Teatro della memoria - prima parte
Il giorno si presentò con un’alba striata da venature vermiglie. Basilio lo aveva atteso respirando l’alito della macchia mediterranea sulla guazza della rugiada. Procedeva lentamente, scendendo da un dosso fradicio per infilarsi in un’area degradata dal pascolo intensivo. Cercava la Locanda del Ricordo e provava a decifrare i profumi tipici della Murgia Materana. L’aria messa in moto dal sole portò l’odore del timo serpillo, un ingrediente tipico della dieta mediterranea.
Si spinse sul viottolo che raggiungeva l’orlo della gravina. Il canyon a meandri era stato scavato dall’acqua in milioni di anni. Sui fianchi si vedeva ancora il complesso delle chiese rupestri; sulla roccia di fronte ciò che restava dell’antica città di Matera. Le note di un’arpa risalivano la parete nascosta alla vista, inondando ferule e pungitopi. Un tratturo tortuoso scendeva verso il fondo. Lo percorse con circospezione. Dove si allargava a terrazzo roccioso, l’insegna incisa su lastra di pietra riportava il nome della locanda. Si trattava di una grotta, con ingresso chiuso dalla facciata di tufo e dalla porta in legno. Seduta per terra, vicino al fuoco quieto, la figura con cappuccio calato sulla testa pizzicava con maestria le corde dell’arpa, accompagnando il suono con voce accorata. Era Yasmeen, la proprietaria.
Abitare le grotte rispondeva ai gusti dell’epoca ma la velocità dei cambiamenti dell’era digitale presto li avrebbe sostituiti con gusti altrettanto stravaganti. Basilio aveva la sua teoria: più ci si allontanava dalla realtà analogica più la creatività digitale riproponeva il passato come novità interessante. Chissà quanto mancava per vedere le case sugli alberi o le palafitte sull’acqua della gravina. Si avvicinò alla donna, rimanendo a distanza di cortesia. Accanto a lei, per terra, c’era un palmare dal segnale luminoso intermittente.
Avvertendo la sua presenza, la donna smise di suonare ma rimase con la testa china. Dal fuoco si sprigionava l’aroma intenso della camomilla bruciata. Altri mazzetti di camomilla secca erano ammucchiati per terra, pronti a dare profumo.
Per bruciarne così tanti doveva prepararli lei o se li procurava dalle fattorie sparse nel territorio. “Siamo in pochi a restare sulla Murgia” disse con fare cortese, considerando gradevole l’aroma della camomilla bruciata, contrariamente al gusto della tisana. In modo implicito, chiedeva il perché della locanda in un luogo isolato.
La donna non alzò la testa. “Solo in questi mondi solitari sono una comunità per me stessa.”
La risposta gli piacque. Apparteneva al genere che apre a molte interpretazioni. “Forse non c’è mai stata sulla Murgia una voce così soave.” Lo pensava davvero ma lo aveva detto con una punta di adulazione.
“A memoria di donna, a lusingarsi o rabbrividire qui sono le pietre.” Ruotò la testa per mettere più in ombra il viso.
Ironia o cinismo, forse amarezza. “Da quanto tempo è qui?”
“Mi sarebbe piaciuto da tanto; solo un anno.”
Qualsiasi cosa fosse non le offuscava la capacità di risposta. “Sbaglio o nasconde il volto?”
Sollevò il cappuccio con un gesto deciso, puntando gli occhi verdi su di lui.
Basilio ne fu colpito: il volto era segnato da una cicatrice che dalla mandibola saliva allo zigomo. Non c’era traccia nelle sue note caratteristiche, una hacker-care che per scelta cura i danni provocati da altri hacker. Aveva una quarantina d’anni e nonostante la cicatrice era di una bellezza rara, più di fascino nordico che mediterraneo.
Lei si accorse della sorpresa causata. “Una lama può fare molti disegni” precisò, quasi a minimizzare. Riprese a pizzicare le corde, unendo la voce con sensibilità e arte. Cantava del riscatto, della libertà sepolta che attende il portentoso risveglio.
“Spero abbia denunziato” si sorprese a dire, nonostante non ci credesse.
Alzò gli occhi su di lui, fermando le corde. “Denunziare? Il territorio delle chiese rupestri non ha tutele perché hanno cancellato l’importanza che ha avuto nella storia. È per così dire libero, finché non farà gola a qualche governatorato. Presto cancelleranno che Matera fu capitale della cultura.” Riprese da dove aveva interrotto.
Ebbe la sensazione che si aspettasse altre domande. Sedette anche lui per terra, in silenzio, colpito dalla situazione surreale. “Cosa è successo?” chiese quando ebbe finito di suonare, convinto che non avrebbe avuto risposta. Si sbagliava.
“Ho vissuto nel padiglione di Sgolgore, presso Tesselon, prima di rifugiarmi qui. Ero tele-docente e su ordinazione tessevo tappeti e coperte. Poi arrivò Yukiko, con una valigia colma di seta. Mi chiese di poter rimanere per disegnare sulla seta pietre e vegetazione. In cambio, avrebbe pulito il padiglione e fatto da mangiare. Accettai, immaginando che fuggisse da un passato doloroso. Quando glielo chiesi se la cavò confessando di essere stata abbandonata in tenera età, di essere cresciuta da sola. Una parte della verità. Le ripeto la frase che mi disse perché un giorno lei possa scriverla: La vita è breve, l’arte è lunga. Per vivere di più devo vivere nella mia arte. Il disegno sarà il messaggio, la seta il mio servizio postale. Intuii che c’era molto altro ma doveva sentirsi sicura per rivelarlo. Dopo aver assolto agli impegni richiesti, eravamo due, si metteva al lavoro, ritagliava la seta necessaria e disegnava. Una volta a settimana si allontanava per il mercato di Oblivium, dove portava anche i miei tappeti e le coperte. Una volta al mese raggiungeva il porto di Brundisium per rifornirsi di seta proveniente dall’Egeo… Sa che la seta ha ripreso il posto d’onore che aveva una volta?... Finalmente, quando caddero le resistenze nei miei confronti, mi disse che i saggi del monte Memo ci invitavano per farci partecipi di ciò che stava per succedere. Era preoccupata. Le chiesi chiarimenti ma mi pregò di aspettare l’incontro con loro. Quando li raggiungemmo, ci mostrarono a valle il Tempio della Memoria.” Perse un po’ di tempo per poggiare l’arpa per terra.
Basilio ne era a conoscenza. Il Tempio apparteneva al Consiglio di Oblivium, la città che si era trasformata in un governatorato feudale, con tanto di mercenari e mire di espansione. Si trovava in una zona custodita da una cinta muraria alta e possente, di vaga somiglianza medievale. Per opposizione al Consiglio, i saggi erano stati confinati sul monte. “So le cose che trapelano” anticipò, nel modo di chi vorrebbe saperne di più, rimuginando sulla frase: ‘perché un giorno lei possa scriverla’.” Dava l’idea di una minaccia incombente. Evidentemente, conosceva il suo mestiere di giornalista e perché era lì.
“Sa poco, allora. Il Consiglio sostiene che le conoscenze si ingigantiscono esponenzialmente e i ritmi frenetici non consentono all’uomo di gestire le informazioni disponibili. Le persone non sanno più dar forma alla propria conoscenza perché la tecnologia frantuma la complessità e la riduce a una massa liquida che rende difficile l’organizzazione della memoria. Il progetto è di affidarla a repositori gestiti dall’Intelligenza Artificiale. Il Tempio ospita Mnestic, il più potente dei computer costruiti, in grado di gestire un enorme volume di dati e di stabilire relazioni tra loro. Lo scopo è agghiacciante: liberare ognuno dal peso della propria memoria, depositandola in quella di Mnestic.”
“Da tempo lo facciamo anche noi con i computer e i palmari” osservò, per spingerla a continuare. “Ci mettiamo tutto ciò che riteniamo di archiviare, per riprenderlo quando serve.”
“E dimenticarlo, come succede a buona parte di ciò che archiviamo. Tra ricordare e dimenticare c’è la stessa differenza che tra progresso e decadenza, mi fa paura: tra sopravvivenza ed estinzione.” Respirò profondamente, quasi sentisse su di sé tutto il peso. “Tornando a Sgolgore, Yukiko sottolineò gli scenari che si presentavano: senza memoria, gli uomini verrebbero schiacciati dalla dittatura del presente, servitori del giorno direbbe Nietzsche. Se non c’è ricerca delle cause che portano a quello che siamo, saremo condannati a un eterno inizio. Mi sentii stringere in una morsa, anche se mi rivelò che i saggi erano filosofi d’azione e stavano prendendo le misure opportune.”
Avrebbe voluto dirle che neanche dove lui viveva c’era tanta libertà ma lo tenne per sé. I filosofi d’azione si stavano affermando un po’ dappertutto perché, rispetto ai teorici, trasformavano il pensiero in azioni. Le passò un mazzetto di camomilla; quella sul fuoco era ridotta in cenere.
Lo sistemò con gesti precisi e il profumo si alzò intenso. Una leggera brezza arrivò a ravvivare il fuoco. “Per alcuni mesi vidi Yukiko come invasata. Lavorava a una seta su cui aveva dipinto, in uno scenario apocalittico, un umanoide con la testa depositata ai suoi piedi. D’un tratto ci accorgemmo di essere sorvegliate. Una sera vennero i mercenari del Consiglio. Costrinsero Yukiko a seguirli; a me lasciarono questo ricamo per avvertimento. Prima di andar via, Yukiko riuscì a gridarmi: ‘pensa alla mia tela’. Si riferiva alla tela rimasta sul telaio nella sua camera. Il potere tiene d’occhio le donne, teme che parta da noi la ribellione, come è successo nella rivolta per il pane. Ricorda?” Il tono della voce divenne più grave. “Ho rivisto Yukiko per caso, tempo dopo a Oblivium. Si aggirava nel mercato come chi non si rende conto di dove si trova. Ho tentato di parlarle ma non mi ha riconosciuta. L’hanno usata come cavia. Vive a spese del Consiglio in una specie di collegio, insieme ad altre donne. Da allora sono diventata hacker-care, sono fuggita qui e ho aperto questa locanda.” Girò il volto al sole e chiuse gli occhi, abbandonandosi all’energia vitale.
La scrutò meglio. Seguì il profilo gentile del volto, si fermò sulle labbra carnose, scese sulla curva del petto e scivolò sulle gambe incrociate. Chissà se esisteva ancora l’amore tra le possibilità umane o si era ridotto alla sola attrazione fisica. Sarebbe stato difficile dimenticarla. Si concentrò sulla storia. “Forse è stata Yukiko a scegliere lei per lasciarle in eredità la tela.”
“Ci ho pensato ma non so decidere.” Lo sguardo divenne indagatore.
Alzò gli occhi alle venature vermiglie. Il vento le stava trasformando in pennellate confuse. “Che ha di speciale la tela?”
“Devo studiarmela.”
Intuì una risposta di comodo. “Il titolo della locanda è allusivo.”
“Si riferisce ai ricordi che restano dopo un soggiorno in questa natura. Qui è ancora possibile essere sfiorati dalle rondini. Teatro della memoria sarebbe stato più giusto ma più rischioso.”
“Lo penso anch’io” convenne e incalzò: “Dai muri di Oblivium sono sparite le lapidi dei personaggi storici.”
“Hanno anche abbattuto i monumenti ma c’è di peggio: non ci sono più scuole pubbliche in presenza. La formazione è affidata alle agenzie formative in rete. Sulla carta sono libere ma obbediscono alle direttive del Consiglio. La memoria si raccoglie dove può essere seminata e i luoghi privilegiati per la semina sono scuola e famiglia. Che ne sarà dei sentimenti connessi agli affetti? Immagini una casa senza foto. Una madre che non ricorda sua figlia. Provi a pensare se le cancellassero il ricordo di chi le ha dato la vita. Se non si hanno ricordi di ciò che abbiamo vissuto, semplicemente non abbiamo vissuto.”
“Credo di immaginare” disse, pensieroso. Il mese prima aveva visto un video trafugato, in cui gli studenti si esercitavano per dimenticare, l’opposto di ciò che si era fatto per secoli.
Il palmare per terra vibrò. Lei dette un’occhiata al display, si alzò e si diresse all’orlo del terrazzo. Levò le braccia al cielo e iniziò a cantare in modo silenzioso. Disordinate dal vento, le venature erano diventate arabeschi.
A Basilio arrivava solo la melodia non le parole, quanto bastava per capire che stava elevando un inno al cielo, dove forse non c’era più il Dio della crocifissione ma un dio che personificava il potere di ricordare. Guardandola, si accorse di non riuscire a sottrarsi al suo fascino. Docente, tessitrice, musicista, cantora, hacker e combattente per la libertà.
Tornò a sedersi, scusandosi. “La vita è il fuoco sacro della cenere di ieri. Ricomincia all’alba, da ciò che ha elevato o lasciato com’era, ma vuole la stessa scintilla, la stessa cura di ieri.”
Capì che si riferiva a un progetto. “Perché rivela a me queste cose? Potrei essere una spia.”
“So bene chi è: vuole scrivere un saggio sugli hacker virtuosi. A me va bene. Avrò bisogno che descriva ciò che succederà, che lanci l’allarme sul progetto di Oblivium. Nella mia mente c’è il programma per sabotare Mnestic, e un piano di fuga. Se non ci riesco, questo crimine contro l’umanità si diffonderà a macchia d’olio.”
Non capiva come potesse realizzare il progetto ma provava ammirazione. “Chi dice che accetti?” nicchiò, domandandosi se sarebbe stato capace di lottare come lei.
“È venuto a cercarmi fin qui.” Piantò gli occhi verdi in quelli di lui. “Gli animi nobili sono attratti dalla bellezza deturpata dalla violenza, da chi combatte per una giusta causa. Lei è il testimone che cerco.”
Sentendosi messo a nudo, tranne che per l’animo nobile, prese tempo per decidere, cambiando discorso. “Non ho mai visto bruciare camomilla secca.”
“Ai tempi di Violetta di Parma, la camomilla era il vecchio profumo dei bracieri; oppure incenso e buccia d’arancia. Lo sappiamo grazie alla memoria che vogliono rubarci. La invito a fermarsi qui. Ci sono i confort di un albergo a quattro stelle.”
“Generalmente frequento quelli a cinque” disse con arguzia, affascinato e inquieto, tentando un sorriso che non venne.
“La posta in gioco è troppo alta per farla dipendere da una stella. Sarò io la quinta.”
Lanciata così ne aumentò il fascino. Quale Consiglio l’avrebbe voluta contro? “Ci sono altri ospiti?”
“Nessuno: devo essere molto attenta.”
Accettò, attratto dalla bellezza e dalla qualità morale. Non era facile assistere alla lotta per la riconquista della libertà, osservare una hacker che vuole combattere contro l’Intelligenza Artificiale usata contro l’umanità. Chiese un po’ di tempo per rifornirsi del necessario, in realtà per informarsi. Fece una bozza del saggio e aggiunse le impressioni. Dopo una settimana di verifiche tornò alla locanda.
......
La lettura di questo articolo è riservata agli abbonati
ABBONATI SUBITO!
Hai già un abbonamento?
clicca qui per effettuare il login.
Sostienici
Lascia il tuo commento