Remigio
Sulla spiaggia, piantato nella sabbia, c’era una volta un remo; attendeva che il mare piano piano, lo disincagliasse e lo portasse lontano. Forse perché con il tempo era diventato tutt’uno con la mano che lo guidava nell’acqua e con l’anima dei marinai, quel legno aveva cominciato a sentire le sue emozioni proprio come uno di noi. Guardava il mare con nostalgia e timore, ascoltava la voce di ogni onda, ma soprattutto scrutava di lontano l’orizzonte alla ricerca della sua barca. Gli si avvicinò un grosso granchio che gli chiese: puoi andare un po’ più in là a prendere la tintarella ?Lasciando da parte i suoi pensieri il remo, gentile, provò a spostarsi, poi rise e disse: dovrei essere magico come mio cugino Remin, sai lui è stato costruito con legno speciale, lo stesso che usa Stradivari per i suoi violini, lui saprebbe spostarsi sulla sabbia, io no, sono Remigio e Remigio, non può muoversi, aspetta la sua barca. Dai e dai, fu il mare a farlo muovere, la risacca scavò sotto il suo piede, e Remigio cadde, senza un gemito, guardando gli scanni usati per tirare a secco le barche, le nasse messe lì per essere riparate, le pietre pomici. Nell’immergersi ripensò alle braccia dei rematori, allo scuotersi dell’onda, poi più nulla. Si risvegliò nell’erba pungente dei cespugli, lontano dalla riva e dalla sua spiaggia. Ne farò un bastone, disse il vecchio che l’aveva trovato, lo portò in una capanna insieme ai suoi imbrogli e lì lo lasciò. Quando chiuse la porta Remigio, cominciò a piangere, non voglio diventare un bastone, io sono un remo carico di esperienza, io voglio condurre una barca. Lì sul tavolo, solo una vecchia coppa ad ascoltarlo, che all’improvviso cominciò a riempirsi di vino e quando venne il vecchio nella capanna, era di buon umore, cominciò a bere, prese con sé il remo e lo portò all’osteria del pescatore. Lo terremo per bellezza, disse l’oste, e lo appese alla parete vicino a un tavolo, e sul tavolo c’erano delle carte da gioco; Remigio parlava, parlava del mare e delle sue avventure, finché un giorno le carte stufe di ascoltarlo, lo zittirono: <adesso fai l’esame, disse con un broncio il tre di bastoni, non vogliamo belle parvenze qui, ma solo cose utili. Il remo tacque, poi con impeto rispose: io non sono inutile, alimento il ricordo del mare, ma se voglio, so anche picchiare, facci vedere, dissero le carte e subito, scoppiò la rissa. I marinai cominciarono a picchiarsi , uno di loro prese il remo dalla parete e lo usò come un bastone, faccio da me, disse Remigio, sfuggì dalle mani del marinaio e scappò dalla finestra, sono nato per remare e non per menar botte, disse, dopo averle suonate al suo ospite. Va bene, te ne vai san remo, ma ricordati che bisogna accettare i cambiamenti, gli gridarono di lontano le carte. Remigio fuggì nel bosco e qui vide dei ladroni che si erano nascosti per tendere delle imboscate al malcapitato che passava di là. Non sopporto le ingiustizie, disse Remigio, e cominciò a roteare nell’aria e di nuovo ci furono botte da orbi. Aiuto, ci sono gli spiriti, gridarono i briganti, mentre fuggivano all’impazzata, poi fu la volta della volpe e di altri animali prepotenti, in breve Remigio, divenne il difensore di tutti i coniglietti e gli uccellini caduti dal nido nel bosco. Così pur non volendo si era trasformato in un bastone, sia pure, incantato e giustiziere, era diventato l’eroe del bosco. La nostalgia però, non lo lasciava, il povero remo pensava alle sue origini, si diceva che non era tagliato per menar le botte e pian piano, uscì dal bosco e si avvicinò al fiume. Un cavaliere arrogante e minaccioso si era messo di guardia al ponticello e impediva alla gente di attraversare il fiume, di nuovo Remigio vide l’ingiustizia e si avventò sull’uomo armato, ma questi con la spada lo recise in due parti, Remigio finì nell’acqua e lentamente il fiume lo trascinò nel mare. Sulla battigia, tra il mormorare delle onde, Remigio vide il cielo sopra di lui, e nel cielo la luna, tagliata e spicchio la luna gli sembrò proprio una barca, e questa gli parlò: Remigio, disse, Io sono la falce d’argento e traghetto sulle stelle gli umili di cuore, vuoi farmi da remo? Remigio pianse per la commozione, ma rispose: io non sono più un remo, e non sono neanche umile. Non importa, disse, la luna, voglio farti un dono, e lo portò su tra le nuvole. Le nuvole sono il laboratorio del cielo, esse possono assumere varie forme, che il vento trasforma. E così che quella notte nacque la costellazione del remo.
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