Rilucenze di Mariangela Ruggiu
Mariangela Ruggiu, poeta sarda che ha già prodotto varie sillogi poetiche con la casa editrice Terra di ulivi, “Il suono del grano”, “Ode alla madre”, “Il velo opaco” e “Ti portavo a volte l’acqua”, ci offre un altro figlio di carta: “Rilucenze”. Un filo invisibile unisce le varie raccolte fino a quest’ultima: la ricerca di un’ elegante semplicità, una sobrietà essenziale che seduce nella sua linearità trasparente. Ritorna sullo sfondo lo scenario naturale dell’isola, un mondo chiuso e luminoso che incanta e offre una voce lirica che sembra venire da altri pianeti. Mariangela Ruggiu ama la letteratura, la poesia e la natura. Traspare questa passione che la porta ad avvicinarsi ad ogni elemento con grande rispetto, sapendo l’antica sacralità di ogni oggetto. L’albero e le foglie, il grano e la mietitura, il fragore delle onde, i frutti, il vento, l’acqua e il mare. La poesia si coniuga con un profondo senso di appartenenza alla dimensione umana. Umano e sacro sono in profonda comunione in ogni testo. La poesia diventa così una forma di meditazione necessaria, strada intima per acquisire una consapevolezza semplice di essere creatura fra le creature.
Vorrei che mi crescessero/foglie verdi tra i capelli/e radici tra le unghie/ vorrei suoni di vento/ nel mio fiato e nuvole/ negli occhi, vorrei acqua/ scrosciante sulla pelle/ e guizzi argentati tra le mani/…/ Tu scrivimi parole tra le foglie/ e uccelli disegnati leggeranno/canteranno un canto nuovo/ e copriranno il rumore degli spari
In questo testo iniziale che apre la raccolta, già si intravede l’esigenza profonda e spirituale di superare i confini dell’io, per percepire l’evoluzione trasformatrice dell’anima.
I versi dell’ultima raccolta “Rilucenze” diventano ancora più essenziali, quasi a voler prendere meno spazio sulla pagina bianca, a farsi minuscoli e periferici come il corollario di un esercizio zen di nascondimento dell’ego, atto quotidiano di una disciplina basata sul principio di un’ essenzialità semplice e rigorosa. I versi sono pervasi ugualmente dal dolore condiviso con gli altri, una sofferenza che si amplifica e si placa nella scrittura, invoca la segnatura dell’amore e della compassione. La poesia offre così un conforto, indica il potere taumaturgico della bellezza, la medicina risanante della fratellanza. Autenticità genuina e un’ accorata semplicità caratterizzano ancora lo stile della poetessa sarda, immersa nella natura isolana ma sensibile alle sofferenze universali degli ultimi e degli oppressi.
Tutte le cose indefinite/senza un nome proprio/aspettano di essere chiamate/per compatire/mentre esistono anche senza il nome/ alberi di ogni specie, ed erbe/ e insetti, ed anche le stelle del cielo/ Io no, io aspetto che tu mi chiami/ed inizio ad essere/ tra le sillabe del nome che mi dici
In poche strofe, Mariangela Ruggiu sintetizza il principio che rimanda alla mistica del quotidiano, alla regola del non attaccamento alle cose e al proprio nome, al superamento dell’egotismo attraverso la compassione, cardini essenziali su cui si fonda la meditazione trascendentale. Compatire, cum patire, sentire la stessa sofferenza con gli altri, aspetto fondativo di ogni relazione: l’empatia con gli altri e con il mondo, travalicando i confini ristretti dell’io. Attraverso un’atmosfera quasi dickinsoniana, viene recuperato nella brevità del verso quell’aspirazione spirituale assolutamente fuori da ogni magistralità ecclesiastica e verticistica. Il divino è nelle cose, segue una misteriosa orizzontalità trasversale. La poesia viene ispirata dal sentirsi parte di un tutto, fuori da ogni schema prefigurato, da ogni miope antropocentrismo. Si può leggere sotto traccia un panismo antico, che richiama lo stato veggente di Walt Withman e la consapevolezza contemplativa del Dio delle piccole cose di Arundhati Roy.
Mettimi la tua mano sulla fronte/ contienimi/ e quando mi abbracci stringimi/ sento il mio corpo svanire/ e non ho oro non ho oro/ per tenerlo insieme/ Penso alla rosa/ quando sfiorisce/ alla bellezza che contiene il seme
La conversazione poetica indica spesso un tu immaginario, oggetto e soggetto di un amore universale, interlocutore invisibile di uno slancio che accomuna e non restringe ogni umano sentire.
Il passaggio dall’io al noi avviene attraverso la genealogia femminile, che viene citata attraverso il martirio della conoscenza. Il ricordo di Ipazia, scienziata matematica astronoma e filosofa dell’antica Grecia e il sacrificio delle donne esperte erboriste, considerate streghe destinate a bruciare vive sui roghi durante l’epoca medievale, vengono nominati come elementi parentali di una famiglia di appartenenza. L’ ispirazione poetica viene attraversata dal manifesto sotterraneo e intangibile che esalta la coralità poetica delle donne e l’ attenzione per la scrittura come pretesto, per realizzare la cooperazione tra anime affini tese verso una pacificazione interiore e un superamento di inutili e conflittuali competizioni intellettuali ed erudite.
Vengo dal tempo delle streghe/ dai roghi della paura/ quando sollevare il capo era peccato/e il sangue solo espiazione/ il tempo ha eredità dei corpi smembrati/ con i cocci di vetro, per il peccato di conoscere/ più del sesso fa paura la conoscenza/ in ogni tempo versano il buio negli occhi delle bambine/ ma noi veniamo alla luce/ la intrecciamo nell’ordito delle parole/ la passiamo di mano in mano/ nei canti sottovoce o nei libri sottratti al rogo/ è luce che scoppia in prima fila nella guerra/ dietro il sorriso e il canto/ mano nella mano con la morte
Profonda ricognizione mnemonica degli affetti e dei vissuti, senza nessun compiacimento letterario esibito. Testi brevi e composti, una spaziatura calibrata tra i versi, per scandire bene i tempi della lettura, parole domestiche e delicate. Il principio della comprensibilità diventa regola rispettata in modo esemplare per far arrivare un messaggio senza inquietare con citazioni colte e figure retoriche. Introspezione e saggia meditazione, senza mai abbandonarsi allo sconforto e alla disperazione. Mariangela Ruggiu ci avvicina così alla filosofia orientale, alla concezione olistica della dimensione umana e naturale che supera ogni egocentrismo narcisista, ogni atteggiamento autocentrato e solipsistico, per approdare alla percezione profonda di un equilibrio tra l’Uno e il Tutto, tra le creature e l’universo.
La terminologia rurale e vegetale, i fenomeni della natura e all’avvicendarsi delle stagioni diventano i sentieri simbolici di questa ricerca interiore, la nomenclatura di una saggezza senza tempo che ha radici antiche in ogni persona capace di mettersi in ascolto del respiro del mondo.
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