Quello che non è giovane è maledetto
Elio Scarciglia, Cappella Baglioni di Spello, I volti del Pinturicchio

Quello che non è giovane è maledetto

diCarol Guarascio

Emanuel Carnevali (1897-1942) è un poeta italiano in lingua inglese vissuto tra New York e Chicago nella prima metà del ‘900.

Era sbarcato a New York il 5 aprile 1914 dopo aver lasciato Bologna e aver interrotto un rapporto impossibile con un padre severissimo. Manolo, come lo chiamavano in Italia, a New York non conosceva nessuno. Iniziò allora a fare lavoretti saltuari, il cameriere, il lavapiatti e imparò l’inglese come poteva, per strada. Le sue poesie venivano ripetutamente rifiutate dalle riviste finché Louis Grudin, immigrato ucraino, gli fece conoscere importanti scrittori americani come Max Eastman e Louis Untermeyer e le cose cominciarono ad andare meglio. 

Nel 1918 la rivista Poetry diretta da Harriet Monroe gli assegnò un premio e Carnevali entrò in contatto con William Carlos Williams, Ezra Pound, Edgar Lee Masters e Sherwood Anderson. Si avviò allora ad una fervida attività di traduttore in inglese delle opere di Croce, Papini e i nuovi poeti italiani, riuscì a pubblicare un saggio su Rimbaud e ad intrattenere collaborazioni con altre riviste. 

Eppure Em non riusciva a radicarsi, ad osservare codici di comportamento adeguati e tutti lo consideravano un maudit. Abbandonata sua moglie si trasferì a Chicago, chiamato da Harriet Monroe come vicedirettore di Poetry. Lì si innamorò di una ragazza ebrea ma quando lei decise di andare via e andare a vivere a New York, lui non si fece scrupoli a lasciare l’importante incarico alla rivista, iniziando a condurre una vita sregolata per le strade di Chicago.

Per le frequenti crisi di nervi, venne ricoverato nel reparto psicopatici del St. Luke’s Hospital, a Chicago e una volta fuori visse chiedendo l’elemosina. Nel gennaio 1922 è di nuovo ricoverato: Ha tremori continui dovuti, si scoprirà, ad una encefalite letargica. 

Stremato dalla vita, Emanuel decide di tornare in Italia con l’aiuto del padre, che allora ricopriva il ruolo di commissario prefettizio a Bazzano e che lo farà ricoverare all’ospedale della cittadina emiliana.

Molti amici americani lo andranno a trovare, ad esempio Ezra Pound, che nel ’36 gli regala una radio. 

Muore nel 1942 strozzato da un boccone di pane. 

Nel 1978 esce “Il primo dio” per Adelphi, che raccoglie l’omonimo romanzo, poesie e altri scritti. Carnevali è riconosciuto da Williams come “il poeta nero, l’uomo vuoto, la New York che non esiste”. Non scrive in italiano e neanche nell’inglese canonico dei poeti, ma trova la sua lingua per le strade, la imbratta e ne fa qualcosa di meraviglioso. 

Quando è morto, aveva solo 44 anni.

Presso il comune di Bazzano è conservato il fondo “Carte Maria Pia Carnevali 1903-2002”, 134 pezzi (buste, registri ecc.) acquistati dal Comune di Bazzano nel 2004 dagli eredi di Maria Pia Carnevali, che rappresentano una raccolta di materiali eterogenei, di diversa provenienza, formata dalla sorella del poeta a partire dal 1971. 


Mi è capitato di sfogliare quelle carte la scorsa estate, ed è stato un tuffo nella vita di quest’uomo, questo ragazzo così straordinario. Fuori dagli schemi, spesso paragonato a Dino Campana e a Rimbaud per via della sua giovinezza e dei suoi viaggi oltremare, ha qualcosa di assolutamente unico che non necessariamente deve essere considerato un difetto: non scrive nella sua lingua madre. Questo naturalmente significa che la sua poesia non è riconosciuta né dai suoi connazionali, né dagli anglosassoni che lo avvertono come uno straniero. Eppure poeti illuminati come Williams e Pound avevano compreso la sua grandezza e cercarono di trattenerlo, di aiutarlo. Purtroppo, all’epoca, una malattia come la sua, di cui ancora oggi non si conosce l’origine, che si presentò come vera e propria pandemia tra il 1916 e il 1925, non gli ha dato scampo. L’America che lui stesso definisce “leggera e poltrona, che accorcia la sottana dust-stinking e si imbelletta all’ombra dei brutti - bellissimi skywrapers” lo ha tenuto con sé finché è stato possibile. Lui, infatti, considerava gli Stati Uniti “il decrepito nuovo mondo” ma affermava solenne: “sia maledetto chi ne dice male fuori di gente come me”.


Alcune frasi (forse inedite) ho colto tra quelle pagine:
Le visioni non sono fatte per viverci dentro

Tutto è sacro quello che l’artista vede

La vita è trop belle che non posso che balbettare

C’era qualcosa che ero solito chiamare giovinezza e dicevo che quello che non è giovane è maledetto

I am on the rocks

I shall be completely ruined”.


Certe cose ci puntano contro il dito e ridono

Certe cose
si nascondono agli occhi della gente
e si odono
piangere sommessamente.
Certe cose cadono dal cielo:
cose nere informi, mostri
della notte e terrore
dei giorni.
Certe cose sembrano essere state predisposte
da Dio e dal Diavolo.
Certe cose sembrano nate in un abisso
e cresciute nelle tenebre.
Certe cose portano l’immagine della bontà
come se il fuoco
ve l’avesse scolpita in bassorilievo.
Certe cose ridono fino a divenire teschi
e poi continuano a ridere.
Certe cose sono come alberi di pesco,
portano a lungo frutti verdi.
Certe cose sono come il vino che uno beve
soltanto per ubriacarsi.
Certe cose colpiscono
il cuore come un colpo di gong,
così che poi risuona a lungo.
Certe cose schiacciano il cuore come se fosse
uno scarafaggio.
Ed è orribile, come spiaccicare
uno scarafaggio.
Certe cose sono come il fulmine:
possono essere guidate
anche se pericolose.
Certe cose sono come pensieri dal piede pesante,
hanno il piede pesante anche se abitano il cielo.
Certe cose sono come le aquile.
Vivono in alto –
possono benissimo dimenticare la valle.
Certe cose sono come il terremoto:
utilizzano tutte le nostre paure.
Certe cose sono come la Bellezza che è morta da tempo:
solo l’acqua profonda del pozzo può lavarle e destarle.


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