Giovanni Di Lena, l'importanza del messaggio
Se al posto di sole, cuore e amore intercettiamo le parole terra, precarietà, Lucania, prostituzione morale, rigenerazione; se cogliamo tra le righe l’indignazione per lo sfruttamento indiscriminato dei lavoratori come quello delle risorse naturali in barba alla dignità umana, lo sdegno per le strategie politiche e le false promesse miranti a mantenere inalterato lo status quo e a contenere le masse, la rabbia per la precarietà a cui sembra condannato il Sud del mondo, la riprovazione per l’immobilismo dei conterranei di fronte all’ennesimo sopruso; se vi leggiamo l’amarezza, lo sconforto, la disillusione ma anche la voglia di resistere, l’invito a non cedere all’opportunismo e alle contraddizioni della società, con molta probabilità stiamo leggendo i versi di Giovanni Di Lena.
La prostituzione morale/è un lusso che si concede/chi burla se stesso,/è un dazio che paga/chi sublima il proprio io./ La prostituzione morale/ti gira intorno, t’accarezza e,/con grazia, tenta di soggiogarti./ E tu?/Tu non cedi alle sue lusinghe,/non baratti il tuo pensiero/con caramellati distintivi/neanche quando sei denutrito/e hai bisogno di aiuto./ Tu, Poeta, rinvigorisci/placando la tua sete/alla fonte della Musa.
Nato e residente a Pisticci (MT), Di Lena ha all’attivo 9 pubblicazioni di sillogi poetiche dal 1989 ad oggi.
Vive la poesia essenzialmente come strumento di denuncia sociale, di sprone al cambiamento. Crede fermamente che il poeta ha la responsabilità di trasmettere, attraverso i suoi versi, un messaggio che non sia soltanto individualista, bensì di utilità civile e morale, svettando una bandiera che faccia da riferimento, sostegno e guida nella lotta alle ingiustizie.
Una poesia scomoda, la sua, pregna di coraggio, un indice puntato in modo inequivocabile contro le storture evidentissime eppure così difficili da debellare proprio a causa di giochi di potere e compromessi.
E per raggiungere il suo fine usa uno stile semplice ma d’effetto, nella ricerca di parole ed espressioni forti e decise, a volte gravemente accusatorie, impossibili da confutare, senza tuttavia perdere il controllo o lasciarsi andare a facili improperi.
E così, dà alle stampe "Un giorno di libertà" - Edizioni La Vallisa, 1989, "Non si schiara il cielo" – Laicata Editore, 1994, "Il morso della ragione" - EditricErmes, 1996; "Coraggio e debolezza" - EditricErmes, 2003. La produzione poetica continua e Di Lena urla quasi sottovoce le sue ragioni in "Non solo un grido" – Edizioni La Vallisa, 2007 e in "Il reale e il possibile" - Edizioni Archivia, 2011. Torna ad osservare questo mondo che continua a girare al rovescio in "La Piega storta delle idee" – Edizioni Archivia, 2015. Scaglia parole come sassi che colpiscono dritto al cuore e alla mente del lettore scuotendone la coscienza in "Pietre" - EditricErmes, 2018 (“Restare diritti è difficile:/il Potere ci piega/e favorisce la mediocrità./Increduli,/assistiamo al trionfo/della frivolezza …”).
Infine sposta parzialmente l’attenzione sugli affetti, sulle emozioni e sulla tematica della caducità in "Piccole faville" – Villani Editore, 2022 - che in quarta di copertina riporta “… Tu mi conosci/e sai che l’Amicizia/è la mia stella d’oriente”, svelando tutta l'umanità e la vulnerabilità dell’uomo celato dietro il poeta impegnato. Si badi bene: celato non perché nascosto dietro una maschera, bensì perché autocollocatosi volutamente in secondo piano per lasciar spazio a realtà considerate di maggior rilevanza, dal momento che coinvolgono tutta la società. A tale proposito è doveroso precisare che anche nelle sillogi poetiche pubblicate precedentemente a "Piccole faville", Di Lena ha creato piccoli ma significativi angoli dedicati agli affetti, in particolare al padre che col suo vissuto personale è stato il faro che ha illuminato le scelte di vita del poeta, ma anche all’amatissima madre, senza dimenticare l’amore di coppia.
Porto nel cuore/lo sgomento di mio padre/per la guerra/che fu chiamato a combattere./Porto nel cuore/la rabbia di mio padre/che fece ritorno in Germania/e versò il suo sangue oltre il Brennero/per placare la fame./Non gli fu tanto ostile/il campo di concentramento/quanto il ricovero/nelle baracche di legno/dello sfruttamento industriale./Porto nel cuore/il dolore dei suoi occhi/e la miseria nemica/che sconfisse la sua speranza./I treni corrono ancora verso Nord/e portano la ragione a Bruxelles,/ma il mio cuore non dimentica Monaco/dove c’è un pezzo d’Europa/costruito da mio padre.
E ancora: Porta negli occhi/gli affanni della vita/mia madre./La sera/sgomenta di stanchezza/si raccoglie a sé/leva le mani sul viso segnato/e sprofonda/ansiosa in un sonno …/Mi piacerebbe rubarle/nel sonno/un suo sogno/e renderla felice.
Chi si approcci alla lettura delle sillogi di Giovanni Di Lena, noterà certo che col passare del tempo la veemenza del grido accusatorio sembra lasciare uno spazio più ampio alla disillusione, a un’apparente resa in favore di una maggiore introspezione. Ma a ben vedere, lo spirito combattivo del poeta, anche quando non emerge prorompente, resta lì latente, in agguato. Insomma, pur nel disincanto, Di Lena non può fare a meno di lottare, di smuovere le coscienze, in coerenza con il suo percorso umano.
Una voglia di rigenerazione/circola smaniosa/nelle mie vene,/ma si scontra/con i paradigmi inanimati/del nuovo verbo/che ruota intorno a latenti discrasie./Non ho più aderenze:/sono libero di muovermi/in spazi predefiniti./E mentre l'informe prende quota,/caparbia,/persiste in me/la voglia di un altrove rigenerativo.
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