Evo antico e da F.Zevi in “Virgilio e la topografia storica dei campi flegrei”. E in particolare la presenza di una comunità orfica-pitagorica che aveva in Demetra cumana e in Apollo guaritore e nella cultualità profetica della Sibilla, un ampio retroterra di antica memoria, come le lamine di Hipponion e la equivalente trascrizione cumana attestano, in un rito specifico di catabasi orfica, di discesa agli inferi. Di questo ed altro ci parla il libro VI dell’Eneide, cioè dell’iniziazione ad un rito di nekyomanzia, di catabasi tipico dello sciamanesimo dionisiaco e orfico, attestato ampiamente per l’area analoga della Misia-Lidia e della Troade tracica,in particolare con i culti del tempio di Hierapolis in Frigia, in Anatolia, nel luogo di connessone se non di origine, con l‘origine propria del culto tragico-dionisiaco, la Tracia balcanica, da Mircea Eliade e Dumezil. Virgilio dunque e il libro VI dell’Eneide è la memoria più recente, primo secolo prima di Cristo, raccolta da Virgilio sui luoghi napoletani e flegrei e nel suo ultimo viaggio in Grecia,- su questa memoria religiosa antica- ,prima di morire sulle sponde pugliesi e seppellito per sua volontà a Napoli, sulla via che da Mergellina porta alla baia flegrea. Non poteva essere dunque se non Cuma, e il capo di Miseno la messa in scena della discesa agli inferi di Enea, eroe Troiano sconfitto proveniente dalla guerra di Troia nella troade misia contro gli Achei del Peloponneso, alla ricerca di un incontro col padre Anchise,(solo un cenno prefigurato nel libro III da Eleno altro sacerdote indovino che o invita a rivolgersi alla Sibilla a Cuma), che non aveva fatto in tempo a dirgli quali destini gli riservava quel viaggio sulle rotte del Tirreno. Anchise muore prima di poter dire ad Enea la profezia tragica ed eroica delle genti asiane nel Lazio. E la fantasia religiosa di Virgilio ricostruisce, poeticamente, il rito di iniziazione attribuendolo ad Enea, in due fasi preliminari, in due fasi centrali e in due terminali, questo rito che Van Gennep sottoscriverebbe come originale se se ne fosse occupato come tale, come rito sciamanico religioso di iniziazione alla catabasi. Ma a questo hanno posto rimedio Fraser ed altri e per ultimo con certezza d’acume Pugliese Carratelli, riconoscendolo come tale, anche se dentro lo specifico contesto cultuale orfico. Dunque anche l’orfismo va ricondotto ai culti originali, di religione primigenia non olimpica e non politica dell’area traco-misia , trasmesso tal quale dal profetismo sciamanico della Sibilla cimmeria a Cuma, del cui lontano deposito misio-teutranico è attestazione nel territorio e nella topologia nomica, oltre che nella memoria e l’ immaginazione poetica di Stazio (Silvae,III,V 74-5) e Nevio(Bell.Punicum fr.18B) . Tutta la scena è in questo clima e in questo ambiente che ben collima con l’amore georgico di Virgilio, originario ricordiamolo di un territorio contadino e cimmerio, gallico, nordico, come il mantovano. La scena sono i boschi e gli anfratti dell’Averno e di Cuma, il rito è scandito da testimonianze telluriche chiaramente epifaniche del dio Poteidon e di Demetra/Ecate. Ricordiamo qui che la triade Poseidon/Plutone, Hera-Demetra e Kore/Persefone, e Dioniso-Zagreus si contendono il dominio ancestrale della terra come scuotimento,del suolo tellurico e cavernoso e delle fonti di zampillamento, già nella Teogonia di Esiodo e nei miti correlati alle origini greche. La scansione dei tempi della scena sacrale, epifanica nel doppio aspetto di profezia oracolare e nekyomanzia(divinazione per consultazione dei morti), vera e propria ierofania, manifestazione del sacro, avviene in questo modo:
Una fase preparatoria
a) Ricerca e contatto con la sacerdotessa di Apollo, la Sibilla; possessione (enθousiasmòs) e primo oracolo della profetessa.
b) Condizioni della discesa agli inferi, prescrizioni rituali: 1) purificazione dell’intorno col seppellimento more parentum, secondo il costume degli antichi, del cadavere di Miseno sull’omonima spiaggia; 2) la ricerca e lo spicco del ramo d’oro, quale munus alla Iuno infera, Proserpina.
c) L'epifania di Ecate Trivia, che annuncia l’avvento della Notte
La “catabasi”
d) L'ingresso in antrum ,-in ferum- nell’Oscuro(catabasi),dove Enea e la Sibilla si intrattengono in un vestibolo pre-Ade, primo incontro con le anime infere e attraversamento dell’Acheronte, dopo aver mostrato a Carun il ramo d’oro
e) Incontro con Didone e gli eroi troiani morti
f) L’Aurora annuncia che il tempo della Notte sta scadendo
g) Enea e la profetessa presso le porte dell’Ade. Enea appende alle porte dell’Ade vero e proprio il ramo d’oro.
h) Enea al bivio tra Tartaro e Campi Elisi. Incontro con Museo che lo conduce da Anchise che gli predice quanto avverrà nel Lazio e gli espone la dottrina orfica della purificazione lethéia, nel fiume dell’Oblio, –catarsis lèthaia- e dell’incarnazione e delle rinascite che regge tutto l’universo(la dottrina del sēma soma).
La “anabasi”
i) L’uscita ab antro- ab fero-(anabasi) verso la luce del Giorno(Dyaus) attraverso le due porte del Sonno oltre i Sogni illusori. Anchise, il padre di Enea li accompagna fin alle soglie e li fa uscire dalla porta d’Avorio, la porta delle ombre sottili, illusorie.
L’analisi di questa scena, di queste scene, tra l’onirico e la visione, non è di facile interpretazione, per due motivi fondamentali. Il primo perché è una ricostruzione poetica in cui Virgilio deposita un magma di notizie dentro una cornice orfica sapienziale che non attengono alla dottrina per i noti problemi di opportunità politica nei confronti di Augusto. Il secondo perché in genere l’Eneide e in particolare il canto VI è un deposito di informazione sul mondo arcaico, di resti archeoantropologici tipico dell’Ellenismo, cioè con una stratificazione culturale di non facile identificazione. Dunque useremo per questa interpretazione il metodo che l’archeologia usa per l’ interpretazione stratigrafica del conglomerato. Distinguiamo per questo a)una fase di deposito antica evidente nel rito di combustione del cadavere di Miseno, delle origini indoeuropee di tale rito (more parentum), innalzamento della pira,unzione del cadavere, bruciamento del cadavere insieme con le offerte rituali e successiva aspersione (tre volte) con acqua lustrale di purificazione dei compagni di Miseno ed Enea. Dentro questa cornice rituale, avviene b)il ritrovamento e lo spiccamento del ramo d’oro, secondo il rito (rite repertum carpe manu), un rito questa volta misterico,orfico,(così come poco prima v.119 gli indica la Sibilla citando esplicitamente il fondatore dei misteri, Orfeo nella prima catabasi agli inferi) dell’iniziazione di Enea alla c)nekyomanzia, estraneo, non greco, pregreco, traco-frigio e accolto successivamente ad Atene solo nel VII secolo come “mistero” dionisiaco-orfico, sotto l’egida di Apollo oracolare e guaritore. Sul ramo d’oro si sono fatte molte speculazioni, su cui in seguito spero di ritornare con più precisione. Qui conta che sia un ramo di lamine, ripeto di lamine d’oro,che crepitano alla carezza del vento ( sic leni crepitabat brattea vento), che deve essere offerto come munus, come dono a Proserpina. Di seguito dunque il sacrifico rituale dei giovenchi, le offerte di primizie(libamina prima) e l’invocazione(epiclesi) ad Ecate, che ha il dominio celeste ma anche infero(Hecaten caelo Ereboque potentem), e che subito dopo inaugura la ierofania, la scena sacra entro cui avviene la nekyomanzia, la consultazione dei morti attraverso la catabasi al centro della quale c’è l’incontro di Enea col padre Anchise che gli espone la dottrina orfica del ciclo delle rinascite (le incorporazioni, sèma soma), attraverso una purificazione delle anime presso le fonti dell’Oblio dai peccati, dai crimini commessi e dai ricordi luttuosi. Che in questo contesto il ramo sia di lamine d’oro e che venga appeso alle porte dell’Ade è un ‘antica memoria del rituale dell’obolo che veniva posto sotto la lingua ai morti per il pagamento, il prezzo da pagare perché il morto, l’anima del morto potesse avere accesso al rito di purificazione(catarsis lethàia) e che diverrà nell’orfismo pitagorico successivo,d) il rituale con l’invocazione alla dea Memnosyne (la memoria) attestato nelle lamine d’oro orfiche di Hipponion presso Crotone con cui venivano addobbati i cadaveri. Nella iscrizione scoperta a Cuma del VII a.c. attestante l’attività mantica(epimanteuestai) sotto la protezione di Hera, che viene intelligentemente ripresa da Virgilio nel III e nel VI libro dell’Eneide e nella lastra in greco datata al V a.c. secolo che attesta la presenza a Cuma di una comunità orfica-pitagorica (Bebakkumenoi), viene indicata questa città dunque come espressamente dedicata alla cultualità del profetismo oracolare e del rito di passaggio all’oltretomba. In queste lamine d’oro di Hipponion(Crotone) e Thurii, come nel papiro funerario di Derveni del V secolo a.c. presso Salonicco e nelle molteplici attestazioni cumane, la provenienza frigio-anatolica del culto mantico e oracolare, giustifica quella iniziale dichiarazione del Dodds che assegna a questo mondo la qualificazione di sciamanico, di concezioni magiche e di tecniche primordiali dell’estasi universalmente diffuse. Lo testimonia la catabasi di Enea lungo l’asse della Notte,Nux (la perdita della coscienza), l’approssimarsi del giorno, l‘Aurora,Ahusas (il Risveglio della Coscienza), e del Giorno,Dyaus, la luce del Giorno, cioè l’avverarsi della Coscienza pura. Questo asse è l’Axis mundi intorno a cui gira -a ben vedere- anche il mito della caverna di Platone. Come opportunamente e senza alcun dubbio interviene per ultimo Giovanni Pugliese Carratelli in “Religiosità preolimpica e misterica”, pag.454:”Se l’immagine di Pitagora non sia riducibile a quella di uno shaman (più sapiente che sciamano), non è dubbio che nella figura di Pitagora come in quelle di altri mitici o semimitici uomini divini e meravigliosi (daimonioi kai thaumastoi) quali Orfeo, Epimenide, Aristea, siano presenti tratti sciamanici; questo è fuori discussione”. Ci riserviamo in un altro saggio, più ampio e motivato in senso specifico, di argomentare questa intuizione in modo più esteso, intuizione che qui per motivi di sintesi non è stato possibile. Bisogna raccogliere il monito di Virgilio, ricercare l’antica madre, (antiquam exquirite matrem), studiarla con amore e dedizione, scriverne il senso e la geografia, come in qualche modo fece il grande G.B.Vico nel ”De antiquissima Italorum sapientia” e nella “Scienza Nuova”, archeologia dei saperi umani che nel Novecento è stata ripresa in modo ineguagliata da M.Foucault.
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