"Un colpo alla testa era uno zaqboor" di Elham Hamedi
“Un colpo alla testa era uno Zaqboor” è il libro di poesie di Elham Hamedi pubblicato da Terra d’ulivi edizioni a novembre del 2022. La raccolta è inserita nella collana “Magica aliena”, dedicata alle scritture estere. In particolare questa è un’edizione bilingue inglese italiano, le due versioni sono affrontate, e ciò ne favorisce la lettura a confronto, la traduzione delle poesie dalla lingua inglese è di Fernanda Ferraresso. Caratteristica la sobria copertina nei colori del verde acqua e bianco.
L’autrice Elham Hamedi, è iraniana, radiologa, poetessa e artista, opera sulla scena internazionale. Le origini della scrittrice collocano la sorgente espressiva nel contesto particolare costituito dalla sua tormentata terra, cioè da echi ed esperienze, memorie e vicende che rimandano o riverberano l’ethos di quei luoghi e la sua curvatura. L’anelito poetico è emerso ma chiuso, serrato, e, nel contempo, delineato, definito con cesoie precise che staccano il verso e lo modellano rabboccandolo di continuo in una forma ermetica, costellata da interpunzioni, pervasa da un lato da elementi bucolici, dall’altro da riferimenti corporali. Insistente l’uso di espressioni forti, chiare come manifesti e intessute di metafore, altrettanto frequenti gli accostamenti insoliti talvolta surreali come le perle ululanti.
Tra gli elementi bucolici della silloge potremmo includere per primo lo zaqboor, che riscontriamo citato nel titolo. Lo zaqboor è un uccello, maggiormente noto come podoces pleskei o ghiandaia terragnola dell’Iran, diffuso quasi esclusivamente in questo Paese, più esattamente nelle zone settentrionali e occidentali. E’ un corvide dal piumaggio corporeo bruno rossiccio, e le ali bianche e nere che all’apertura alare mostrano un netto e pittorico stacco dei due colori, il becco è leggermente adunco e forte. Lo zaqboor è lungo circa 24 centimetri e non supera l’etto di peso. Schivo e scaltro, preferisce fuggire dal pericolo correndo a zig zag con le lunghe zampe piuttosto che volare. Costruisce il nido su un cespuglio prossimo al suolo nascosto dal fogliame. Le coppie che si formano nella stagione degli amori collaborano durante la cova e allevano i piccoli, ma restano insieme anche dopo in quanto monogami.
Oltre che nel titolo questo uccello è presente in una delle prime poesie incluse nella raccolta, lo zaqboor in un ruolo da protagonista afflitto “depone un uovo/nella gola del dolore/le sue gambe nere sono bloccate/nell’orrore dei titoli dei giornali”, infine la poesia si chiude con “Il mio uccello!/I miei giorni!/i miei defunti giorni!”. Toni alti e drammatici associati al riferimento animale simbolico traducono l’impressione di notizie apprese dagli organi di stampa che trabocca nelle intense esclamazioni dei punti esclamativi dei tre versi finali. Questa poesia può ben rappresentare un condensato dell’opera.
Le poesie della silloge dipingono scenari che fanno da sfondo, come in un film, alle storie/ immagini che i testi raccontano: il dramma del rossetto che rosso dipinge l’escalation o il silenzio dei manichini in sciopero a masticare la mela marcia delle stagioni, la frattura che è il parto del muro o l’allarme del bambino che piange… il suono della distruzione incessante. Bolle una pentola, ma bolle anche l’intera cucina.
La poetessa ricorre spesso a similitudini che prendono materia dagli elementi della natura: uccelli, perle, pesci, alberi, uva, uova, fiori, foglie, rami, mela, spine e poi mare, luna, sole, spiaggia, cielo… Sono citati gli elementi temporali, sia nel senso di fenomeni atmosferici che cronologici. Si riscontrano inoltre disseminati riferimenti al corpo, alla frammentazione, scomposizione, dissolvenza, dissezione del corpo, arti, testa, bocca, occhi. Questi ultimi e le mani particolarmente ricevono nei versi speciale attenzione. Esse nella compromissione d’integrità concorrono a delineare l’impatto spirituale o fisico di ferite. Non mancano i colori: rosso, giallo, verde viola, nero, bianco nonché i rinvii all’arte pittorica.
L’altra poesia che probabilmente è da ricollegare al titolo alla raccolta è posta nel cuore della silloge. Accadde alla testa “un incidente/col sanguinamento dei pensieri” e conclude “Questa non è una testa./ E’ una continuazione del corpo/che si ribella in un altro corpo.”
Nell’insieme i testi poetici veicolano la tragicità del vivere nell’oggi, nella realtà angosciante di conflitti non ipotetici ma reali, non solo interiori, ma emersi, condivisi, in fermento, esplosi. Il divario è insuperabile, come irrisolvibile la cesura. I testi esprimono quindi l’irrecuperabile dispersione di sé e di ciò che rende la vita completa e piena. Impossibile il rimedio o il ritorno. Non c’è che da andare oltre mentre si inserisce nelle crepe, nelle fratture vitali, tra le spine del dolore il fiume creativo che riempie, l’oro che risana. La personale vicenda umana transita col suo tormento dentro l’espressione nell’arte della parola e in quella della pittura e permette allo spirito di risollevarsi comunicando l’indicibile. Quando nemmeno l’osservazione della natura - il bacio del sole sulla riva – può restituire allo spirito smembrato la sua originaria e perfetta unità, allora soccorre l’anelito creativo che invoca la bellezza.
I miei occhi sono stati rubati.
Nessun ricordo è rimasto
dalle immagini dentro i miei occhi.
I miei occhi sono come un cespuglio spinoso
gettato nel deserto
senza battere ciglio davanti alla bellezza della natura.
I miei occhi non lo capiscono.
Su quale busto si fonda con quale piede?
E quale piede tocca la fine della strada?
Questa è la terra dei pezzi perduti.
Nessun pezzo è completo
anche nel bacio del sole sulla riva.
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