
La muta per amore di Francesca Canobbio
Ad introdurre il volume di Francesca Canobbio, impreziosito dalle opere pittoriche di Stefania Bergamini, è una sagace nota di Francesco Forlani. Lo scrittore casertano, citando Boris Pasternak, riflette sulla «mutezza completa» della poesia (Pasternak, Le onde, 1931). Si tratta di un punto cruciale, proprio perché in linea con le più recenti discussioni sul linguaggio dei segni e quello dei poeti (Fontana, 2023; Bertone, 2023; Mondini 2009). Forlani, affrancandosi dalla complessità delle teorie psico-linguistiche, conferma la necessità del poeta di far sentire la propria voce. Ma è proprio su questa scelta metodologica che l’autore della nota restituisce una riflessione: «c’è chi tra i poeti coniuga corpo e parola» e chi, tra questi, vede nel lettore un «portatore di sordità».
Francesca Canobbio, che Forlani conferma nella prima categoria, dimostra un’accurata conoscenza dello stile che caratterizza la poesia ultra-contemporanea (Caporossi, 2018); L’esempio perviene proprio da La Muta per amore (Terra d’Ulivi, 2024), che oltre a rievocare la celebre farsa di Vincenzo Lavigna apparsa ai primi dell’Ottocento, disvela un attento ed equilibrato lavorio poetico. Scandito in fasi, il concetto di muta – inteso come silenzio-metamorfosi – prende forma dal vissuto di Canobbio, originando una precisa geografia dei luoghi e dei sentimenti. Proprio i sentimenti sono il collante che motiva l’andare a capo dell’autrice. Quello amoroso, in particolare, non sembra circoscritto ad una sensorialità esclusivamente materiale. Quest’ultima è difatti presente nel volume, seppur orientata a una più organica totalità delle passioni, le quali vengono intermezzate da un riposo «concesso», eppur costantemente presidiato nell’attesa del prossimo incontro materiale-spirituale.
Ricongiungimento declinato come Voce di suono/Musica/ Tamburo d’ossa/ Spina dorsale/ e che prende vita /fra i gemiti di un armonico complesso/. È a questo punto che la poesia di Canobbio diviene armonia-strumento per interpretare la sublime coppia ossimorica acuti/silenzi vincolati alla persona amata. Canobbio racconta, poi, di una personale “visione caleidoscopica”, cui si lega una sensibilità donata, che indubbiamente inizia chi legge alla condizione di sofferenza percepita e vissuta dalla scrivente. Predisposizione spirituale nella quale dimorano congiuntamente l’empatia e la solitudine. Reciprocamente sorelle, queste schiudono una porta verso il silenzioso martirio e ad una possibile sicurezza della presenza amorosa. È a questo punto che nel volume prendono forma i disparati sentieri del mutismo d’amore. Questo passa dalla pazienza/platonica felicità alla commozione. Evolve poi in confortevole costanza, soprattutto quando si realizza come salvezza reciproca, liquido che non ghiaccia, fuoco che non distrugge.
Gradatamente, le declinazioni della condizione di “muta d’amore”, rispettose di un costante e ricercato equilibrio linguistico, portano il lettore alle ultime sezioni del volume Le Cinque Fiamme, Temporalia. È un sentimento-percorso, quello raccontato da Canobbio, fortemente consolidato nella bellissima immagine della “modella imprigionata” nella sua “posa-muta” descritta da Paolo Ivaldi. Proprio nell’interessante postfazione all’opera emergono i pilastri sui quali si innalza e si sublima il lavoro di ricerca dell’autrice genovese: mutismo, disarmo, disamore/amore, nichilismo, dono integrale. Portatori di un significato che introduce ad un’apparente e sofferta staticità, questi sono invece propulsori – come scrive opportunamente Ivaldi – di una prossima metamorfosi/muta in cui all’autrice, ma anche a chi legge, è possibile intravedere l’occasione ciclica e costante di un prossimo rinnovamento.
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