Robert Musil e la Grande Guerra
Nel 1914 Robert Musil ha 33 anni e si trova a Berlino, dove ha intrapreso un’incerta carriera da autore e pubblicista. A fine agosto lui e la moglie Martha sono appena rientrati dalle vacanze estive sull’isola di Sylt. La guerra e quello che sta accadendo nel paese lo affascinano e lo spaventano al tempo stesso, ma alla lunga anche la sua intelligenza e la sua indole fredda e distaccata cedono all’impeto dell’onda emotiva legata agli eventi: “La guerra mi venne addosso come una malattia, o meglio come la febbre che la accompagna.”
Arruolatosi, trascorre i primi mesi di stanza a Gomagoi, in Sudtirolo. A dicembre non ha ancora preso parte alla battaglia, anzi, non ha ancora sentito sparare un colpo di fucile. L’evento che più lo ha turbato è stato l’annuncio inatteso e indesiderato che la moglie Martha, di sette anni più vecchia di lui, è rimasta incinta dopo un loro incontro in licenza. Nella sua vita non c’è spazio per i figli e l’ha caldamente invitata ad abortire, cosa che però non sarà necessaria, poiché Martha perderà il bambino prima che i due giungano a una vera e propria crisi.
Per il resto nulla. Il servizio nel freddo e umido labirinto di gallerie e casematte del forte si rivela monotono e pesante e Musil scopre ben presto di non essere portato per il comando. E’ individualista e distaccato; critico, ostinato e privo di senso pratico. La sua natura fredda viene facilmente scambiata per arroganza. Oltretutto è circondato da persone che non condividono i suoi stessi interessi. Mentre dal fronte giungono solo notizie preoccupanti, lui diventa sempre più indifferente e apatico, non scrive quasi niente. Confida a un’amica: “Gironzolo nella neve, gli sci mi sono praticamente cresciuti ai piedi e sembra avverarsi anche la mia profezia che una così grande distanza dal mondo – perché inizio a notare che ciò coincide con la mia idea di felicità – non possa durare più a lungo”.
Con l’estate viene trasferito sull’altopiano di Asiago, a Palai, a qualche decina di chilometri dal fronte. E’ stato rimosso dall’incarico di comandante di compagnia: i suoi superiori lo ritenevano passivo, negligente e scontroso. Ma lui sembra averla presa piuttosto bene: adesso ha più tempo per se stesso. Si fa un’amante: una contadina nubile della sua età, di nome Magdalena Lenzi, che però lui chiama poco rispettosamente la Grigia, in onore della sua vacca, e sarà protagonista dell’omonima novella. E’ convinto di amare sua moglie, l’elevata, la nobile. Il suo amore per lei assume una connotazione estatica, quasi religiosa, cionondimeno gli consente di liberare le sue “basse voglie” con un’altra donna.
Il primo “battesimo del fuoco” arriva a Tenna, in Valsugana, nell’autunno del 1915. Si trova all’esterno del forte quando vede qualcosa in cielo: “Un aeroplano scivolava stupendo nell’aria con le ali tese. Il lato inferiore della loro superficie era dipinto con i colori italiani rosso-bianco-verde e il sole vi passava attraverso come dalle vetrate di una chiesa. ‘Ammirare questo spettacolo – pensai – ha poco a che fare con lo spirito; ma com’è bello!’ Nello stesso istante, mentre estasiato guardavo fissamente in alto, mi balenò il pensiero che noi lì, un gruppo di soldati gli uni accanto agli altri come spettatori alle corse, dovevamo offrire all’uomo dell’aeroplano un attraente bersaglio. L’attimo successivo sentii un suono lieve. Ma naturalmente può anche essere stato il contrario. ‘Ha lanciato una freccia – pensai – [una di quelle frecce volanti che nell’epoca della armi automatiche sembrano arcaiche in modo quasi commovente, ma che, pur non essendo molto più grosse di una matita, trapassano un uomo dalla testa alla pianta dei piedi]’. Un rumore come di vento che fischia o che stormisce. Che diventa sempre più forte. Il tempo ti pare assai lungo. D’improvviso s’infilò nella terra immediatamente accanto a me. Come se il rumore venisse inghiottito. Non ricordo nulla di uno spostamento d’aria. Non ricordo nulla d’una espansione improvvisa e vicina, Però dev’essere stato così poiché istintivamente trassi il mio busto di lato e, tenendo i piedi fermi, feci un inchino abbastanza profondo. Ma nessuna traccia di spavento, nemmeno di quello puramente nervoso come il batticuore, che solitamente viene con uno choc improvviso, anche senza paura. – Poi sensazione assai piacevole. Soddisfazione di aver avuto questa esperienza. Quasi orgoglio; accolto in una comunità, battesimo.”
A novembre viene trasferito verso il temutissimo, insanguinato fronte dell’Isonzo. Da dieci giorni è in corso un’altra grande offensiva italiana, la quarta dell’anno. Come nelle precedenti l’esercito italiano ha messo in campo tutte le risorse di cui dispone per provare a sfondare la linea austroungarica sul fiume. La battaglia per conquistare Gorizia si è trasformata in una cieca guerra di logoramento che ingoia enormi quantità di soldati e materiali.
Musil trascrive le impressioni di quel caotico imbarco: “Nei vagoni c’è un rumore da serraglio. Gente normalmente per bene si comporta come bestie. Le buone parole e le minacce non servono a niente. Facciamo chiudere le porte scorrevoli. Dall’interno vi tambureggiano contro con i pugni. Dietro qualche porta c’è chi fa resistenza di nascosto. Il tenente Von Hoffingott, che esegue la chiusura, grida Via le mani e allo stesso tempo colpisce con il coltello da caccia le mani nascoste… Questo movimento del coltello da caccia era indescrivibile. Come una tensione che si scarica in un lampo; – ma senza scintillii, balenii o cose del genere – qualcosa di bianco, di decisivo…”
Nel suo lento viaggio verso est il treno passa per Bolzano. Martha si trova lì in quel momento, ma Robert non può fare nulla per incontrarla. A Gorizia è accolto da uno scenario infernale: “Al momento della discesa tutt’intorno fuoco di cannoni – L’orizzonte rimbomba – Lunghi gruppi di feriti sui carri e a piedi. Fasciature bianche con chiazze rosse. Un vortice si impadronisce di te, un’eccitazione che ti assorbe”.
Nelle tre settimane successive il suo battaglione fu impegnato sull’Isonzo. Musil ne uscì indenne, anche grazie al fatto di ricoprire il ruolo di aiuto del comandante. Ma i cannoneggiamenti italiani lo provarono a tal punto che cercò in tutti i modi di andar via da lì. Grazie ai suoi contatti ottenne un trasferimento nelle retrovie, dove fu ingaggiato nell’arduo compito di costruire e assicurare le comunicazioni con la Valsugana per l’inverno.
Sopravvive a colpi di mortaio e valanghe, ma incappa in una grave infezione alla bocca e alla gola; in poco tempo perde molto peso, si indebolisce e cade in depressione. Viene messo su un treno con la febbre altissima, destinazione: ospedale di Insbruck. In seguito all’ulteriore aggravarsi della sua situazione viene internato a Praga su un treno merci che trasporta solo feriti.
“Un uomo con una grave ferita da fuoco ai polmoni e uno cui è stata fracassata una gamba all’articolazione dell’anca intrecciano dialoghi eristici. Uno è tirolese, l’altro viennese. Il viennese afferma che i tirolesi in guerra non valgono niente, il tirolese si scalda. Il viennese con la ferita ai polmoni lo becca in continuazione. Spesso deve ridere tutto il vagone. Così le piccole cose distraggono perfino dalla morte. All’arrivo il viennese è morto.”
Passano settimane, mesi. Musil si riprende e guarisce. Nell’estate del 1916 si aggira per le stanze di un albergo di Bolzano. Ancora una volta, grazie ai suoi contatti, ha ottenuto un incarico sicuro, lontano dal fronte, per di più adatto alle sue inclinazioni naturali: è entrato a far parte della redazione della rivista militare Soldaten-Zeitung. A fronte della sempre più grande stanchezza e disillusione per il conflitto, lo stato investe in opere di convincimento e propaganda. Il 26 luglio esce il suo primo articolo in forma anonima, dai toni epici e commoventi. Ma nella comfort zone della sua scrivania Musil non ha ritrovato l’iniziale trasporto dell’agosto 1914. Tutt’altro: in tutto quel tempo ha avuto modo di toccare con mano l’ottusa e insensata burocrazia che guida gli sforzi bellici dell’Austria-Ungheria, ribattezzata kakania nelle sue lucide e caricaturali narrazioni.
Passano così altri due anni. Nel novembre del 1918 la guerra per Robert Musil si conclude senza particolari clamori o sofferenze, a Vienna, all’ufficio propaganda, dove continua a lavorare per meri motivi economici, malgrado l’esercito in cui prestava servizio sia stato smobilitato e abbia iniziato a disgregarsi come l’intero impero caduto. Indossa abiti civili e siede in una stanza simile a un corridoio, arredata con file di tavoli, dietro una scrivania oblunga che pare rimpicciolirlo. Ha l’aria dimessa, anche se in realtà, volendo ben vedere, c’è una grande novità: ha ripreso a lavorare a quello che si rivelerà uno dei più singolari progetti letterari del ventesimo secolo, L’uomo senza qualità, il suo celebre romanzo. Quando un amico gli chiede cosa diavolo ci faccia in quell’ufficio, adesso che la guerra è finita, lui lo fissa per un istante e poi si limita a rispondere: – Dissolvo.
Fonte: La bellezza e l'orrore, Peter Englund, Einaudi, 2008; Diari 1899-1941, Robert Musil, Einaudi, 1980; Funerale in un villaggio sloveno, in Pagine postume pubblicate in vita, Robert Musil, Einaudi, 1970; Racconto di un soldato, Strani patrioti, Testamento, in La guerra parallela, Robert Musil, Reverdito, 1987.
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