Storia dell'arte e della cultura nella civiltà campana antica e moderna
Parlare della Storia dell’arte e della cultura nella civiltà campana antica e moderna, di storia dell’arte in Campania e a Napoli in particolare è come aprire uno scrigno e scoprire tesori nascosti di rara bellezza e potenza artistica, mal conosciuti ai più o con una percezione interpretativa che spesso urta contro i canoni più avanzati della critica d’arte stessa, di per se riferita a criteri di scuola diversi, non omogenei o come dire a volte davvero incomprensibile al senno e al gusto, all’estetica del gusto in particolare. Ricordo che quando ero studente di perfezionamento di storia dell’arte, filosofia e della civiltà antica, si pose già allora al mio intendimento come mai alcuni testi non venissero presi nella giusta considerazione. Era allora un grande conflitto tra storicismo crociano, storicismo marxista, una scuola di critica che si riferiva al gruppo di Warburg ed un’altra ancora allo psicologismo di Ernst Gombrich, e un altro ancora al fenomenologismo di scuola Husserliana. A grandi linee ovvio tutto questo. Conflitto che si faceva davvero duro intorno ad una questione non banale, l’idealismo della scuola di studi rinascimentali legati a Eugenio Garin e l’altra legata a Longhi, più vicino ad una lettura storica dell’arte e dei suoi fenomeni, apparsa chiara nel suo studio giovanile ‘Breve ma veridica storia della pittura italiana, 1914, brevi appunti di storia dell’arte,già significativi del suo orientamento storicista, legato cioè alla storia d’Italia e d’Europa, ai testi scritti e all’esame puntuale delle opere d’arte. Longhi come Toesca non si occuparono specificamente della storia della arte e della civiltà culturale campana, ma in compenso lo fecero e molto bene Leone de Castris, Ferdinando Bologna e Paola Santucci per la storia dell’arte, il Croce, Giuseppe Galasso magnificamente per la storia medioevale e moderna,Cesare de Seta per la storia dell’Architettura, Giovanni Pugliese Carratelli, il Maddoli e il Lepore per la storia della civiltà campana e dei culti antichi, Alessandro Fontana allievo di M.Foucault per il quadro della scenografia e il contesto storico delle città italiane e campane in particolare. Con il loro contributo il quadro teoretico e di ricognizione della civiltà, della storia e della storia dell’arte in Campania e a Napoli uscì dalle nebbie dell’agnosticismo e in alcuni casi dell’improvvisazione tematica e di genere e fu inserito prepotentemente nella storia d’Italia e d’Europa.Essendo stato io allievo di Ferdinando Bologna, longhiano ultraconvinto, ho poi avuto modo di aggiungervi tutta la contestualizzazione storico evenemenziale della scuola estetica e storico linguistica di Parigi. Dunque la prospettiva da cui muoveranno questi miei articoli dedicati alla storia dell’arte campana, napoletana e della sua civiltà linguistica partirà anche da una visione largamente in uso nella migliore tradizione parigina,in particolare alla lettura paradigmatica di Roman Jakobson e Julia Kristeva, Fernand Braudel e non ultima la topologia linguistica ed estetica di Renè Thom e la simmetria e le asimmetrie logiche delle strutture semantiche di Jury Lotman.Un percorso lineare si nella contestualizzazione storica ma non ritualmente accademica nella scansione degli stili artistici. Come primo approccio di questa nuova dimensione della interpretazione dei contesti e dei contenuti della civiltà artistica napoletana, farò un primo esempio di un fatto notevole, molto notevole, che riguarda il lascito davvero unico della scuola pittorica senese e toscana attraverso marcatori linguistici unici attinenti allo sviluppo culturale degli Angioini a Napoli, gli Anjou, che diedero una impronta stilistica provenzale e borgognona alla loro politica di dominio culturale nel Regno di Napoli e di Sicilia.
1) Apporti linguistici tosco umbro in territorio campano.I ‘senesi’
Il gotico emiliano e toscano, nelle architetture, nella scultura,nella rappresentazione figurale, nella scrittura poetica e sapienziale(ricordiamo solo di passaggio e in generica sintesi, i duomi di Parma e Modena, gli Andrea e Nicola Pisano,Benedetto Antelami, Giotto e Cimabue, la Commedia dantesca,la lirica drammatica di Jacopone e il misticismo profetico di Gioacchino da Fiore), è ormai ben noto e descritto con estrema cura. Questa esperienza a noi, nel costituito regno normanno e poi svevo del Sud, nella capitale angioina del regno, Napoli, ha estreme referenze e notazioni in tutto l’impianto urbanistico, architettonico e figurale. San Giovanni a Carbonara, Santa Chiara, il Maschio Angioino, santa Maria dell’Ungheria, San Domenico, la Cappella Palatina,Tino di Camaino, Giotto e bottega di Giotto, Pietro Cavallini, Cristoforo Orimina, Roberto d’Odorisio, il Maestro delle Tempere francescane e Simone Martini, disegnano il nuovo gusto colto e raffinato della corte svevo-federiciana prima e angioina poi che trovano nel carattere gotico e senese l’espressione adeguata del trionfo avignonese e senese della moda angioina. Si pensi al solo apporto di Petrarca che di quella cultura rese ampio respiro. Di questa moda e di questa corte ne assumerà tutto il gusto, il legame materico e terreno, nonché sensualistico il narratore moderno per eccellenza, G. Boccaccio. Che questo carattere nobile, di corte, di segno sensistico più che mistico, dunque senese come raffigurazione emblematica in Simone Martini, che da Siena importa il manierismo mercantile(come del resto i protofiamminghi) piuttosto che il crudo terreno gotico toscano classico, così affine al gusto avignonese e provenzale degli Angioini, sia stato interpretato magnificamente da un poeta colto di quelle culture, Pasolini, che le ha così dedotte nel suo noto film ‘Decameron’, non è ne un caso né una sprovvedutezza. Le tracce lasciate da studiosi del calibro di R.Longhi, Pietro Toesca, gli studi rigorosi e filologici di Ferdinando Bologna,Pierluigi Leone De Castris, e ultimamente di Paola Santucci, già segnalavano di queste tracce e di queste neogrammatiche gotiche senesi in ambito angioino a Napoli. Dunque non sono una novità. La vera novità è nell’assunto neoguelfo e mercantile di questa marca e di questa traccia, che segnalano oramai il passaggio dall’alto medioevo feudale e barbarico al basso medioevo colto, ricco e mercantile in un Regno proiettato verso il Mediterraneo arabo e costantinopolitano. Di seguito ne segnaliamo brevemente i vigorosi apporti nella Napoli pre-angioina e poi dichiaratamente angioina:
Pietro Cavallini nella Cappella Brancaccio, nella chiesa di san Domenico Maggiore; Il Maestro della cappella Barrile in san Lorenzo Maggiore;il Maestro di Barrile nel magnifico e elegantissimo Crocifisso nel Duomo di Teano;Il Coro delle Monache in Santa Maria Donnaregina; il categorico e preziosissimo Simone Martini nella stupenda pala di san Ludovico di Tolosa, ora nel Museo di Capodimonte; Lello da Orvieto, nella tavola funeraria dell’arcivescovo Uberto d’Ormont, all’Arvivescovado di Napoli;negli affreschi della cappella Leonessa in San Pietro a Majella; nel più senese dei senesi Maestro della pietà di Salerno(forse Ferrante Maglione?) nel Museo della città di Salerno; Cristoforo Orimina nella Bibbia di Malines,e nella Bibbia di Matteo Planisio; ancora lo straordinario Maestro di Barrile(forse Antonio Cavaretto in questo caso?) nella omonima cappella, nello Sposalizio della Madonna, in San Lorenzo, che più provenzale non si può; il Primo Maestro della ’Bible Moralisé’, in San Pietro a Majella nella Cappella Pipino;il Maestro delle tempere Francescane(Pietro Orima?Ma probabilmente Roberto d’Odorisio il più senese dei pittori presenti a Napoli) nella Madonna dell’Umiltà, in San Domenico a Napoli;Tino di Camaino e Gagliardo Primario, nel Sepolcro della regina Maria d’Ungheria; Giovanni e Pacio Bertini , nel sepolcro di Roberto d’Angiò, in santa Chiara; Tino di Camaino, ed aiuti , nel Sepolcro di Maria di Valois, in santa Chiara; il delizioso e raffinatissimo Maestro di Antonio e Onofrio Penna, nella Madonna col Bambino e angeli, nell’arcivescovado di Napoli; il Monumento funebre di Ladislao Durazzo, in san Giovanni a Carbonara;Roberto d’Odorisio.Crocefissione, Chiostro del paradiso di Amalfi.
Di tutta questa marca linguistica, collocata in altro ambiente, in un ramo non secondario della Mappa di Thom così descritta, è sintesi il magnifico duomo di Orvieto,tra l’Umbria la Toscana e l’alto Lazio, i trascorsi romani di Giotto e Pietro Cavallini, e il passaggio contemporaneo dei tre grandi interpreti di questo gusto nuovo, gotico nell’assunto nuovo, ma commisto di grammatiche assisiate in Giotto e grammatiche senesi in Simone Martini alla corte angioina di Napoli, a cui succedette Matteo Giovannetti, in quel trecento ed oltre così pieno e carico di astuzie e dilemmi come ampiamente appunto in Francesco, in Giotto, in Dante, in Boccaccio e nel più fiammingo dei gotici senesi, Simone Martini che fu il solo a poter contendere a Giotto fama e stile. Le affinità tra le due marche retoriche quelle senesi e quelle gotiche avignonesi, benché ben intraviste soprattutto in Ferdinando Bologna (che ai Senesi ha dedicato ampio e preciso studio, come a tutti i Senesi alla corte angioina), non sono state ancora viste in questa luce, cioè della sinonimia quasi omologa , benché di senso e di segno differente, nella cultura angioina, in quella senese e in quella protofiamminga. Laddove invece questo lascito è talmente evidente un secolo dopo nel Colantuono e nel grandissimo e apologetico Antonello da Messina che viene associato, nei suoi itinerari europei, a un misterioso quanto amletico Petrus Christus. Due punte eccellenti di questo ritrovato gusto nobile e raffinato nel pieno del Rinascimento napoletano e meridionale(non é qui un caso per quello detto sopra), e poi europeo cui -e a ragione-i due ambiscono di appartenere. I duchi di Borgogna e i banchieri italiani sono a Bruges di casa, come lo sono del resto in tutta Europa. La vera rinascita è tutta lì, alla impresa comune medioevale, la bottega e la fabbrica del cantiere che associava architetti, mastri muratori, scalpellini, affrescatori e mosaicisti, si sostituisce la nascita delle individualità accademiche che fanno scuola, ove l’iconologia e la sintassi retorica dello stile è questa volta laica, e se lo è religiosa, lo è in un senso mistico e sensuale. Dove l’affresco cede alla pittura ad olio, che permette il ritratto accurato e il primo fotogramma non cinematico, il primo fermo immagine di colossale precisione visuale e coloristica. Siamo al passaggio fondamentale dal magismo sperimentale all’ottica, nuova scienza del visivo, allo specchio e al suo osservatore. Siamo alla bordure e al sensualismo retorico della piega, così come ben esplicito in Lorenzo Bernini e filosoficamente esposto in Gilles Deleuze, e alla ricchezza ormai non più nascosta della borghesia mercantile italiana ed europea.
La lettura di questo articolo è riservata agli abbonati
ABBONATI SUBITO!
Hai già un abbonamento?
clicca qui per effettuare il login.
Sostienici
Lascia il tuo commento