Celebrare Gadda a 130 anni dalla nascita e a 50 dalla morte: tra rivoluzione e natura
Nel 2023 ricorrono i 130 dalla nascita e i 50 anni dalla morte di Carlo Emilio Gadda. Per quanto concerne la letteratura degli anni sessanta del Novecento, in Italia, si può parlare di un “caso Gadda”, così come lo era stato Svevo negli anni Venti. Per entrambi si parla di una scoperta da parte della critica e del grande pubblico “a scoppio ritardato”. Egli aveva iniziato a pubblicare su Solaria, ma quasi nessuno degli addetti ai lavori lo aveva notato. Emerse con forza e quasi brutalmente solo nel 1963 con La cognizione del dolore. Carlo Emilio Gadda nacque il 14 novembre 1893 a Milano. Egli dopo aver concluso con successo i suoi studi di ingegneria elettrica presso il Politecnico di Milano, si arruolò volontario nella prima guerra mondiale. La sua carriera da scrittore ha avuto inizio negli anni Trenta, con le prime pubblicazioni in riviste letterarie, dove ha subito dimostrato una facilità nella manipolazione del linguaggio, oltre che a spiccate qualità per l’analisi psicologica e sociologica non emotiva e acuta. Ma aveva già fatto esperienza di scrittura durante il Primo conflitto mondiale, quando come ufficiale degli alpini, ha iniziato a scrivere una serie di diari di guerra che furono pubblicati solo nel 1955. Successivamente, nel 1956, furono pubblicati in una redazione più ampia con il titolo di Giornale di guerra e prigionia. Si rivela necessario citare, tra le opere che hanno avuto maggior successo, I sogni e il fulmine del 1955. Opera che ha preceduto di soli due anni la sua opera di maggior successo, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. Gadda fu un rivoluzionario, uno che, come lo era stato Svevo per il suo tempo, venne scoperto dalla critica con molti anni di ritardo, ma non entrò proprio in “punta di piedi” sul palcoscenico letterario nazionale. L'approccio di Gadda è mercuriale come il suo stile: ironico, amaro, scandalosamente comico, filosofico e osceno. Un lettore che si avvicina ad un testo di Gadda per la prima volta, immediatamente rileva che il linguaggio da lui usato è quasi traumatizzante per il lettore, si tratta di un’insolita mescolanza, ove la componente dialettale è sempre molto forte, sia dal punto di vista lessicale, che da quello sintattico. La grande bellezza della scrittura dialettale gaddaiana è derivante dal fatto che egli non attinga a un unico dialetto, magari quello d’origine, come hanno fatto tanti scrittori che lo hanno preceduto, ma a più dialetti: il lombardo, il campano, il romanesco e l’abruzzese con sfumature del sud della Marca. A tutto ciò si aggiunga l’utilizzo di tecnicismi, finezze scientifiche, linguaggio amministrativo-burocratico, in parte derivanti anche dalla sua professione. Questa neolingua da lui generata si addice perfettamente alla trama e alle strutture delle sue opere, il tessuto linguistico è in grado di reggere e rafforzare l’impalcatura narrativa. A questo punto viene spontaneo chiedersi, ma quello di Gadda è semplicemente un gioco intellettualistico oppure una intricata prosa d’arte fine a sé stessa? Gadda nelle sue opere vuole esaltare tutte le virtù dell’uomo borghese, che ha generato quella splendida società del Secondo dopoguerra, ma allo stesso tempo maledice questa società frutto della Prima guerra mondiale e del fascismo, che tanto predicava tali valori nella teoria, quanto li negava nella pratica. Forse però l’esperienza che più lo ha segnato fu proprio quella del primo conflitto mondiale. Dal giugno del 1916 fino al 26 ottobre dello stesso anno Gadda è sul fronte militare veneto. L’esperienza si traduce, come detto in precedenza, nei «frammenti d’un diario occasionale e incompiuto cioè di quanto sono arrivato a salvare da certe note manoscritte nel sanguinoso pandemonio della storia “europea” di allora»: sono le pagine del Giornale di guerra e prigionia, e in particolare del Giornale di guerra per l’anno 1916 che raccoglie i giorni vissuti sul «sanguinante altipiano». L’esperienza bellica, per lo Scrittore, nonostante si sia arruolato come volontario, fu traumatica, dilaniò la sua anima e lasciò profonde ferite nella sua coscienza, che mai rimarginarono anche a distanza di molti anni. Tale esperienza, tanto atroce, gli permise però di riscoprire sé stesso, di discernere tra dovere e essere: «in guerra ho passato alcune ore migliori di mia vita, di quelle che m’hanno dato oblìo e compiuta immedesimazione del mio essere con la mia idea: questo, anche se trema la terra, si chiama felicità». La scoperta del proprio io, quell’isolamento totale dal mondo dato dalla necessità di sopravvivenza, gli fece vivere momenti di profonda felicità. Una delle immagini che in lui suscitava più felicità era quella legata all’Altopiano, così come lo si può vedere da Vicenza. Nel giugno del 1916 lungo quest’orlo di monti si sta per concludere la cosiddetta Strafexpedition, la ‘spedizione punitiva’, caratterizzata da un impiego massiccio delle artiglierie: i lampi e i fuochi delle esplosioni intaccano l’immagine sacrale dei monti difesa naturale della patria: «verso i monti guardo con rincrescimento e paura, come all’origine d’una tempesta insostenibile, mentre altra volta pensai di loro: “muro con torre per la mia semente foste, avverso orda che di là s’accampa”». Un altro tema fondamentale è quello del contatto con la natura, specie nelle situazioni di estremo pericolo, e della natura sentita come madre patria da difendere e preservare. Quello con la natura e in particolare con la terra veneta, per Gadda è un legame sanguigno, probabilmente perché l’esperienza brutale della guerra lo ha legato al Veneto più d’ogni altra cosa.
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