Roghi senza fiamma
In queste pagine di Rinaldo Caddeo, nitide come un'anfora illuminata dal sole, non dimorano il terrore o la consolazione, ma un indefinito smarrimento al cospetto di un ospite non molto gradito, l'io, che sembra sorgere dall'atmosfera onirica e iperraziocinante di certe narrazioni kafkiane.
È un mondo apparentemente incolore, ordinario, perfino banale, in cui però si annida qualcosa di inaudito: la potenza pervasiva dell'Inaccessibile, capace di srotolare tutt'intorno a sé una nebbia di parole nuove, una cascata di approssimazioni asintotiche al decisivo quid che nessuno potrà mai cogliere, comprendere e valutare appieno.
I nomi stessi dei protagonisti – esclusi i personaggi delle sezioni Scuola e La storia il mito – alludono all'assoluta reversibilità del loro essere e delle loro vicende appena abbozzate, flatus vocis privi di carne e sangue, puri (o impuri) roghi senza fiamma, come l'incendio del testo eponimo: «Anina», «Abba», «Otto», «Daiad», «Ititi», «Kolok», «Volov», «Golog». Tutti reversibili, come sono per definizione i palindromi.
Né mancano, in questi brevi e brevissimi apologhi, l'amore per il paradosso e il gusto direi quasi acrobatico nell'impiego delle elencazioni e delle simmetrie, in cui il nostro autore eccelle. Ogni suo racconto è come un cerchio che sta per chiudersi ma non si chiude mai del tutto. Frammenti di oscure verità vengono a sedersi, tranquilli e sornioni, di fronte al lettore. E il loro sguardo non è certo rassicurante.
Nella nota critica in calce al volume, Mauro Germani ha rilevato con invidiabile icasticità come la narrativa di Caddeo risponda alle sollecitazioni dell'«Altrove che è in noi», poiché da esso proviene. Forse, tuttavia, l'essenza enigmatica e sottilmente angosciosa che contraddistingue L'incendio ammette anche l'affermazione opposta: vale a dire che a nostra volta, personaggi e lettori inclusi, abitiamo l'Altrove senza averne il minimo sospetto.
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