L'acme del poetico
Opera di Luciano Schifano - per gentile concessione di Lorena Fiorini

L'acme del poetico

diLucio Macchia

Il titolo dell’articolo richiama il movimento letterario russo dell’acmeismo (inizio ‘900). Non vi è, qui, l’intento di una ricognizione storiografico-scolastica dell’argomento: l’interesse nasce piuttosto dal fatto che un excursus dei tratti essenziali di quel movimento ci consente di contattare contenuti preziosi per illuminare un certo modo del poetico che ancora – nella contemporaneità – ci parla. Lo farò soprattutto in relazione al punto di vista di una delle personalità più rilevanti emerse da quella temperie: Osip Mandel’štam. Con l’acmeismo, la poesia russa insorge contro il passato, rappresentato dal simbolismo coevo, dai tratti ormai decadenti, scegliendo una traiettoria completamente diversa da quella tracciata dagli entusiastici avanguardismi futuristi, emergenti in quegli stessi anni. La lirica acmeista vuole riappropriarsi di un rapporto con le cose, in un legame autentico e profondo, con la massima intensità espressiva (donde appunto il nome) ma in un’ottica terrena, adamica (adamismo fu appunto il secondo nome del movimento) che non proietta la fantasia creatrice verso universi riferiti dagli oggetti-simboli, né pretende il possesso oggettivo della realtà, in chiave tecnoscientifica. Si disegna, invece, una terza via che si snoda tra passato e futuro. Mandel’štam tocca poeticamente il tema del passaggio epocale in un brano famoso: «Chi potrà, mia epoca, mia belva, /fissarti nelle pupille un istante/e di due secoli agganciare le vertebre/incollandole con il proprio sangue?»[1]. A questo sembra tendere il movimento acmeista, che reagisce al simbolismo ma non lo rinnega completamente, differenziandosi dal futurismo, senza però rinunciare ai presupposti di un ritorno al mondo e di uno sguardo in avanti. M. stesso scrive uno dei manifesti del movimento, nel quale si rintracciano le strutture essenziali di quella ricerca. Un primo tratto è appunto quello di un ritorno alla realtà, ai fenomeni, all’immanente, alle cose[2]. Tale ritorno non è certo in un’ottica “verista”, ma tende a portare la lirica “dentro la vita”. Una poetica fenomenologica, il cui vertice di osservazione guarda al Lebenswelt, al mondo della vita, fino a spingersi nei più triviali recessi della quotidianità (le taverne, le strade, i luoghi del vivere). Il poeta è immerso nell’immanenza, a cui subordina l’attività creativa, rifiutando le mitologie di coincidenza tra vita e arte. L’espressione poetica risponde piuttosto a una istanza esistenzialista. Interroga il mondo, si trattiene a ridosso di esso, canta l’esserci dell’uomo tra le cose, il suo mistero: «Notte, forse di me non hai bisogno; / dalla voragine dell’universo / io – conchiglia senza perle – sono / gettato sulla proda, riverso»[3]. Le due istanze della fenomenologia e dell’esistenzialismo sono sintetizzate meravigliosamente in una delle più famose frasi del manifesto di Mandel’štam: «Amate l’esistenza della cosa più della cosa stessa e la vostra vita più di voi stessi – ecco il massimo comandamento dell’acmeismo»[4]. Una intenzione espressiva così intensa, verticale, una tale tensione all’acme, ha bisogno di una grande ricerca formale, che viene attuata recuperando un approccio classicista, mediante l’uso di un linguaggio concreto, chiaro, ricchissimo di immagini e oggetti, che iscrivono il sentire del poeta nell’esperienza dei fenomeni del mondo. Un atteggiamento in antitesi con la ricerca di una poésie pure, di una rarefazione che tenda invece all’evaporazione delle cose, all’irrealtà, al sogno. Ecco un esempio: «E in povertà bianco-àmido, il sole strizza gli occhi – / il suo strizzare è tranquillo, placato. / Foreste a dici cifre: simili a quelle…E crocchia / – pane fresco – la neve dentro il mio sguardo, intatta»[5]. Le immagini sono rese con immediatezza, con una nitida concretezza toccata da una tale grazia espressiva da aprirle all’evento dell’essere, nella concezione artistica che «nel mondo ci sia già tutto, che non occorra nessun volo in nessun cielo per giungere all’essere»[6]. All’arte dei vati e dei veggenti, mediatori verso cosmi di pura creazione e artifizio intellettuale, si contrappone un artigianato[7] della parola, un’arte del produrre concreto, che trova nell’architettura delle cattedrali medievali la sua perfetta metafora. Realizzare costruzioni complesse e "mostruose" come la condizione umana, con la parola poetica che funge da pietra (questo il titolo della prima raccolta di M.) utilizzata per costruire, dove «Costruire – significa lottare col vuoto, ipnotizzare lo spazio»[8]. Un’arte che guarda – per quanto attiene alla materia poetica – al dionisiaco, opponendosi alle cifre di astrattezza che accomunano i raffinati cesellatori tardo simbolisti e gli avanguardistici futuristi. «Notre Dame è la festa della fisiologia, la sua baldoria dionisiaca. Noi non vogliamo svagarci in una “passeggiata” nel “bosco dei simbolisti” perché noi abbiamo un bosco più intatto, più impenetrabile – la divina fisiologia, la infinita complessità del nostro oscuro organismo». Tale rivolta al simbolismo e al purismo, molto netta dal punto di vista dell’atteggiamento gnoseologico e della materia poetica, è più sfumata riguardo all’approccio formale. Infatti, da una parte si differenzia per una ricerca di chiarezza, tersezza classica e gusto immaginistico, ma dall’altra mantiene un’enorme attenzione accordata allo stile, alla tecnica, all’impianto ritmico. La magia simbolista della parola non si è spenta: essa persiste come sostanza, come apollinea tensione alla forma. Si è ricodificata. Potremmo forse dire modernizzata, in rapporto alla materia trattata e alla forte istanza esistenzialista. Non stupisce che tutto questo, attraverso l’opera visionaria di Mandel’štam, abbia influenzato Celan e, quindi, una certa cifra poetica contemporanea. Non stupisce che – ai nostri giorni – ancora ci parli. Che, ancora, ci ispiri.

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[1] O. M., Ottanta poesie, a cura di R. Faccani (Einaudi) ed. kindle, Pos.1294 (dal brano Epoca del 1922)

[2]   Per questo concetto mi sono riferito all’articolo Io sto qui – non posso fare altro … di P. Cardelli su formavera.com

[3]   O. M., Ottanta poesie (op. cit.) Pos. 689 (dal brano Conchiglia, 1911)

[4]   O. M.,  Il mattino dell’acmeismo (terzo manifesto del movimento, scritto da M. e pubblicato nel 1919) sez. IV; ho potuto attingere alla traduzione di D. De Bartolomeo e K. Gayazova, pubblicata su lombradelleparole.wordpress.com

[5]   O. M., Ottanta poesie (op. cit.) Pos. 1743

[6]  G. Lauretano, dalla Nota al Curatore del volume La pietra di O.M (Saggiatore, 2014) – fonte: gianfrancolauretano.it

[7]   Infatti, il gruppo da cui emerse l’acmeismo si chiamò "gilda dei poeti" con evidente richiamo alle corporazioni artigianali medievali.

[8]  O. M., Il mattino dell’acmeismo (op. cit.) sez. III 

 



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