Perché la poesia in psicoterapia
Opera di Edoardo De Candia

Perché la poesia in psicoterapia

diCinzia Caputo

Ma che cosa può “creare” un uomo se non gli è toccato di essere un poeta? …se non hai proprio

nulla da creare, allora forse crei te stesso. 

C.G. Jung 


le parole in quanto tali sopravvivono benissimo, nel senso che i loro scheletri giacciono nei

dizionari; ma pochi di noi sono capaci di ridar loro la vita.
R. Schafer


Alla radice dei significati si trovano i passaggi che dal mondo delle idee passano al mondo della materia. L’etimo delle parole è prossimo al loro potere creativo, seguirne le tracce conduce all’origine della creazione che la parola veicola, alla matrice di senso che archetipicamente ha animato la parola fin dalla sua nascita. Poesia dal latino pŏēsis, deriva dal greco ποίησις, derivato a sua volta da ποιέω, ossia  produrre, fare, creare ed in senso più ampio, comporre. Andando ancora più indietro, si risale alla radice sanscrita pu- che ha appunto il significato di generare, procreare. Allo stesso tempo la radice sonora della poesia collega direttamente alla  creazione attraverso il Verbo, ossia lo Spirito.  

Quando le storie personali raccontate in terapia attraverso momenti emotivi vengono raccolte dall’ascolto analitico e tradotte in parole, in simboli che rimandano dal particolare della vicenda del singolo,  a un universale archetipico, aprono dimensioni poetiche che sono di per sé curative. La parola poetica diventa terapeutica quando aiuta a sentire profondamente sé stessi, aiutandoci a svelare le parti nascoste dentro di noi. In quei momenti di profonda connessione tra terapeuta e paziente  può avvenire il miracolo di attraversare indenni fiumi di emotività che collegano coscienza e inconscio permettendo l’espressione creativa e quindi trasformativa. Un momento alchemico quindi, in cui il passato che ritorna vivo e sanguinante si trasforma in un presente condiviso e comunicabile.  Il poeta, ci insegna Giorgio Caproni, informa che una delle aspirazioni del proprio lavoro è quella di «dare una funzione significante anche alla più banale frase fatta», di rivitalizzare, cioè, anche il più logoro lessico quotidiano.

 L’emozione che parla è il fulcro della terapia, è puro sentire, è l’anima che si libera, respira e canta, è puro accadere dell’evento che non può essere controllato, ma solo intensamente cercato. A differenza di tutto il nostro pensiero razionale e direzionato, la poesia è esperienza e anche la terapia dovrebbe esserlo, altrimenti resta esercizio della mente, speculazione intellettuale che non serve all’anima ferita. 

Scegliere le parole  per esprimere ciò che proviamo, o fruire di parole poetiche capaci di toccarci nell’intimo, è un processo che ci aiuta ad estrarre  le frecce che abbiamo nel cuore e  che creano dolore e ci aiuta a guarire da quelle ferite dell’anima, che credevamo inguaribili. Così la grande Poeta Antonia Pozzi si esprime a proposito di poesia e di dolore: “La poesia ha questo compito sublime di prendere tutto il dolore che ci spumeggia e ci romba nell’anima e di placarlo, di trasfigurarlo nella suprema calma dell’arte, così come sfociano i fiumi nella vastità celeste del mare.
La poesia è una catarsi del dolore. Quando tutto, ove siamo, è buio ed ogni cosa duole e l’anima penosamente sfiorisce, allora veramente ci sembra che ci sia donato da Dio chi sa sciogliere in canto il nodo delle lacrime e sa dire quello che a noi grida, imprigionato nel cuore.”  


La lettura di questo articolo è riservata agli abbonati
ABBONATI SUBITO!
Hai già un abbonamento?
clicca qui per effettuare il login.

Commenti

Lascia il tuo commento

Codice di verifica


Invia

Sostienici