Tutto è vivo, ovvero l'estasi del quotidiano
Se dovessi definire con una parola la poetica di Rubina Valli, questa non potrebbe essere che “esperienza”. Nell’ultima raccolta dell’autrice mantovana classe 1981 (Tutto è vivo – Terra d’ulivi edizioni, 2023), ogni verso è un preciso richiamo alla memoria emotiva, all’incontro cioè con quell’altrove che, per quanto distante temporalmente, continua a governare l’estasi del quotidiano, a evocarla perfino. Tutto è ricordo, dunque, l’osservazione del reale ci appartiene come una tensione rivolta al passato e il divenire, inteso come proiezione verso un possibile futuro, perde di senso sovrastato da questa tensione tra il trascorso e l’adesso, tra la materia onirica e la genesi della parola.
Esperienza, pertanto, non più intesa come possesso del concreto ma come sogno esistenziale, come conferma di essere abitati da ciò che ci circonda, laddove vivere è il complesso meccanismo di una totalità che non può più assecondare la sequenza kantiana di causa ed effetto ma deve spingersi oltre, squarciare il velo di maya e raggiungere l’autenticità del mondo.
Edifici abbandonati, luoghi, natura; ogni cosa diventa scenario di una totalità alla quale aggrapparsi perché l’immagine possa convergere nel sentire, qualcosa d’incomunicabile attraverso lo schema rigido dell’inferenza narrativa che scava la causa per trarre conclusioni e suscitare emozioni. Così, la precisione nella scelta dei termini e lo sguardo che tenta di catturare una sostanza universale oltre i limiti dell’ambiente, divengono il cardine su cui far ruotare qualcosa di altro, qualcosa di altrimenti indicibile. La poesia ‒ nella sua accezione più profonda ‒ non compie un’analisi ontologica volta all’informazione ma come l’essere si dà e non esplicita attraverso processi di entificazione; lo scopo, quindi, è la sua riduzione all’essenziale, al nucleo che contiene l’attimo dell’esistenza in cui tutto si compie, il momento preciso nel quale l’uomo ritrova la propria peculiarità distinguente andando oltre la riflessione ma soprattutto, che supera la rappresentazione teatrale dell’esistenza stessa.
Nella casa abbandonata i ricordi
Incurvano le spalle
I suoni sono vasti tra le stanze vuote
Macchie di silenzio ruvido
Scalfiscono la pelle
Il tempo scorre come un taglio
Tra il passato estinto e
Il presente violato, smorto.
L’esattezza dei versi di Rubina Valli non cede mai (se non in rarissimi casi e perlopiù con trattini medi privi di formalismo), al bisogno di punteggiatura. Volendo azzardare un paragone si ha la sensazione di trovarsi in ambito “ungarettiano”, laddove a dare il ritmo è l’accapo il quale garantisce la dislocazione di un sentire frammentato nel corpus del componimento e nella sua organicità. Tuttavia, la sintesi non è mai una caduta verso il basso bensì una ricerca mirata alla conservazione dell’attimo, all’ibernazione del momento estatico che attraversa il (la) poeta senza lasciare traccia se non quel senso d’irrisolto, ed è per questo che l’inserimento delle fotografie (a opera della stessa autrice) in questo caso acquista una valenza che altrimenti risulterebbe pleonastica, un riempitivo tecnicamente concepito al fine di ottenere l’effetto causante.
Ogni frammento di questa raccolta è custodito: che si tratti di un verso o di un’immagine imprigionata dall’occhio dell’artista, l’opera della Valli asseconda lo schema insito nella natura, la sua granularità, il suo essere discontinuo al punto che per coglierne appieno la profondità non serve affidarsi all’enjambement ma è sufficiente seguirne la cadenza ritmata e mai scontata, mai didascalica, mai casuale. Solo così è possibile apprezzare fino in fondo la forza espressiva di un’opera viva così come recita il titolo. Quel tutto che “vive” non ha niente di biologico – non solo almeno – poiché a vivere è la creatura che asseconda lo sguardo e codifica l’immagine in sensazioni: in pulsioni orientate all’oggetto visto adesso come tramite tra l’uomo, e la sua parte spirituale.
Sei uno scrigno chiuso
La chiave è caduta in fondo a un pozzo
La memoria è un prigioniero inerme
Le parole - guardie mute –
Neve senza peso nel vento.
Sei ancora viva.
Non ho paura del tuo invecchiare
Ma dell’abbandono che ti attraversa lo sguardo
Della primavera vivida di gazze e fiori
Del roveto di ricordi nella tua casa vuota.
Oggi, che in molti hanno bisogno di una narrazione semplificata in grado di favorire un’ermeneutica preconfezionata, la poesia soffre, annaspa nella tentazione della prosa. Perfino il poeta più talentuoso pecca, e se non sono i suoi versi a farlo (cosa impossibile quando siamo di fronte alla vera poesia), è la sua immagine sdoganata che toglie merito all’opera. Eppure, qualcosa nel mercato resiste: vince il tramite contemporaneo dell’autocelebrazione e supera la narrazione del sé. Questo mi pare essere l’intento di Tutto è vivo che, in modo onesto e fatto salvo per la presenza di alcune (poche a dire il vero) note a piè di pagina non apprezzata dal sottoscritto in quanto sostenitore del candore della pagina, si limita a dire la parola perché possa emergere qualcosa di mio, tuo, suo… qualcosa di nostro insomma.
Infine, luce come intento di dar voce a quelle immagini, a quei dettagli che vanno a ripescare nel subconscio e nell’inconfessabile le nostre vite, i nostri dolori e le speranze che ci accomunano, senza che alcun carico vi gravi sopra poiché le parole restano lievi, premurose come una carezza di conforto e mai come un’imposizione del sé. Luce che si dipana dai versi e dalle immagini dell’autrice per illuminare i particolari di una sensibilità troppo spesso dimenticata, di questa acuta rimembranza che tanto ricorda i versi di una nota poesia di Fernando Pessoa: «Noi non ci realizziamo mai. Siamo due abissi: un pozzo che fissa il cielo» i quali sempre ritornano quando siamo al cospetto di una poesia onesta, come a volerci ricordare che questo siamo: creature attraversate di tanto in tanto dall’estasi, prima che i sensi addomesticati ci riconducano all’inganno.
Non conosco pace
Il mio pensiero sanguina ombre
Le parole si spalancano come un fiume
In fondo al pozzo della mente
Scivolo sul greto del tempo
La terra non tiene
E vorrei solo una tana
Di piccola bestia selvatica
Larga appena per il respiro e i corpi amati
Cuore caldo nido serrato a guscio
Vorrei conoscere la pace delle piccole creature
La pace vergine che teme solo ciò che sta fuori.
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