La poesia fa paura?
Nei primi giorni di marzo 2023 ha cominciato a circolare su Facebook la notizia dell’uscita di un’antologia poetica di autori vari: Fissando in volto il gelo. Poeti contro il Green Pass (a cura di Luca Bresciani, Ivan Crico, Paolo Gera, Mario Marchiso, Paolo Pera. Introduzione di Angelo Tonelli) per i tipi di Terra d’ulivi edizioni. Tuttavia la notizia è sparita quasi subito, i post sono stati rimossi, insieme ai commenti di autori e lettori. Il motivo della censura? “La presenza di contenuti segnalati come offensivi da altri utenti di Facebook”. Una formuletta ipocrita tristemente frequente negli ultimi tre anni, in cui, nei media e nei social media, qualsiasi critica a vaccini e green pass è stata condannata e bandita con ferocia. Pensavamo che quell’orribile periodo fosse finito. Invece no. Sebbene il green pass non esista più, non si può ancora parlarne male, nessuno può esprimersi “contro”. Non certo perché, come sostiene Facebook, si rischia di urtare la sensibilità di chi lo ha ritenuto uno strumento valido, giusto e, contro ogni evidenza, costituzionale. Ma perché si rischia di aprire le menti, di rivelare l’inganno e la manipolazione a cui sono state sottoposte, di risvegliare le coscienze.
La poesia, dunque, fa paura, perché ha una vocazione sovversiva. Come diceva Lawrence Ferlinghetti in What’s poetry?: “Poesia è lotta continua / contro silenzio, esilio e inganno” e “Il poeta è un barbaro sovversivo /alle soglie della città / che sfida costantemente / il nostro status quo” [1].
Non a caso è da un verso del poeta sovversivo Osip Ėmil’evič Mandel’štam, deportato in Siberia (“A tu per tu, il gelo in volto io fisso: / lui fissa il nulla, e io fisso dal nulla; / stirata, pieghettata senza grinze, / respirante miracolo, pianura...”), che nasce il titolo della raccolta.
L’antologia riunisce un’ampia selezione di testi pubblicati nel blog “Fissando in volto il gelo-poeti contro il green pass”, in un arco di tempo che va dal 30 novembre 2021 al 29 novembre 2022. Si articola in cinque sezioni: 1) Profezie; 2) Lock- down; 3) Green pass; 4) Super green pass; 5) Scenari futuri. Utopie-distopie, che rispecchiano la sequenza degli avvenimenti storici di quel periodo, durante il quale tanti poeti hanno rotto il silenzio voluto dalle istituzioni, levando la loro voce contro le gravissime violazioni dei diritti garantiti dalla Costituzione.
Si chiede Susanna Tamaro in Tornare umani (Solferino, 2022), saggio sulla deriva del transumanesimo e del controllo sociale: “Siamo polli di allevamento, sardine da ingoiare o siamo esseri umani?” Forse è proprio qui che il discorso deve cominciare”. La stessa domanda se la pone Emanuele Cilenti:
Siamo ancora esseri umani?
O siamo soltanto schiavi
senza più un padrone?
Oppure cavie dentro un laboratorio
a forma di stivale?
Siamo ancora esseri umani?
Per come ci governate o ci giudicate,
dentro un ospedale o in uno stadio comunale
nelle scuole, per le strade,
nelle piazze o in un ospizio.
Siamo ancora esseri umani?
Per come ci maltrattate,
siam derisi, impoveriti,
schiavizzati, umiliati,
non abbiam più sangue,
perché anche quello
ci avete fatto versare.
Siamo ancora esseri umani?
Perché se ci avessero informato
quanto sarebbe costato
sopravvivere in questo stato
avremmo lottato,
non avremmo mai mollato,
non avremmo rinnegato le nostre radici,
il nostro passato,
non vi avremmo consegnato mai
le chiavi di ciò che ci spetta di diritto:
la nostra libertà
Ma due domande ve le voglio fare:
Cosa siamo per voi?
Siamo ancora esseri umani?
Paola Gandin, invece, pone l’accento sulle contrapposizioni ideologiche volute ed esasperate dal Governo per impedire il dialogo e la mediazione tra le parti.
La danza degli opposti
«O bianco
o nero»
– mi dissero arcigni e risoluti
«Sei con noi o contro di noi?»
– incalzarono accigliati
Io indugiavo
come nei film con la moviola
in primo piano lo sguardo smarrito
Pensavo al cielo e alla terra
all’acqua e al fuoco
agli amanti tantrici
mentre frattali di geometria sacra
danzavano armoniosi
nel perfetto incastro degli opposti.
Disegnai un Tao
e glielo mostrai
«Non è grigio
Eppure bianco e nero
Sono in perfetto equilibrio» – dissi
Mi guardarono confusi e divertiti
Risero d’un riso ignaro
borbottarono
e mi voltarono le spalle.
Io sorrisi mormorando:
«I mali non vengono mai per nuocere!»
e me ne liberai.
E sul clima di incomunicabilità si sofferma anche Patrizia Venier:
Avevo parole
in coda al casello
con telepass scaduti
e condizionatori in panne
Avevo urla ingranate
in museruole di stoffa
e nessuno sconto d’aria
su orizzonti di disumanità
Avevo e non ho più
spunti di condivisione
in un mondo contromano
che si adatta al controsenso
Non mi accorgevo
che invece contromano
sono io in equilibrio instabile
sul guard rail della sopravvivenza
Invano trattengo parole
incomprensibili alle masse
solo a volte le lascio scivolare
su perbenismi comatosi. Invano.
Ogni sezione dell’antologia è preceduta da un’introduzione: a volte breve ricostruzione storica degli avvenimenti salienti degli anni di pandemia, cronaca nera di un allucinante crescendo di norme sempre più restrittive, illogiche, coercitive, lesive delle libertà personali e ghettizzanti; a volte riflessione critica su tali avvenimenti, come quella affidata a Ivan Crico che afferma: “Se lo scopo era quello di ridurre a monadi incomunicanti e acritiche il più ampio numero di persone, per poi manipolarle a proprio piacimento, queste norme divisive e discriminatorie hanno indotto moltissime persone a cercare nuovi compagni di viaggio, a spezzare il cerchio di una imposta solitudine. Si sono creati nuovi e impensabili fortissimi legami tra coloro che desiderano ancora poter esercitare, come si afferma nella ‘Dichiarazione universale dei diritti umani’, il diritto alla libertà di pensiero e di esplicitare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, una diversa visione del mondo”.
Legami germogliati e fioriti, come dimostra questa antologia, anche attraverso la poesia: la poesia che ha dato voce a chi è stato bandito dalla società; a chi ha perso il lavoro perché non si è assoggettato al ricatto vaccinale; a chi si è volontariamente ammalato per sopravvivere; a chi, da un giorno all’altro, da persona stimata e rispettata è stato trasformato in un essere inferiore, da stigmatizzare e allontanare; a chi ha protestato ed è stato denunciato e caricato dalla polizia; a chi è stato trattato con indifferenza e con scherno. La poesia che fa paura perché:
la poesia è una riunione di parole
tutte sono ammesse e hanno uguale importanza
tutte marciano insieme e prendono voce l’una dall’altra
non c’è divieto che le disperda
non c’è carica della polizia che le sciolga
non c’è virus che le chiuda in casa
non c’è paura che le separi
possono stare insieme tutto il tempo che vogliono
anche per quattordicimiladuecentotrentatre passi
possono dire quello che pensano
soprattutto in direzione contraria
servono a sconfiggere panico e dittatura
quando panico è l’altro nome di dittatura
e anche queste – come vedete –
sono libere parole di questa poesia
(Paolo Gera)
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