Silvia Rosa "Tutta la terra che ci resta"
La prefazione di Elio Grasso è imprescindibile. Procede dall'odierno scenario inumano dove, da Cupertino a Shenzen, è il trionfo dell'algoritmo e del bit, con il Novecento lontanissimo e i suoi arnesi linguistici che non ci possono più essere d'aiuto. Invita quindi ad affrontare nella giusta maniera questa dimensione dell'esistenza: "essere fedeli alla visione, e individuare subito il varco" per ritornare umani. Silvia Rosa ne ha piena consapevolezza, la sua lingua si è attrezzata per smascherare l'inumanità pervasiva che ci nasconde oggi al nostro stesso corpo, che s'impadronisce perfino della nostra morte.
Tutta la terra che ci resta è un libro importante non solo per lessico e novità di linguaggio ma anche per il punto di vista in cui ci pone (e si pone) l'autrice: fuori dall'io, dentro la quotidiana estraneità del mondo. Riconosceremo allora i nostri passi falsi, il plumbeo che ci schianta, quell'asettica anestesia cromatica che ci circonda. Nella sezione introduttiva - Prima della pioggia - scopriremo che Manca profondità a questo andare, / uno sguardo d'insieme, il talento / di sopravvivere alle lesioni del buio. La poesia si muove fra rovine di manufatti, traiettorie incerte e luoghi invisibili, che lasciano esposta la nudità della perdita (parente non troppo lontana della zanzottiana perdita inesplicabile). Ed è una poesia interrogante, sostanzialmente impersonale, che pone domande senza possibilità di risposta. La seconda sezione è Città: la poesia inzia a riferire incerte visioni, ricordi dubbi, incubi. Tutto sembra portare su di sé le tracce della serialità televisiva o di quella informatica impregnandocene mente e corpo per liberarci dall'agonia della crepa, dalla frattura/ dei bordi, dai limiti della memoria.
Un tono più vivo è il titolo della terza sezione, dove la nostra identità è minata da quel che avviene dentro e fuori di noi nel dominio dell'high tech, dei pixel e dei monitor, un mondo in cui lacerti di discorsi / viaggiano tra filari di cavi. La vita del secolo trascorso - un epoca in cui aveva ancora senso toccarsi - è evocata, ramente e per caso, da qualche vecchio cimelio. La poesia procede ormai per ipotesi e supposizioni, tra azzardo e rassegnazione: per lo più l'attività onirica è regolata ormai / da una matrice, un Qr code siderale...Sfrecciamo lungo tangenziali di anni, con la postura / ridotta a un segmento. Ma dove conducono le deviazioni / improvvise? Quale meta irrisolta ci attende oltre / il moto circolare e l'inesorabilità del presente? La successiva sezione, In caso di necessità rompere il vetro, ci chiede di passare all'azione, di uscire dal campo recettivo, seguire / le coordinate che conducono alla curva / dello stupore, dopo una rotazione di 360°/ favorire l'orogenesi della spina dorsale / diritta, per meglio fissare il teorema della creazione, / allenare il terzo occhio, la ghiandola pineale, / il sesto senso, darsi alla melatonina in giuste/ dosi, alleggerire le pupille vedette dal vizio delle proiezioni, / trafugare la frenesia degli amanti...come ogni poesia che ambisca, se non a cambiare il mondo, almeno a scuotere le coscienze. C'è insomma ancora un varco, l'uscita d'emergenza.
Seguono le dislocazioni e le istruzioni dei testi raccolti sotto il titolo Ma dove trovare riparo, quindi le poesie dell'ultima sezione, che potremmo definire neo-apocalittica: Dove finisce la terra (e da queste sezioni finali abbiamo scelto i due testi riportati per esteso). Silvia Rosa ha dunque fatto una scelta artistica e civile, ricordandoci che il poeta deve dar conto del mondo, avvertirci di pericoli e vie di fuga, ma ci offre anche una lezione di semantica e di stile.
*
Non eravamo pronti al dinamismo borderline
delle stagioni, a curvare gli sguardi
in una torsione, avvitandoli, fino a divaricare
il cristallino in congetture di salvazione.
Uno switch ha diretto le nostre giornate
in agglomerati di lontananze, un inverno
genuflesso alle abitudini e poi la collisione,
il cielo bisestile, il triangolo equilatero
della paura, ogni passaggio interrotto.
È stato l’avamposto delle gemme, in meno
di un nanosecondo, di taglio, a suggerire che
nonostante il distacco tra cornea e presente,
eravamo arrivati a una piazzola di sosta,
10/10 e 59 diottrie dopo, presi a guardare
di nuovo all’intorno le foglie emergenti,
tra un’antenna di fiori e una biocella
di compostaggio, il riavvio del sistema
trasmutato casualmente in una rinascita
*
Non è chiaro se dopo nebbie fossili
e giorni di Nigredo, se dopo tutti
gli abbandoni in cui ci siamo persi,
arriveremo alla zolla dell’aurora
o al margine radioso d’un suburbio
con blocchi di edifici in successione,
una schiera di giganti cenerini
che roteano l’occhio dei balconi
verso l’antenna 5G puntata a Est
L’impasto di paure nello stomaco
e gli sguardi strabici, un’infinita nausea
a orientare i nostri passi ondivaghi:
sapessimo trovare una stazione
di servizio, almeno, dove mettere
a sedere ciò che resta del presente,
dargli un alibi per colazione,
mentre cerchiamo di inviare
a chi è rimasto indietro le coordinate
esatte della nostra posizione
(siamo a 74 centimetri circa
da qualsiasi morte capiti in sorte)
Silvia Rosa nasce a Torino, dove vive e insegna. Suoi testi poetici e in prosa sono presenti in diversi volumi antologici, sono apparsi in riviste, siti e blog letterari e sono stati tradotti in spagnolo, serbo, romeno e turco. Tra le sue pubblicazioni: l’antologia fotopoetica Maternità marina (Terra d’ulivi 2020), di cui è curatrice e autrice delle foto; le raccolte poetiche Tempo di riserva (Giuliano Ladolfi Editore 2018), Genealogia imperfetta (La Vita Felice 2014), SoloMinuscolaScrittura (La vita Felice 2012), Di sole voci (LietoColle Editore 2010 ‒ II ediz. 2012); il saggio di storia contemporanea Italiane d’Argentina. Storia e memorie di un secolo d’emigrazione al femminile (1860-1960) (Ananke Edizioni 2013); il libro di racconti Del suo essere un corpo (Montedit Edizioni 2010). È vicedirettrice del lit-blog “Poesia del nostro tempo”, redattrice della testata online “NiedernGasse”, collabora con il blog di letteratura “Margutte”, con la rivista «Argo» e con il quotidiano «il manifesto». È tra le ideatrici di “Medicamenta – lingua di donna e altre scritture”, progetto di Poetry Therapy che propone una serie di letture, eventi e laboratori rivolti a donne italiane e straniere, lavorando in una prospettiva 76 psicopedagogica e di genere con le loro narrazioni e le loro storie di vita. Ha intervistato e tradotto alcuni autori argentini in Italia Argentina ida y vuelta: incontri poetici (edizioni Versante Ripido e La Recherche 2017).
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