La metafisica della bellezza: l'intelligenza estetica strumento di decodifica del mondo
Elio Scarciglia, Venezia, 2022

La metafisica della bellezza: l'intelligenza estetica strumento di decodifica del mondo

diAlessandra Cerminara

All’alba dei giuramenti

Dio mi infuse l’innata scienza 

delle cose e il dono dell’acuta

profezia. Fu allora che per umiltà

scelsi questo piccolo corpo.

Ma innamorato da sempre della bellezza

non potei rinunciare a essa.



Se l’intelligenza emotiva è la capacità di comprendere le emozioni e i sentimenti, l’intelligenza estetica, altrettanto importante, è l’attitudine a cogliere la bellezza lì dove altri non la vedono. Questa particolare “inclinazione” non è da tutti: chi è dotato di intelligenza estetica vede il bello in cose, luoghi, persone, situazioni ed eventi, in cui gli altri non vedono nulla. Ma cos’è la bellezza? Per Platone è una forma pura che ha sede nel mondo sovrasensibile; per Kant è pura contemplazione di un oggetto il cui piacere è condivisibile universalmente. In entrambi i casi, interviene una “voce interna” a dirci che ciò che stiamo contemplando è bello. Nel mondo attuale, in cui fanno notizia violenza, bruttezza e orrore, la bellezza è derubricata a bene effimero, frutto del “sentimentale”. Eppure, mai come in questo nostro momento storico si è resa così necessaria l’attitudine a riconoscerla: essa, infatti, ci eleva, ci slancia verso l’alto, ci spinge a nobili sentimenti e imprese, correlando il sensibile con il sovrasensibile. Attraverso l’intelligenza estetica, la bellezza compie in noi un vero e proprio percorso conoscitivo, che ci informa, ci illumina circa l’oggetto del nostro piacere. In questo senso, si impone come vero strumento di conoscenza (ben lontano dai sentimentalismi e dalle accuse di presunto bene effimero ad essa additati), al cui apice c’è un’idea del mondo reale non come caos e bruttezza, ma come ordine e armonia. E questo è un pensiero incoraggiante, perché ci interroga sulle cause prime della realtà, le quali non possono che rispecchiare quell’armonia. C’è tutta una metafisica della bellezza, fatta di buoni sentimenti, slanci della volontà, eroismo, che discende proprio dalla percezione del bello, e che ha lo straordinario potere di farci innamorare del bene e della virtù. Non a caso in Platone il bello viene a coincidere con il bene supremo, per cui, ciò che è bello è pure buono. Le categorie più sensibili alla bellezza sono gli artisti, i poeti e i filosofi.  Lo sguardo degli artisti, dei poeti e dei filosofi neoplatonici (gli unici a potersi fregiare del nobile appellativo di “filosofi”) non si limita alla superficie, ma si spinge oltre (e in profondità), fino a cogliere l’origine di tutte le manifestazioni del reale; così, non si ferma mai alla parte effimera e fenomenica, limite ultimo degli occhi inesperti o degli scienziati, ma ricerca la cause prime dei fenomeni. E quand’anche costoro adducessero come causa prima di tutte le cose la natura, pur sempre attribuirebbero ad essa un potere ineffabile e sacro, oscillando continuamente dal reale all’ideale e dall’ideale al reale, sperimentando l’arcano “turbamento dell’altalena”. La forza straordinaria di questo “sentire” sconosciuto ai più, non concede scampo, né conosce medicina; anche se né il vero poeta, né il vero filosofo intendono mai guarirne, reputandolo (il guarire) alla stessa stregua del morire.

 Oltre a spingerci a nobili imprese e a trasmetterci un’idea migliore del mondo, è scientificamente provato (in virtù di quell’innegabile e comprovato legame tra mente e corpo) che la bellezza possiede uno straordinario potere curativo per la salute: contemplare la calma di una marina o ascoltare una musica sono esperienze estremamente positive per l’anima e il corpo. 

Sono tre gli indicatori che definiscono la percezione estetica: il grado, la profondità dell’esperienza e la capacità di integrare la bellezza. Chi possiede un grado di estetica ampio è capace di cogliere il bello in più situazioni: musica, poesia, cinema, paesaggi, natura e altro. La profondità dell’esperienza riguarda invece l’intensità della percezione: alcuni ne vengono “sfiorati” senza subire un vero condizionamento. Viceversa, in altri soggetti l’esperienza estetica agisce in maniera significativa, al punto da modificare la realtà nella quale agiscono. Questa peculiarità chiama in causa la capacità di integrare la bellezza, che consiste nel subirne il fascino al punto da intervenire concretamente sulla realtà, attraverso le proprie scelte e azioni.

Qualunque cosa sia la bellezza essenzialmente, essa ci cura, ci slancia verso l’alto, ci rende felici, forse per quell’intrinseco mistero che ad essa sottende, e che è alla base dell’innamoramento quando subiamo il fascino indeterminato di uno sguardo; come pure sta alla base del disincanto, una volta che la ragione, avendo illuminato ogni angolo oscuro, uccide il mistero. E il mistero insinua il sacro dubbio: nessuno, atomista, illuminista, materialista o ateo che sia, può sottrarsi a quel sublime senso di smarrimento che procura la vista di un cielo stellato, quello smarrimento che ha per padre l’ineffabile dubbio, e la divina bellezza per madre. 


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