Inverni di Andrea Castrovinci Zenna
Nacqui in inverno, il ventitré gennaio a un’ora tarda della notte,
Acquario: sarà il mio segno, l’ascendente, la vita scorsa,
che in febbraio compiva gli anni lei, come me Acquario;
saran sciocchezze cui appellarsi nel silenzio
ma era l’unica con cui mi ritrovavo.
Dopo la sua prima silloge poetica, “Il nome di mia madre” Ensemble editori, Andrea Castrovinci Zenna scrive la sua seconda opera, “Inverni” edita da Terra di ulivi. Le due opere sono profondamente intrecciate dal tema che le unisce: il dolore e l’elaborazione del lutto della madre. Anche in questo secondo libro, sono fortemente accentuate le influenze letterarie del primo novecento. Echi pascoliani e dannunziani rendono il corpo testuale denso di rimandi e di citazioni, che guidano la creatività linguistica del giovane poeta. Tradizione e attenzione agli autori che hanno affrontato il tema della meditazione sulla morte e sulla perdita. Al centro rimane la conversazione con la madre. La poesia diventa un limbo sospeso, dove continuare questo dialogo fondativo tra madre e figlio. La madre nel suo essere relazione primaria è fonte di ispirazione e di confronto con ciò che era e che non c’è più. La mutazione tragica del vivere e del morire si innesta nella malinconia e nella tristezza di una condizione umana, costretta ad attraversare gli effimeri passaggi dell’esistenza. Il titolo è indicativo della direzione filosofica del testo. La stagione invernale rammenta la nascita e la morte, ha in sé l’elemento della caducità e della trasformazione solitaria di ogni essere. Il gelo è simbolo di questa assenza di calore, di quella orphanage che ritorna in ogni pagina. Un lamento crepuscolare che potrebbe ricordare il versificare affranto di Gozzano e Corazzini. Grande richiamo anche alla poetica foscoliana, a quella corrispondenza di affetti che ci lega a chi abbiamo perso. Dolore, tempo e memoria come scrisse Sigmund Freud sono le tre fasi dell’elaborazione del lutto, che in questo testo sono tragicamente presenti.
Solitamente in me l’inverno scaccia col suo gelore ogni pensiero greve: dalla finestra vedo il grigio monte tremano i pini sull’aereo picco; batte sui vetri, bianca, chicco a chicco grandine tinnula in sciami dal monte. A volte è pioggia, ghiaccia ma non neve; nulla oggi è lieve, madre, ma minaccia.
Il registro formale è intimo e colloquiale, quasi un diario in versi ben organizzati secondo gabbie metriche precise, con grande abilità retorica segue la conversazione con l’interlocutore assente. La Silvia di Giacomo Leopardi qui ha le vesti di una madre/fanciulla che ha con il figlio tante affinità elettive. Il luogo della narrazione poetica è l’oikos, le stanze domestiche dove oggetti e animali sono presenze affettive della memoria. C’è nel poema l’eco dello struggimento della famosa poesia di Pasolini per la madre perduta, la sofferta nostalgia per quella sintonia ricevuta in dono da colei che, oltre aver dato la vita, ha permesso l’esercizio continuo e vigile di un ascolto privilegiato.
Poiché non il tempo scalfisce perenne il dolore, ma sempre a chi resta propone il suo niente, mia guida sia l’illusione di averti per mano, tenerti in colloqui... Giacché vivi sola negli incubi innocui.
Non sempre succede che un genitore sia anche maestro di vita. In questo caso invece l’autore attraverso il poema omaggia e onora la memoria della madre, vestale di una relazione eccezionale, in quanto speciale e insostituibile. Elaborare la perdita di una persona cara è un processo doloroso che richiede tempo. La melanconia è il sentimento che attraversa questo evento traumatico. Il dolore e il vuoto della perdita, lo stato depressivo e malinconico sono lo sfondo emotivo che viene qui rappresentato. Non è un processo facile staccarsi dalla memoria dell’altro, si struttura un pensiero indelebile che accompagna ogni momento. Scrisse Herman Hesse: “incominciai a capire che i dolori, le delusioni e la malinconia non sono fatti per renderci scontenti e toglierci valore e dignità, ma per maturarci.” Infatti in questa silloge, la poesia diventa un modo per fare memoria, una strategia per ricordare e andare avanti fissando in quadri domestici e cari le immagini del materno che diventa radice e ala.
Scrivo perché ho bisogno di farlo. È una necessità che nasce da un conato di pianto o di gioia, poi limo il primo grumo sul cartaceo con la stilografica che mi si offre quale piacere fisico, ponte di congiunzione tra mente, mano, e quindi testo. Quando la vertigine del bene o del dolore tace, non trovo Poesia.
La poesia può essere un lenitivo speciale, è meditazione sulla morte e sul morire, cura per andare avanti e per accettare il ciclo naturale della vita. Il racconto in poesia diventa un modo per esorcizzare il dolore, una consolazione, un mantra e una preghiera intensa. Il lessico, la sintassi, la metrica e i continui rimandi alla tradizione primonovecentesca non fanno parte di un manierismo attardato ma sono il file rouge di questo legame spirituale e letterario della madre, fanno da sfondo culturale al nodo esistenziale che li lega.
E raccontami ancora di lei ragazza, quanto neri e corvini i capelli; se studiò fuori e volle mai conoscere il mondo! Se di viaggi alla pensione aveva desiderio.
Questo poema si lega al primo testo, come due tempi dello stesso atto: il risarcimento in vita, la riparazione del trauma attraverso la parola. La scrittura si pone come terapia del profondo. Affronta i tempi del vago e dell’infinito attraverso le citazioni intrecciate ai versi, creando un simbolico laccio con la madre perduta, richiama la sostanza della loro relazione, la complicità delle letture condivise. Castrovinci afferma così la forza dell’eredità materna, passata nel sangue e nelle viscere.
La mia fantasia bambina ti rivede, viva, in cucina, in quel giardino interno: il gelsomino al crepuscolo d’insetti vibrava, qualcuno si chinava a coglier rosmarino… Forse ero io, a San Vito, da bambino.
Il libro viene così scritto a quattro mani, con un pathos affettivo che non si può estinguere. Nella poesia si riflette questo rispecchiamento di un grumo irrisolto che infiora e gemma frutti. Il dramma della perdita diventa epifania di un ricongiungimento spirituale e culturale attraverso i versi dei poeti amati. Uno scavo profondo e coraggioso negli affetti usando la strutturazione metrica dei versi, sonetti e settenari, endecasillabi e assonanze, tra classicità tradizionale e elementi di contemporaneità.
Solo con te era il dialogo e dunque una conoscenza non dico esatta, ma accettabile. Labile scorro del tempo lo scorno: l’Amore puro che ti porto in vita è un’ecatombe di parole assenti, un dilaniarsi, un distillare assenza debito eterno contro il prezzo madre.
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