Ondina e le sette sorelle
Mentre dormivo sognavo di essere in una casa abitata da animali marini. Una freccia come un segnale mi mostrava una storia, lunga, dal sapore di sale, finché provai a raccontarla.
Ondina viveva in fondo al mare insieme alle sue sette sorelle, i loro giorni scorrevano liberi e felici come i colori delle acque che le accarezzavano, le cullavano dolcemente, a volte scherzavano con loro trascinandole bizzarramente in tutto quell'immenso spazio che le circondava senza mai far loro alcun male. Vivano in pace ed erano amate da tutte le specie animali del loro regno, i cavallucci marini erano i loro preferiti compagni di gioco, ma se volevano rincorrersi, volentieri chiunque fosse di passaggio si fermava per porgerle un comodo dorso. Crescevano belle e indolenti, erano dolci e spumeggianti nelle loro lunghe chiome di un verde brillante, la loro pelle cambiava in mille sfumature di blu, e i loro occhi erano gemme violacee, il loro sorriso era più spendente della più incantevole perla che si potesse incontrare sul fondo del mare.
Un giorno il loro padre, il re degli Oceani decise che erano abbastanza adulte per metter su famiglia, consultò sua moglie, la regina degli Abissi e insieme decisero di dare una grande festa dei mari e invitarono tutti: il Sole e la Luna con i loro sette figli, il re delle Montagne e la regina della Neve con i loro 12 figli, il re del Cielo con sua moglie la madre Terra, con la loro ultima generazione di figli umani.
Fu allestito un gran banchetto, il fondo del mare splendeva nella sua limpidezza, vassoi in madreperla o in corallo si riempivano dei più squisiti frutti del mare, guarniti dalle soffici alghe. Gli abiti delle figlie del Mare erano dei più straordinari colori, cuciti con filo di perla, disegnati nelle svariate forme che popolavano quel mondo.
Quando arrivarono gli invitati rimasero incantati per la bellezza del luogo, ma soprattutto per la bellezza di Ondina e delle sue sette sorelle, a cui porsero i loro omaggi e presentarono i loro doni.
Quando fu la volta del re del Cielo e di sua moglie la regina della Terra, tutti rimasero sorpresi, dal momento in cui dissero che il loro dono consisteva nel cuore dei loro figli; cosa era questo cuore? chiesero tutti.
Questo cuore rosso, vivo, pulsante di vita, ma esposto ai più impensabili rischi, fragile e forte, reggeva gioia e sofferenza, mutevole come le onde del mare, a volte duro come una roccia, portava il vestigio dello spirito e faceva conoscere un misterioso stato chiamato Amore. A queste parole gli altri convitati sussultarono; si sa che l’amore non dà salvezza, una volta provato induce il condannato a cercarlo ancora, si diventa così temerari dà rischiare la vita o uscire di senno, si apre la Via del non ritorno.
Le figlie del Mare invece, avevano un cuore di ghiaccio, splendente come un diamante e quando dopo lunghi anni esse si lasciavano andare al richiamo delle acque, il cuore si scioglieva e il loro corpo si dissolveva, ritornando così alla loro essenza originaria.
Si può comprendere come tutti si opponessero ad una simile novità, soprattutto il re degli Oceani che disse con veemenza: una simile perversione non contaminerà le mie figlie, mentre la regina degli Abissi le portava via per proteggerle, nei profondi fondali. Il Re del Cielo, profondamente irato, fece tuonare la sua volontà, così scoppiò una terribile tempesta, tutti gli invitati furono coinvolti e trascinati nella battaglia. Dal cielo terribili draghi dalle mille lingue di fuoco scagliavano frecce che squarciavano le acque.
Nel frattempo, Ondina non riuscì a fuggire, fu tratta dal mare, insieme ai figli del Cielo e della Terra, si senti improvvisamente innalzare da una brezza marina, che divenne sempre più lieve, fino a che non udì più nulla. Quando riprese i sensi, si trovò adagiata su un letto di piume bianche, circondata da strani esseri alati, che le intonarono il benvenuto con una candida voce; Ondina capì che si trovava nel regno del Cielo, non fece resistenza quando quegli esseri alati le pettinarono le lunghe chiome, le apposero sul capo un diadema e le fecero indossare un abito di luce.
Ondina, frastornata, dimenticò per un pò tristezza e paura per quel luogo che non era il suo e cominciò a volteggiare nell'immenso spazio, che si apriva ad ogni suo passo, imparò la danza dell’aria, specchiandosi una, cento, mille volte, nell’etere rarefatto. Fu così che entrò alla corte del Cielo e lì vi rimase per lungo tempo, in uno stato alterato, che è tutto ciò che Ondina potè serbare nel suo ricordo, quando si svegliò da uno stato simile al sonno, ma che non fu un sogno, di questo fu certa.
Un giorno, un essere alato le si avvicinò e le disse: Ondina, la via del cielo passa per la terra, è giunto il momento di scendere tra gli uomini. Passarono una porticina, Ondina udì un suono di campane, mentre una cicogna bianca prendeva il volo, portando nel becco un piccolo fagottino.
Si trovò sola, per una strada bianca, il silenzio la circondava, nessuna indicazione tranne il sentiero che le era davanti e che sembrava restringersi come a volerla incoraggiare a percorrerlo, Ondina esitante si incamminò. Camminò per giorni interi, senza saperlo, per quella strana via, né una voce né un’ombra, solo la sua solitudine, la sua tristezza e la sua nostalgia a farle compagnia, la disperazione poi stava quasi sciogliendo il suo cuore di ghiaccio e ad ogni passo si sentiva più stanca, desiderava solo morire.
Ed ecco che improvvisamente sotto i suoi piedi Ondina vide aprirsi una crepa, poi una voragine e giù precipitò, il vuoto l'aveva accolta, non c'erano appigli a cui tenersi, ma neanche spigoli dove urtare, solo un lento sordo cadere come il suo muto dolore. Come era diversa quella sensazione dall’avvolgersi del mare e dal vorticare dell’aria, finché toccò il fondo e quel fondo, furono le braccia di madre Terra che la strinse al petto, una distesa verdeggiante cingeva l'orizzonte, e il sole aveva dispiegato tutti i suoi raggi in un azzurro che non aveva dubbi; anche il vento si era ritirato, lasciando solo le brezze, le figlie minori che rallegrarono Ondina con i loro vezzi, le agitavano le vesti ricordandole i giochi infantili con le tenere acque; questo la riempì di nostalgia, ma quel luogo le risultò più familiare.
Fu così che Ondina trascinata dalle allegre brezze, si rimise in cammino, il sole le scaldò il cuore e il canto degli uccelli la rallegrò, ma presto la pianeggiante e fertile valle confluì in un fitto bosco che lasciava dietro di sé la luce.
Il Sentiero la condusse verso una strana meta, dietro lo scenario di una città medioevale, contornata da statue di pietra che forse un giorno avevano ospitato la vita, si apriva un castello dall’aria sinistra, nessuna sorveglianza, né rumori di gente, Ondina incuriosita proseguiva, non vide nessuno, tranne statue scolpite in pietra di grandezza umana; giunse infine all'ingresso del grande palazzo, entrò, una scalinata la condusse nella sala del trono, seduto su di esso Destino ricamava il tempo, sotto il suo seggio decine di topi rosicchiavano antichi libri, una voce tonante e senza volto, le gridò di andar via. Si ritrovò dopo poco nel folto bosco, ormai buio, stretta nei rovi, attanagliata dall'angoscia si abbandonò alle sue stesse grida, due ruvide braccia, d’improvviso l’afferrarono, era il taglialegna che viveva lì e la soccorse. Ondina non ebbe ne' il tempo, ne' la forza di capire se quelle braccia che la stringevano erano la sua buona o la sua cattiva sorte, si lasciò andare; poco dopo nell'umile ma calda casa di pietra, dove ardeva un confortante fuoco, Ondina si trovò di fronte un uomo alto e massiccio, dai modi bruschi, ma sinceri, senza guardarla le porse una zuppa fumante, che mandò giù in un attimo, quel calore la rinfrancò. Poi le disse: stenditi pure sul mio giaciglio, sarai stanca, per me è quasi ora di alzarmi e io andrò fuori per continuare il mio lavoro. Ondina voleva chiedergli qualcosa, ma fece solo un cenno col capo e dopo poco era già sprofondata nel sonno. Quando il taglialegna fu di ritorno Ondina sperò di soddisfare la sua curiosità sul mistero del castello, ma egli le disse che certe storie non potevano essere raccontate: “bisogna vivere la vita prima che diventi lettera morta!” e non aggiunse altro per ore. Ondina si sentì offesa da quel silenzio e pensò di andar via, ma era quasi il calar del sole e temette di incamminarsi incontro al buio; il taglialegna intuì i suoi pensieri e le disse che lui di lì a qualche giorno si sarebbe messo in cammino e volentieri le avrebbe indicato la strada verso un luogo abitato, ma fino a quel momento lei avrebbe dovuto imparare a rispettare il suo silenzio. Ondina sorpresa dalle parole dell'uomo che l'avevano letta dentro, arrossendo fece segno che avrebbe accettato. Ondina imparò ad apprezzare il silenzio, e man mano le si aprì una nuova percezione, sapeva riconoscere gli uccelli dal loro canto, lo sgattaiolare di un serpente non la metteva in allerta, quanto l'ululato dei lupi e il suo sguardo si perdeva nella meraviglia dell'immobile contemplazione di un cervo che le passava vicino; ed anche lo scricchiolio del legno sembrava un suono che aveva un senso nella pace di quel luogo. Un giorno il taglialegna ricevette una lettera, e le disse che doveva partire, e che l’avrebbe lasciata ai margini del bosco. Camminarono a lungo su uno stretto sentiero in mezzo alle montagne, poi ridiscesero a valle, quando arrivarono ad un bivio, l'uomo si fermò e disse: “ora dobbiamo separarci, siamo vicini al mare, percorri questa strada ti porterà in un paese, lì chiedi di donna Bruna, è mia sorella, lei ti aiuterà; poi le mise in mano una bussola, e aggiunse: non perderti, la strada è lunga, ma arriverai prima del calar della sera, si voltò e andò via.
Ondina non ebbe il tempo di salutarlo, mentre impietrita lo guardò andar via. Dopo poco riprese il cammino, verso il primo imbrunire vide in lontananza il mare e si rincuorò, era come le aveva detto il taglialegna, scese più in fretta, si cominciavano a vedere anche delle case, era un piccolo paese di pescatori, ben presto trovò la casa di Bruna. L’accolse una donna minuta, anziana, ma da uno sguardo luminoso e senza età, e un uomo dalla testa canuta, il corpo ancora possente e un volto scolpito dai solchi lasciati dal tempo e dal sole, la fecero entrare scusandosi della loro modesta dimora. Nella piccola casa di pietra ardeva un fuoco, la donna mise a scaldare dell'acqua per una minestra e fece accomodare Ondina su una vecchia sedia a dondolo, e mentre parlava le sue mani esperte le carezzavano la schiena, il fuoco ardeva nel caminetto e parlarono dell’amore, del dolore, della vita e della morte, poi Ondina si ritirò nella sua stanza e qui fu colta da un’intensa inquietudine, verso l’alba si addormentò e sognò di trovarsi in un immenso castello di ghiaccio, dove lei passava, le cose prendevano a sciogliersi, ma non assumevano una forma, bensì diventavano acqua, ma solo a qualche passo da lei, una lastra di ghiaccio cadeva e lasciava intravedere il corpo nudo di un uomo, la pelle di alabastro, le chiome scure e i tratti sottili, Ondina si avvicinò cauta e tremante, lui la vide e pianse, poi le disse: quanto tempo, erano secoli che ti aspettavo, non speravo più di rivederti, io sono il tuo gemello. Ondina fu presa da uno sentimento struggente che non aveva mai conosciuto, le sembrava le stesse scoppiando qualcosa in petto.
Erano uno di fronte all'altra, ma non potevano stringersi, una forza misteriosa lo impediva. Allora lui le disse: abbiamo ancora pochi secondi, poi tutto sparirà, guardati bene intorno, cerca di ricordare ogni cosa, perché tu dovrai ritrovarmi per liberarmi.
Ondina si svegliò, la metamorfosi del suo cuore era compiuta, capì che era tempo di tornare al mare, scivolò dal letto e silenziosamente attraversò le stanze, aprì la porta e la richiuse dietro di sé, era ancora buio, all'orizzonte si vedevano già spuntare le luci dell'alba, si diresse verso il mare, senti il canto dei delfini che la stavano chiamando, si calò nell'acqua e i delfini la sospinsero verso i fondali nel caro vecchio mondo marino che si illuminò di nuovo, in lei e fuori di lei. Gli antichi palazzi non avevano perso il loro splendore, tutto era illuminato e c'era aria di festa, trovò tutti i suoi familiari in attesa di lei, l'abbracciarono e la salutarono, poi suo padre così l’accolse: Cara figlia, noi sileni, sirene, elfi, gnomi, salamandre, fate, ondine, non siamo personaggi delle fiabe, ma siamo un vero regno a cavallo tra gli uomini e gli elementi della natura, fredda e umida è l’acqua, come freddo è il cuore degli abitanti del mare, calda e umida è l’aria, caldo e secco è il fuoco, e fredda e secca è la terra che si contrae, questo mi ha detto mio fratello il re del Cielo, dopo che ci siamo riconciliati, passando per gli elementi hai acquisito un nuovo cuore, per capire l’umano.
Quando il padre ebbe finito di parlare, la regina madre fece un cenno e le ancelle le porsero un' incantevole velo di un azzurro trasparente incastonato di perle e stelle marine, era il velo nuziale che era stato tessuto a posta per Ondina dalle sue sorelle, con esso disse la madre, porterai l’essenza del mare, il flusso dei nostri pensieri e la spuma del nostro amore.
Ondina lo prese commossa, era felice di andare incontro alla sua nuova felicità, ma soffriva perché ancora una volta doveva lasciare i suoi cari. Come Venere anche lei sorse dalle acque, scortata da un coro di delfini.
Ritornò nella casa del Pescatore, si adagiò stanca sul letto chiuse gli occhi e ritrovò lo stesso luogo del sogno, si diresse al sepolcro di ghiaccio e chiamò il suo principe per nome: Saul disse, tu sei colui che è desiderato ed egli si risvegliò. La casa del pescatore divenne il loro felice castello dei sogni, dove il Destino venne sfidato.
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