Io e il drago
Vignetta di Fabio Tamborrino

Io e il drago

diCarol Guarascio

Attraverso la metafora potente dell'uccisione del drago, Andrea Moser, che nel 2022 ha pubblicato Morte del drago, una storia, con Puntoacapo nella collana Altre Scritture, con prefazione di Mauro Ferrari, riesce a sbrogliare la sua storia personale, impastandola con la poesia e trasformandola in storia universale. La vita qui è rappresentata soprattutto come fenomeno, parola che etimologicamente proviene dal greco phainomenon,  ovvero “ciò che appare”. 

Il drago, all’apparire della vita, infatti, tira fuori gli artigli e mostra la sua duplice natura: è un essere malefico, secondo le Sacre Scritture, da identificarsi addirittura con il diavolo oppure è il guardiano di antichi e immensi tesori o luoghi magici, oltre che essere una creatura dotata di grande saggezza. 

Nella silloge, che si sviluppa con ritmi a volte prosastici e a volte più cadenzati, Moser ci descrive minuziosamente i graffi ricevuti dal drago, ad esempio in occasione della morte del padre, o di una lunga degenza in ospedale per un intervento chirurgico. 

La raccolta, che d’altronde presenta un prologo e un epilogo, è il racconto di un viaggio, di un percorso di formazione che parte dall’infanzia, quando la paura ancestrale del mostro permea ogni cosa, fino al momento in cui il poeta, ormai adulto, si sente attratto dal drago e decide di affrontarlo. 

Il drago è 


un debito furioso contratto 

dagli altri, inestinguibile 

come il sole che brucia 

da milioni di anni


è un’eredità, un tratto genetico che si tramanda e si manifesta come male inevitabile e ricorda la colpa endogena destinata a ripetersi secondo schemi costanti all’interno di una stessa famiglia, così come narra la tragedia greca.

Il tema di "uccidere il drago" è affascinante quando viene esplorato attraverso le lenti della paura infantile, della memoria, della nostalgia e dell'angoscia. Attraverso una narrazione intricata, l'autore ci guida in un viaggio verso le profondità della psiche umana, consegnandoci il racconto di un’anabasi, che inizia con l’uscita dalla grotta del drago fino al momento in cui si compie l’atto eroico di un bambino ormai divenuto adulto.

Nella poesia “Morte del drago” si legge: 


Il varco è stato aperto,

ogni goccia di ghiaccio

è scesa nella brocca, 

chiusi i conti con il passato,

il fondo della grotta 

non nasconde più niente,

il bambino è diventato l’eroe. 

Il drago si è disciolto, 

della sua ombra non rimane 

che una pietra verde,

Il prisma che cattura

 la luce nera e irradia

 in ogni direzione

 saette di colori,

 speranze da difendere,

 qualcosa che perdura

 nonostante tutto, ancora. 

Il drago che tormentava i sogni d'infanzia del poeta si materializza a un certo punto come una presenza tangibile nel suo presente e minaccia di divorare ogni speranza di felicità. 

Moser confida nel potere trasformativo della memoria e impara a riconciliarsi con gli eventi che hanno condizionato la sua vita.

"Morte del Drago, una Storia" esplora il processo di confronto con i demoni interiori, trasformando la lotta personale in una battaglia epica tra luce e oscurità. L'angoscia permea ogni pagina di questa raccolta, creando un'atmosfera densa di tensione. Le poesie sono pervase da un senso di inquietudine e disorientamento, trasportando il lettore in un mondo in cui gli elementi surreali si mescolano alla perfezione con la prosa poetica, creando un effetto ipnotico.

La magia è un'altra componente chiave di questo libro. L'autore ci invita a credere nell'incantesimo del linguaggio poetico, a lasciarci trasportare dalla bellezza e dalla potenza delle parole. La conclusione è inevitabile: solo attraverso la poesia si esce dalla caverna del drago.

Molti sono, per concludere, gli elementi consolatori: il codirosso, i paesaggi ticinesi, i nibbi, le nuvole, gli stambecchi, le farfalle.


Ricordo la crudele caccia

alle farfalle che allora non erano

ancora estinte nel nostro giardino.

Vi volteggiava lo stupendo 

macaone con le sue ali giallo pallido

e i suoi occhi da apache,

o la delicata aglaia, 

tatuaggio dell’aria,

e poi c’era la melitea,

giaguaro nascosto tra i fiori.

Le catturavamo, e con uno spillo

le inchiodavamo agli stipiti

delle porte, senza pietà.

Un giorno i ragazzi entrarono in casa

e le rubarono tutte. Da allora

smisi di uccidere farfalle.

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