I sepolcri imbiancati di Beatrice Hastings
Finché la donna non si determini ad avere possesso del suo corpo
e tutti possano vivere o morire come più desiderano,
la libertà al più non può essere niente più
che il famoso “diritto a lavorare” – quando un lavoro c’è.
Beatrice Hastings
Cosa può voler dire per una donna nata a cavallo tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, parlare di libertà e di diritti civili in un sistema educativo occidentale basato sul predominio politico e culturale degli uomini? Non era semplice confrontarsi quotidianamente con il copione tradizionale dell’educazione di genere in epoca vittoriana e post vittoriana, con il condizionamento cattolico asfittico e restrittivo che considerava le donne esseri destinati al silenzio e alla compiacenza, creature legate strettamente alla condizione biologica della maternità e del servizio domestico.
Beatrice Hastings fa parte di quella minoranza di donne disobbedienti e ribelli al patriarcato e la sua contestazione è stata profondamente radicale e politica. Combatte la misoginia e lo sfruttamento delle donne, denuncia le mutilazioni esistenziali e culturali che devono subire. Gli intellettuali di quell’epoca vedono nel suo comportamento libero e assertivo un atteggiamento androgino perché diretto, oppositivo e battagliero, perché non usa la compiacenza femminile a cui erano state educate da secoli le donne. Viene considerata ribelle e disobbediente, trasgressiva e quindi insopportabile.
Giornalista e scrittrice, poeta e saggista, (Londra 1879/ Worthing 1943) una delle figure europee più carismatiche, viene finalmente conosciuta in Italia ad opera dell’Associazione Culturale Le cicale operose, curata da Maristella Diotaiuti e Federico Tortora. Quest’anno, la casa editrice Terra d'ulivi edizioni ristampa il suo romanzo breve Sepolcri Imbiancati, con un’ approfondita prefazione di Maristella Diotaiuti. Il romanzo fu pubblicato sul giornale inglese d’avanguardia The New Age, in otto capitoli, nel 1909, a puntate. Hastings, editrice e redattrice, scelse la serializzazione delle opere di narrazione, per fidelizzare il lettore. Si inventò molteplici identità con diversi nomi di penna, con cui scriveva articoli e romanzi. Tema centrale di tutta la sua produzione intellettuale è la rivendicazione delle libertà delle donne, che fu alla base dei suoi innumerevoli diari fino alla cronaca puntuale e drammatica della seconda guerra mondiale. Nel romanzo breve Sepolcri Imbiancati, affronta la rappresentazione del materno e dei contesti familiari, l’incomunicabilità all’interno della famiglia borghese, il rapporto conflittuale tra madri e figlie, utilizzando una compostezza narrativa notevole. La relazione aveva come fine l’obiettivo riconosciuto della sistemazione della figlia nel matrimonio e ogni desiderio della fanciulla doveva convergere in questo progetto di vita, dove l’emancipazione professionale e la libertà decisionale erano assolutamente bandite. La giovane era programmata per compiacere il futuro marito e la madre era la depositaria di tale scopo, senza nessun dubbio sulla mutilazione esistenziale che avrebbe inflitto a ogni desiderio della figlia.
Sua madre aveva i suoi metodi per aggirare qualsiasi tendenza indesiderata. Il suo status di despota per diritto divino sulla sua figlia indifesa era stato rigidamente coltivato fin dall’infanzia di Nan. Nan non si era mai nemmeno comprata un paio di guanti di sua propria iniziativa. Era scortata ovunque da sua madre, e con infinita astuzia la madre aveva insegnato alla figlia a considerarsi superiore nell’aspetto, nei gusti e nella religione a tutte le sue coetanee. Tutte le aspettative erano state concentrate sul futuro marito come l’unica persona, oltre alla madre, degna dell’attenzione della signorina Nan.( pagina 26)
Nel suo pamphlet “Il peggior nemico della donna: la donna”, allegato nel The New Age (1909), chiarisce la sua riflessione femminista sul matrimonio e sulla maternità, sul silenzio colposo delle donne e delle madri, sul ruolo che viene assegnato alle donne dal sistema patriarcale e capitalistico, fallocentrico e maschio-normato. I due testi sono interiormente connessi, anche se diversi nella formula linguistica, e si possono inserire nel vasto progetto culturale e politico della Hastings. “Sepolcri imbiancati” può essere considerato un romanzo di formazione all’interno della letteratura femminista, in cui viene narrata la storia di una donna che cerca invano di liberarsi dai rigidi modelli di educazione patriarcale, che la spingono verso il ruolo di moglie e di madre. Questo desiderio viene però negato alla protagonista, vittima del desiderio altrui, prigioniera di un destino biologico programmato dal sistema patriarcale.
Si potrebbe forse giustamente concludere che la ragazza era stata ipnotizzata fin dalla culla affinché credesse che un fidanzamento fosse naturale come pettinarsi i biondi capelli. Tuttavia, questa teoria non spiega l’aura romantica di cui circondava il matrimonio. Aveva visto i suoi genitori, una grigia coppia sposata, e difficilmente avrebbe potuto dedurre le sue stravaganti fantasie dal loro comportamento quotidiano. Le matrone che venivano con le loro figlie ai ricevimenti settimanali di sua madre non emanavano alcun profumo romantico e le poche giovani mogli di sua conoscenza erano sempre alle prese con neonati, cucito e cucina, attività nessuna delle quali suscitava in lei alcuna emozione al di fuori di una distratta commiserazione.( pag.23)
Nan Pearson, priva di qualsiasi conoscenza della sessualità e della maternità, sarà intrappolata nell’istituto matrimoniale, in un ruolo subalterno, senza la libertà di scegliere e lottare per il suo progetto di vita. Il femminismo libertario e anarchico di Hastings tende alla liberazione della donna, non subordinata e assimilata al maschile ma forte del suo valore identitario, basato sulla differenza di genere. In modo geniale, Beatrice Hastings aveva compreso che non bastava solo la parità dei diritti e il percorso di emancipazione professionale e culturale. Per poter essere veramente libere, bisognava recuperare la centralità della libertà delle donne, nel autodeterminare il loro destino. Attaccò con chiarezza il simbolico materno e la mistica della femminilità, usando ogni mezzo. Articoli giornalistici, saggi e romanzi, poesie e fiabe, ogni suo frammento creativo veniva piegato a questo indiscusso obiettivo. Bisognava combattere e superare lo stereotipo dell’angelo del focolare e superare il pensiero binario maschile/femminile, incistati nella retorica tradizionale della famiglia tardo vittoriana. Il sistema capitalistico e patriarcale riduceva il corpo e l’anima della donna in una proprietà del maschio e dello Stato.
Hastings critica questa strumentalizzazione della “natura femminile”, che cospira contro la donna stessa. L’essere madre deve essere una scelta consapevole, non un destino né un obbligo sociale. Le donne purtroppo, affermò nel suo saggio, usano con le giovani la strategia del silenzio, omettendo il prezzo che ogni fanciulla deve pagare nel matrimonio e della procreazione. Considerava invece sacra la funzione materna, nella consapevolezza lucida del ruolo e scrive nei suoi articoli:
“Immaginiamoci la nostra vera madre. Tutti la vogliamo, e lei vuole noi tutti. Il suo corpo è puro per farci crescere nel suo grembo. Il suo cuore è placido. La sua mente è aperta e la sua compassione abbraccia i figli del prossimo suo. Più rara di qualsiasi mortale è questa madre. Il suo travaglio è rapido e non estorce lacrime. La nostra nascita non è per lei una mutilazione, e assaporiamo il nostro primo alimento, una fresca essenza che ci esorta alla vita. Conosce la scienza della nascita e preserva la propria castità. […] Sceglie il padre dei suoi figli, come si confà alla sacerdotessa di un così solenne rito. E i suoi figli non ereditano le piaghe della povertà e della malattia. Madri siffatte sarebbero gli idoli di una nazione sana”.
Hastings sapeva che cosa è l’amore: non una gabbia che mutila le donne e il loro talento ma una forza liberatoria e vitale, un’energia alchemica e incandescente, che rispetta la complessità di ogni creatura umana. In questo romanzo si stigmatizza drammaticamente la rete malata e tossica delle relazioni familiari di dipendenza ossessiva e autoreferenziale, dove ognuno rimane chiuso nella sua solitudine e nel suo fallimento. I personaggi non sanno dialogare ma producono un incessante soliloquio che snerva e diventa privo di empatia, di ascolto e di comprensione. Beatrice rimane ancora oggi per noi donne una pioniera della libertà delle donne, un esempio radicale di indipendenza assoluta, capace di far a meno della protezione maschile sia nella vita privata che in quella politica e pubblica, abile nell’esprimere con estrema e dirompente vitalità tutte le potenziali espressive e creative del genio femminile. E in questa direzione che bisogna far tesoro della sua esperienza e della sua produzione letteraria e politica.
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