Tra metamorfosi, fantastico e stravolgimenti spaziali: a cento anni dalla morte di Kafka
Opera di Luciano Schifano - per gentile concessione di Lorena Fiorini

Tra metamorfosi, fantastico e stravolgimenti spaziali: a cento anni dalla morte di Kafka

diRiccardo Renzi

Il 3 giugno 2024 ricorreranno i 100 anni dalla morte di uno dei più grandi rivoluzionari della narrativa europea: Frenz Kafka.

Kafka, assieme a Svevo e forse Pirandello, è stato uno dei grandi rivoluzionari della narrativa europea. Andiamo però con ordine ed inquadriamo l’uomo e il contesto storico. Egli nacque a Praga nel 1883 da una famiglia ebraica in cui pesava la figura autoritaria del padre, Hermann, un macellaio rituale molto religioso. Al contrario, Franz non si mostrava mai molto interessato alle questioni religiose pur avendo cominciato i suoi studi nella scuola elementare ebraica-tedesca della medesima città. Praga, negli anni della giovinezza dello scrittore, faceva parte dell’Impero Austro-Ungarico e linguisticamente divisa tra il ceco ed il tedesco, una lingua che viene considerata più prestigiosa della prima, e che Franz studia con interesse ed usa con padronanza. Nel 1901 entrò all’Università tedesca di Praga e, dopo un primo anno di studi di chimica, decise di passare alla facoltà di giurisprudenza, più consona alle sue inclinazioni ed in grado di offrirgli maggiori possibilità di carriera. Nell’ambiente universitario riuscì ad abbandonare i modi schivi che aveva avuto fino a quel momento: organizzava riunioni letterarie, si distingueva per il suo acume e la sua intelligenza entrando così in contatto con giovani studenti come Oskar Baum e Franz Werfel, che diventeranno poi noti scrittori. Di particolare importanza è il rapporto con Max Brod, con il quale strinse una profonda amicizia che durò poi tutta la vita. Agli inizi del 1908 venne assunto nell’Istituto delle Assicurazioni contro gli Infortuni del Regno di Boemia, diventandone ben presto un elemento essenziale al punto che, quando Kafka venne chiamato alle armi nel 1915, i dirigenti dell’Istituto s’impegnarono per evitargli la guerra di trincea. Nel 1917 fu Kafka stesso a tentare di entrare nell’esercito per partecipare alla Guerra, ma la sua richiesta venne respinta a seguito della diagnosi di una tubercolosi. Fu proprio tale malattia, al tempo incurabile, che nel 1924 gli causò la morte.

Ma dove risiede l’innovazione in Kafka? Ma è possibile fare un uso foucaultiano, strettamente letterario di Kafka? Per troppi anni l’opera di questo autore è stata letta solo in chiave filosofico-politica, è ora di restituire l’opera kafkiana a Kafka. Ora sarà solo la sua scrittura intricata, complessa e che spesso genera vertigine a farci da filo conduttore. Centrale in Kafka è il non-rapporto uomo animale, consistente nella loro problematica separazione[1]. In questa sede Kafka si pone agli antipodi della filosofia rousseauiana. Per lo scrittore praghese, uomo e animale sono molto più vicini di quello che possa sembrare. Quello attuato da Kafka è un cambio della prospettiva, per vedere differentemente la realtà umana. Tale mutazione di prospettiva è possibile solo se l’uomo divine altro da sé e appunto si trasforma in ciò che in natura c’è di più simile ad esso: l’animale. Se, come afferma Nietzsche, per comprendere la realtà bisogna mutare la propria prospettiva, non bisogna porre troppa attenzione sulla mutazione psico-corporia e corporale dell’individuo, ma allo spazio e alla fisica dello spazio stesso. Lo spazio e la mutata visione che lo riguarda fungono da filo conduttore della narrazione stessa[2]. Lo spazio narrativo è specchio dello spazio letterario nel quale si muove lo scrittore proprio come un animale, che ormai ha mutato le sue prospettive narrative. Lo sperimento letterario kafkiano forte si accese a partire dagli anni successivi al 1914. La sperimentazione letteraria, nello scrittore praghese è intesa sempre come processo di deformazione o rarefazione del mondo, così come è conosciuto e concepito. Tutto ciò si riflette pienamente nell’espansione o nella riduzione dello spazio psicofisico dei personaggi. A tal proposito si pensi al racconto Una relazione per un'accademia[3], ove i protagonisti sono degli animali che subiscono una mutazione in quasi-uomini. La particolarità di tale racconto, come altri dei medesimi anni, è che il processo metamorfico non viene mai descritto, ma rimane nell’ombra ed è taciuto. Dunque, la metamorfosi, in questo primo approccio narrativo rimane enigmaticamente oscura. La vertigine qui è data dal fatto che non esistono più confini tra uomo e animale[4]. Tutto però muta nel finale, poiché come sottolineato da Agamben, tutte le storie di Kafka contengono un possibile rovesciamento che vada a riabilitare il tutto[5].  Ciò impedisce inequivocabilmente una interpretazione univoca, andando ad indicare una via di fuga. 

Parlando di metamorfosi e dell’ottica della metamorfosi, non possiamo non ricordare quella di Carlo, protagonista di Petrolio di Pasolini. Carlo una sera subisce una transizione da uomo a donna, ma qui l’autore sposta tutta l’attenzione non sulla nuova prospettiva con cui il protagonista osserva il mondo, ma su quella con sé stesso mutato di sesso. Tutta l’attenzione è spostata sul corpo e non sullo spazio come in Kafka: «Cosi Carlo osservava, ai suoi piedi, il proprio corpo supino: ecco il  suo viso pallido, quasi bianco o giallastro di adenoideo, la fronte di persona intelligente e ostinata sotto i capelli lisci e incolori, che, nella sgradevole circostanza, si erano un po’ scomposti, in modo ridicolo, ecco gli occhi tondi e cerchiati, che, non protetti dagli occhiali (che nella caduta si erano sfilati dal naso, e giacevano li accanto, con le loro sottili stanghette di metallo) parevano denudati e troppo espressivi; la pelle tirata del viso lungo e liscio»[6].

Per quanto concerne invece il binomio uomo-animale, molto deve a Kafka Gabriel Garcia Marquez di Cent'anni di solitudine,[7] ma c’è una differenza di fondo tra i personaggi kafkiani e quelli di Marquez, e questa risiede nel fatto che gli uomini-animali di Cent'anni di solitudine, quelli con la coda di maiale o con comportamenti animaleschi, per intenderci, stanno fuori dalla dimensione spazio-temporale del reale, quindi la realtà da essi generata costituisce una normalità cosmico-narrativa, mentre quelli dello scrittore praghese sono dissonati con la realtà stessa, poiché mettono il lettore in una condizione di osservare il reale da altre prospettive.

Tornando proprio a Kafka e alla dichiarazione di Agamben, bisogna in primo luogo affermare che questo rovesciamento della metamorfosi non è concepito, né tanto meno attualizzabile in tutti i racconti, ma al contrario si ha un’esperienza lenta o fulminea di riduzione dello spazio, che può anche coincidere col varcare una soglia, cioè col voler ritornare umani rinunciando alla propria animalità, ma anche rimanere in quella condizione di indicibilità. Il carattere metamorfico, caratterizzato da una costante instabilità dell’individuo, che naturalmente si rispecchia nello spazio, assume i tratti di una oscillazione deformante, capace di dischiudere attraverso la scrittura una zona di indistinzione psicofisica tra uomo e animale, condizione che in Marquez è invece data dal contesto. Kafka è sicuramente entrato in contatto con le teorie freudiane che in quell’epoca si stavano diffondendo. L’uomo non è solo ciò che si vede, ma al suo interno ha qualcosa di molto più vicino alla natura e all’animale, che però nella vita di tutti i giorni, fatta eccezione per il sogno[8], cerca di tener celato. Kafka riporta tali teorie della psicoanalisi nella narrativa, dal concetto del sogno e della vertigine ad esso legata, al desiderio animalesco celato. La narrativa kafkiana vuole sperimentare una nuova condizione, oltre quella umana, portandola costantemente al limite. Lo stesso Kafka annota nei Diari[9]: «la letteratura è un assalto all’uomo limite terreno, e precisamente assalto dal basso; dalla parte degli uomini». Utilizzando un’affermazione foucaultiana, è proprio questo l’uso intensivo della lingua realizzato per sovvertire la lingua stessa e aggiungerei io, per quanto concerne Kafka, insieme ad essa sono rovesciate anche le concezioni spazio-temporali. Ipotizzando che il linguaggio realizzi l’espansione psichica dell’umano come pluralità relazionale, i racconti kafkiani la portano all’esasperazione mediante un continuo sperimentalismo. Tre sono i sistemi che troviamo legati alla metamorfosi in Kafka: «la contrazione estrema, il triste compromesso della condizione individuale e il delirio paranoico dell’individuazione»[10]. Nei racconti non c’è mai la netta divisione tra uomo e animale, anzi spesso si parte proprio da una metamorfosi avvenuta e da una vertigine linguistica e spaziale. Potremmo dire che nella narrativa kafkiana la vita umana non è mai interamente umana, così come quella animale non lo è mai al cento per cento. Questo è possibile poiché i racconti kafkiani rimescolano la realtà e in questo nuovo amalgama i confini tra uomo e bestia sono totalmente annullati. Il critico letterario Karl Heinz Fingerhut[11] ha individuato principalmente tre elementi all’interno dell’operazione narrativa kafkiana:

  • Totale soppressione delle caratteristiche che differenziano l’uomo dall’animale;
  • Perdita dell’aspetto che caratterizza gli esseri viventi, essendo in atto una continua ibridazione;
  • La normalizzazione dell’essere ibrido o mostruoso nel quotidiano.

Kafka rispetto a tutta la storia della letteratura precedente è del tutto innovativo, poiché, partendo dall’antichità, né Apuleio, né Fedro, rimuovono la barriera tra uomo e animale, rendono sì l’animale parlante, ma non lo umanizzano. La favola stessa è costituita per sua natura da continue e sequenziali trasformazioni. Ricordiamo in questa sede che Lessing ha definito la trama della favola come una sequenza di trasformazioni che insieme costituiscono l’intero e l’integrità stessa del tutto. Tale tipologia di unità narratologica pone le sue basi sulla subordinazione dell’azione ad un unico scopo finale che secondo Lessing è scopo stesso della favola[12]. Stando a Lessing, la favola viene inventata per il suo scopo finale moralizzante d’insegnamento[13]. Kafka in parte riprende tali idee illuministiche, ma le conduce nel desertico spazio letterario novecentesco, nel quale non è più possibile dire “io”, dicendolo alla Blanchot[14]. La funzione pedagogica della fiaba si inabissa, mentre al suo posto compare il fantastico che va ad impregnare la lingua e la struttura del racconto. 

La grandezza dello scrittore praghese risiede nell’aver rivoluzionato attraverso la lingua/narrazione il rapporto uomo-animale e con esso la concezione stessa della realtà, poiché essa muta in base proprio alla prospettiva dell’osservatore. 



[1]   T. W. Adorno, Note per la letteratura, introduzione di Sergio Givone, Torino, Einaudi, 2012, pp. 124-128.

[2]   A. Castelli, Lo sguardo di Kafka: dispositivi di visione e immagine nello spazio della scrittura, Milano-Udine, Mimesis, 2012, pp. 112-113.

[3]   F. Kafka, Una relazione per un'accademia, introduzione di Micaela Latini, traduzione di Ginevra Quadrio Curzio, Milano, La vita felice, 2022. 

[4]   W. Benjamin, Angelus novus: saggi e frammenti, Torino, Einaudi, 1962, p. 33: «si possono leggere per un buon tratto le storie di animali di Kafka senza avvertire che non si tratta di uomini».

[5]   G. Agamben, L'uomo senza contenuto, Macerata, Quodlibet, 2005, p. 65.

[6]   P. P. Pasolini, Petrolio, Milano, Mondadori, 2012, p. 12.

[7]   G. G. Marquez, Cent'anni di solitudine, Milano, Mondadori, 2009.

[8]   S. Freud, L’interpretazione dei sogni, Milano, Fabbri, 2007, introduzione.

[9]   F. Kafka, Diari: 1910-1923, Verona, Mondadori, 1966, p. 603.

[10] E. de Conciliis, Metamorfosi dello spazio e riduzione dell’umano: Kafka e l’animale, in K. Revue trans-européenne de philosophie et arts, 1, n. 2, 2018, pp. 64-77.

[11] K. H. Fingerhut, Kafka für die Schule, Berlin, Volk und Wissen, 1996, pp. 97 – 99.

[12] G. E. Lessing, Trattati sulla favola, a cura di Lucia Rodler, traduzione di Maria Huf, Roma, Carocci, 2004, p. 54.

[13] Ibidem.

[14] M. Blanchot, Da Kafka, cit., p. 49.

 


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